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E ora c’è il Covid da affrontare

Dalla crisi della Lira al "whatever it takes": ecco Draghi il risolutore

Marco Cecchini

L'ex presidente della Bce ha gestito problemi di enorme complessità, dalle crisi monetarie agli scandali della Banca d'Italia, tra difficoltà intrinseche, economiche e politiche. Senza mai perdere la calma

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“ll risolutore” è un film del 2003 nel quale il protagonista, il detective interpretato dall’attore Vin Diesel, svolge con successo l’attività di problem solving ovvero, come spiegano i dizionari, di chi analizza e risolve problemi usando tecniche e metodi ad hoc. Alla figura del risolutore Mario Draghi somiglia sotto più di un aspetto. Anzi, per la verità, osservando in controluce il brillante excursus professionale dell’ex presidente della Bce, si staglia netto il filo rosso del risolutore. Dalla crisi della lira nell’annus horribilis, il 1992, al memorabile salvataggio dell’euro (e del connesso progetto di integrazione europea) del 2012, passando per la restituzione dell’onore perduto alla Banca d’Italia negli anni da governatore di Via Nazionale, l’attuale presidente incaricato si è trovato a gestire problemi di enorme complessità caratterizzati dal pluralismo degli attori in campo e dalle difficoltà intrinseche, economiche e politiche, senza mai perdere la calma.

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“ll risolutore” è un film del 2003 nel quale il protagonista, il detective interpretato dall’attore Vin Diesel, svolge con successo l’attività di problem solving ovvero, come spiegano i dizionari, di chi analizza e risolve problemi usando tecniche e metodi ad hoc. Alla figura del risolutore Mario Draghi somiglia sotto più di un aspetto. Anzi, per la verità, osservando in controluce il brillante excursus professionale dell’ex presidente della Bce, si staglia netto il filo rosso del risolutore. Dalla crisi della lira nell’annus horribilis, il 1992, al memorabile salvataggio dell’euro (e del connesso progetto di integrazione europea) del 2012, passando per la restituzione dell’onore perduto alla Banca d’Italia negli anni da governatore di Via Nazionale, l’attuale presidente incaricato si è trovato a gestire problemi di enorme complessità caratterizzati dal pluralismo degli attori in campo e dalle difficoltà intrinseche, economiche e politiche, senza mai perdere la calma.

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Ci siamo forse dimenticati che cosa fu il 1992. Draghi era arrivato da meno di un anno alla direzione generale del Tesoro. Nel frattempo Giulio Andreotti era stato sostituito da Giuliano Amato a Palazzo Chigi, era scoppiato il caso di Mani Pulite, la mafia era partita all’attacco dello stato, qualche manager raggiunto da un avviso di garanzia si suicidava, il deficit era fuori controllo e l’inflazione saliva. Amato, Draghi e il ministro del Tesoro, Piero Barucci, riuscirono a riportare sotto controllo la situazione e a far partire un maxi programma di privatizzazioni. Il Financial Times scrisse: “Mario Draghi si muove con abilità in situazioni che farebbero perdere la testa ai più”. Il suo autocontrollo non a caso è leggendario. Quando nel momento più buio di quell’anno Francesco Giavazzi, l’amico e il consigliere fidato, gli manifestò il suo sconforto, Draghi lo tranquillizzò: “Abbiamo fatto ciò che era giusto, troveremo un paracadute”.

 

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Così fu e dopo una Finanziaria monstre i mercati si placarono. Il paese era salvo. Fu alla fine di quell’anno che i media anglosassoni cominciarono ad interessarsi a Draghi, “l’uomo dietro le riforme e le privatizzazioni” (BusinessWeek), “l’uomo più potente d’Italia” (Euromoney). Ma è l’arrivo alla guida della Banca d’Italia a consolidare l’immagine del risolutore. Era il gennaio del 2006. Quando Draghi varca l’imponente portone di Palazzo Koch, trova un istituto sotto choc, traumatizzato dal contesto che aveva provocato l’uscita del suo predecessore Antonio Fazio, sulle montagne russe tra inchieste giudiziarie e scandali bancari che avevano coinvolto in prima persona il governatore. La reputazione di Via Nazionale era ai minimi e Draghi aveva ricevuto dal presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il suo mentore, il compito di risollevarla e di riportare fiducia nel suo operato. Anche allora il presidente incaricato era apparso l’unico per competenza, conoscenza della macchina e credibilità, in grado di riportare l’istituto al ruolo che gli spettava. Draghi, il cui padre nella Banca aveva lavorato ed era conosciuto dai vecchi dirigenti, entrò in Via Nazionale in punta di piedi. Occorreva riportare ordine nella macchina, tirare su il morale dei dipendenti, allontanare i dirigenti piu vicini all’ex governatore.

 

Occorreva farlo senza clamore. Mano a mano rientrarono dell’estero i dirigenti di estrazione ciampiana che erano stati emarginati. Il funzionamento della macchina fu affinato. Con la crisi finanziaria del 2008 e l’assunzione da parte di Draghi della presidenza dell’Fsb, che era divenuto il braccio intellettuale del G20, la Banca d’Italia ritrovò il suo ruolo e il suo prestigio. Andiamo avanti: 26 luglio 2012, Draghi pronuncia alla Lancaster House di Londra di fronte a un pubblico di banchieri la frase che ormai è storia, il “whatever it takes”, e con quelle parole mette in sicurezza l’euro. Sono passati otto mesi da quando ha assunto le redini della Bce. Otto mesi sull’otto volante. In Italia è saltato Silvio Berlusconi, in Spagna Mariano Rajoy. Il nord Europa austero ha stretto i bulloni della spesa e gli alti spread dei paesi meridionali, termometro fedele del clima di fiducia, mettono a repentaglio l’intera costruzione della moneta unica. Draghi lavora nella massima segretezza a una soluzione. Il nuovo premier italiano, Mario Monti, gli fa sponda conducendo il paese sulla via delle riforme e del rigore.

 

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Draghi soprattutto riesce a guadagnarsi la stima di Angela Merkel che coprirà la scelta di salvare l’euro. Un capolavoro. La brochure del liceo Massimo dei padri gesuiti, dove Draghi ha studiato, recita: “Lo studio delle gesta degli eroi del passato aiuta a formare un leader al servizio degli altri”. Se si volge lo sguardo indietro negli anni a quella primavera del 1991 in cui divenne direttore generale del Tesoro Draghi sembra avere avuto questo obiettivo come faro. È stato un risolutore, ha realizzato le sue ambizioni umane e professionali e nello stesso tempo è stato un civil servant.

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