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Draghi: tecnico a chi?

Giuliano Ferrara

L'ex presidente della Bce non depoliticizzerà le istituzioni e darà ai partiti la possibilità di trovare la strada per ricostruirsi

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Le crisi parlamentari vecchio stile, compresa quella che portò Monti al governo, sono sempre esposte all’incidente. Basta che per un momento non funzionino i freni, le inibizioni, il senso di responsabilità verso il paese e la funzione di guida della politica, ecco che arriva il crash. Non furono Bersani o altri del fronte antiberlusconiano a godere i frutti della caduta di Berlusconi. E così adesso. Che i grillozzi, il Pd e Renzi non si capissero gran che tra di loro era evidente, che però non capissero la situazione data e lasciassero a Mattarella, in concorso equo e dispettoso tra i leader, il compito doveroso e complicato, ma inappellabile, di decretare lo stato d’eccezione, questo è già più stravagante. E’ andata.

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Le crisi parlamentari vecchio stile, compresa quella che portò Monti al governo, sono sempre esposte all’incidente. Basta che per un momento non funzionino i freni, le inibizioni, il senso di responsabilità verso il paese e la funzione di guida della politica, ecco che arriva il crash. Non furono Bersani o altri del fronte antiberlusconiano a godere i frutti della caduta di Berlusconi. E così adesso. Che i grillozzi, il Pd e Renzi non si capissero gran che tra di loro era evidente, che però non capissero la situazione data e lasciassero a Mattarella, in concorso equo e dispettoso tra i leader, il compito doveroso e complicato, ma inappellabile, di decretare lo stato d’eccezione, questo è già più stravagante. E’ andata.

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Ora è il momento del giropalla o melina, per vedere di limitare il risultato a uno a zero, ma l’autogol c’è stato, tutta la squadra dei partiti di governo e di opposizione, allo stesso titolo e da posizioni inutilmente divergenti, ha lavorato forte per questo. Però, alla fine, chi vi dice che sia una disgrazia? Nelle favole Monti era un uomo dei poteri forti, come Ciampi, ma un sistema dei partiti ancora non sopraffatto da ondate di grillismo e di salvinismo, si trovò nella necessità di ingurgitare la pillola amara. Draghi però, che con le nomenclature del potere finanziario internazionale ha avuto relazioni intrinseche, è soprattutto un politico, un uomo di stato, è quello che nel luglio del 2012, con conseguenze difficili da sopravvalutare, disse dall’Eurotower: “Lo stato sono io”.

 

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Formazione, temperamento, esperienza, intelligenza delle cose politiche e di governo furono le premesse del whatever it takes. Il successo in quella crisi ha portato quasi dieci anni dopo alla grande svolta europea, il Recovery fund. Di fronte alla possibilità di un fallimento della svolta, di cui noi italiani siamo beneficiari netti per circa un terzo, si è reso inevitabile l’uso dello scudiscio costituzionale, il governo del presidente, nel paese ammalato, con i postumi dell’antipolitica, nella versione di una cattiva politica incapace di arrivare al minimo sindacale di un Trisconte, un paese, per di più, esposto a malattie virali che si curano con la buona organizzazione dei vaccini e altre misure, non con una bella campagna elettorale.

 

Ora può essere che il sistema uscito dalle fatali elezioni del marzo 2018, quelle “vinte” dai grillini e da Salvini, generatrici di un Conte1 disastroso, grottesco, e dopo il Papeete di un Bisconte d’altra natura, sebbene anomalo anch’esso, che ha portato con modestia al lockdown e a un ruolo italiano di spinta nel Recovery fund, può essere che quel sistema rigetti la evidente ragionevolezza o severa necessità di un governo Draghi, ma è improbabile. L’incaricato sa trattare con rispetto e diligente discrezione Parlamento e partiti, cioè i numeri da lui molto amati fin dalla formazione universitaria, e sa anche piegare i numeri alle necessità dell’alta politica, quando è necessario. Lo ha dimostrato discutendo con la Merkel e gli stati nazionali del destino della moneta, con il Consiglio europeo di una governance esuberante della Banca centrale, per non parlare del potere forte tedesco della Bundesbank, dunque potrebbe rivelarsi non insormontabile l’ostacolo di Dibba e Toninelli. Non si sa mai, ma dopo la caduta di Trump e il riflusso del populismo antieuropeo, quest’uomo superbo ma non narcisista e vanesio la funzione di guida dello stato potrebbe riaffermarla. Non sarà Draghi a depoliticizzare le istituzioni, con il suo governo “tecnico” parlamentare, dovrebbero essere i partiti naufraghi di tutta questa fase a farlo, esercitando con moderazione la loro funzione di controllo e di legittimazione dell’esecutivo, buttandosi a capofitto, più che nel negoziato governativo, nel profilo di identità della loro natura politica, nella loro funzione autentica nella società, sopra tutto nella costruzione di alleanze serie capaci di ripresentarsi credibili al popolo che alla fine vota, rilegittimandosi. Si è visto che i contratti cosiddetti e le alleanze anomale, di un tipo o dell’altro, non reggono nemmeno quando ottengono risultati non trascurabili; e qui è la debolezza congenita del Parlamento uscito dalle urne il 2018, qui l’impasse in cui a Draghi deve essere lasciato il potere di governare con un Parlamento leale e ai partiti il dovere di ricostruirsi.

 

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