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Il trasloco

È l'ora degli scatoloni. Arrivano i meritevoli

Ricordi, passaporti, portapenne. Cosa rimane di un governo?

Carmelo Caruso

Ministri emeriti, anzi, alla memoria. E' finito tutto. Escono di scena con Giuseppe Conte. Arriva Mario Draghi e comincia il grande esodo. Il racconto dell'ultimo giorno da ministro esodato

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Roma. Non devono farsi ricordare ma solo dimenticare.  Sono già  i ministri alla memoria, gli emeriti del Conte II. Non usciranno cambiati dalla crisi. Sono semplicemente usciti di scena. Arriva Mario Draghi. Sono adesso  l’avanguardia di una fine. Alfonso Bonafede, che  ha fatto più guasti della Elena di Omero, sperava ancora, ieri sera,  in un posto da sottosegretario, ma il problema, dicevano dal M5s, è che “non lo vuole nessuno.  Sarà un esodato”. A ora di cena, un’intera classe veniva  esodata da Sergio Mattarella. Alle 21,30 si esauriva infatti una piccola epoca. 

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Roma. Non devono farsi ricordare ma solo dimenticare.  Sono già  i ministri alla memoria, gli emeriti del Conte II. Non usciranno cambiati dalla crisi. Sono semplicemente usciti di scena. Arriva Mario Draghi. Sono adesso  l’avanguardia di una fine. Alfonso Bonafede, che  ha fatto più guasti della Elena di Omero, sperava ancora, ieri sera,  in un posto da sottosegretario, ma il problema, dicevano dal M5s, è che “non lo vuole nessuno.  Sarà un esodato”. A ora di cena, un’intera classe veniva  esodata da Sergio Mattarella. Alle 21,30 si esauriva infatti una piccola epoca. 

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Ad Alessandro Di Battista, che è lo storico disoccupato del vaffa, gli era perfino stato promesso il ministero all’Innovazione di Paola Pisano che “tanto era già fuori dal governo pur rimanendoci dentro. Si può fare”. Davvero non è questo il momento di ferirli ma di accompagnarli nel difficile percorso che stanno per intraprendere. Sono i ministri Lehman (ricordate la banca americana?) di Giuseppe Conte, quelli che non hanno fatto la storia ma che faranno gli scatoloni. Non sempre la sorte è stata clemente. Dove hanno sbagliato? Il vero guaio è un altro: per molti di loro l’uscita è il segnale che ha ricordato l’entrata. Nunzia Catalfo, che è poi la madrina del reddito di cittadinanza, dicono che abbia riguardato tutte le sue interviste da ministra del Lavoro e che per la prima volta abbia esclamato: “Non ho saputo comunicare”. Volete vedere che adesso la colpa è dei portavoce? C’è una storia che non è stata sufficientemente illuminata. In tutti i corridoi dei ministeri si sono ieri aperti  processi brevi contro questi uomini e queste donne che hanno dato tutto il loro fiato, e non solo, per “l’illustre signor e signora ministro”. Perché nessuno ha mai dedicato pagine al trauma, al dramma esistenziale che provoca una caduta di governo?

 

Staff smembrati, amicizie che si interrompono, comunità che si separano per sempre. Al ministero dell’Istruzione di Lucia Azzolina, la ministra meno amata dai renziani, si erano formate due correnti. I collaboratori della Azzolin sapevano che si stava per concludere tutto mentre quelli della vice, Anna Ascani, pensavano che poteva  nascere ancora qualcosa. Si narra che chi era  fan della Azzolina lo fosse diventato della Ascani e chi aveva simpatie per il M5s le avesse spostate sul Pd che “è l’unico partito sicuro; insomma, il posto fisso”. E per una volta, dato che è l’ultima, è giusto riconoscere che vanno bene le opinioni, anche le più severe, sulla Azzolina, ma caricarle tutte le colpe dell’Istruzione non solo non è corretto ma è pure troppo semplice. Ieri sera finiva la sua passione. E’ stata protetta da Luigi Di Maio,  il vero amministratore delegato del 5s, il primo di tuttiche aveva annusato l’odore del grande trasloco. Non è solo un modo di dire scrivere che stanno facendo gli scatoloni.

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Ieri, Antonio Misiani, che è stato un viceministro dell’Economia competente, passeggiava per Roma, a piazza di Pietra, e confidava a una sua amica: “Io i miei li ho preparati. Al momento sono viceministro uscente e non so se sarò più entrante”. Al ministero dei Trasporti, Paola De Micheli, continuava a tenere le sue riunioni, incontrava i suoi capi di gabinetto. E’ da sei mesi “rimpastabile” Era già  pronta  a tutto. Quando si è insediata ha preferito portare quasi nulla di suo. E così ha fatto chi ha lavorato insieme a lei. A cosa si riduce un ministero? Alla fine è un portapenne, qualche piantina che chi va via lascia alle cure di chi ha il privilegio di restare.

 

Pensate un po’. Anche Stefano Patuanelli, che ha retto lo Sviluppo economico, veniva già  esaminato come si esaminano i ricordi e accusato, dal M5s, di troppa vicinanza alla Confindustria. Ma cosa importa adesso? Fabiana Dadone, ministra per la Pubblica Amministrazione, che ha sempre parlato poco, rischia di parlare, da domani, ancora meno. Elena Bonetti che ha fotografato il momento dell’addio, non ha neppure un seggio a cui tornare. E’ triste per tutti ma per  loro un po’ di più. Si racconta che una volta rassegnate le dimissioni, i ministri debbano riconsegnare il passaporto di servizio. E’ un passaporto speciale, di colore blu. E’ la prova che per breve tempo sono stati qualcuno e  che hanno vissuto la loro età felice. Lasciateglielo come dono. E’ quello il loro vecchio “sogno di una cosa”.     

 

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