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Scene dalla Camera

Salvini spettatore passivo della crisi

Il centrodestra tra veti, timori e sospetti

Salvatore Merlo

Le dimissione di Conte e l'avvitarsi della situazione politica sono tutto un fermento che coinvolge solo il Pd e il M5s. Il centrodestra resta immobile, senza proposte, senza alternative. E la ragione è nella competizione tra la Lega e Giorgia Meloni

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Montecitorio, ore 15. C’è la crisi, ma è un fermento che coinvolge solo il Pd e il M5s. Nei corridoi semideserti ogni tanto si sente urlare qualche peone grillino.  “Doveva passare con noi!”. In sella al verbo nessun soggetto. Debora Serracchiani, vicepresidente del Pd, si avvicina al leghista Edoardo Rixi. “Sta andando tutto in malora”. Rixi la guarda con pacifica curiosità,  come sulla spiaggia si può guardare un signore con la cravatta. La crisi non  lo riguarda. Non riguarda la Lega. “Se Conte  ha i numeri, buon per lui”. Salvini ha convinto Berlusconi. Il Cavaliere insisteva per una mossa. La proposta di un governo di unità nazionale. Ma Salvini niente. Fermo. Immobile. Come uno che sulla spiaggia guarda il signore con la cravatta.

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Montecitorio, ore 15. C’è la crisi, ma è un fermento che coinvolge solo il Pd e il M5s. Nei corridoi semideserti ogni tanto si sente urlare qualche peone grillino.  “Doveva passare con noi!”. In sella al verbo nessun soggetto. Debora Serracchiani, vicepresidente del Pd, si avvicina al leghista Edoardo Rixi. “Sta andando tutto in malora”. Rixi la guarda con pacifica curiosità,  come sulla spiaggia si può guardare un signore con la cravatta. La crisi non  lo riguarda. Non riguarda la Lega. “Se Conte  ha i numeri, buon per lui”. Salvini ha convinto Berlusconi. Il Cavaliere insisteva per una mossa. La proposta di un governo di unità nazionale. Ma Salvini niente. Fermo. Immobile. Come uno che sulla spiaggia guarda il signore con la cravatta.


Appena si avvicina un giornalista, i leghisti scappano. C’è quello che finge di telefonare alla moglie. Quello che si nasconde in bagno. Attraversa la grande porta di legno, s’infila in un loculo  e non riemerge più. L’imbarazzo è che non la sanno spiegare nemmeno loro la linea che hanno preso. La linea del Capitano. Vogliono evitare che gli si faccia la domanda. A che serve chiedere le elezioni? “Serve solo a ricompattare la maggioranza attorno a Conte”, diceva appena una settimana fa persino Lorenzo Fontana, che della Lega è il vicesegretario. Non un passante. Ma una settimana fa questa era la posizione della sola Giorgia Meloni. Ora è la posizione sulla quale Salvini ha di fatto attestato l’intera coalizione. Smentendo pure il suo Giancarlo Giorgetti, l’altro vicesegretario della Lega, l’orso saggio che quell’idea l’aveva coltivata. E non perché Giorgetti sia geniale, o Machiavelli. Ma  perché, come dice Renato Schifani a telefono, parlando con un amico e credendo di non essere ascoltato, “è all’incirca l’abc delle mosse politiche”. Si fa manovra. Ci si incunea. Si evidenziano le contraddizioni degli avversari. Si smonta la retorica della responsabilità. E’ la base. “L’alfabetizzazione minima”.

La Camera, nel giorno delle dimissioni del presidente del Consiglio, sprigiona una noia di cancelleria provinciale infestata dalle mosche. E per i parlamentari del centrodestra è una crisi strana, quasi malinconica, percorsa da una svogliatezza blasé. In cortile, Luigi Casciello, deputato napoletano di Forza Italia, si stiracchia seduto sulla panchina di ferro, mentre chiama ironicamente Salvini e Meloni  “i due scienziati della politica”. In corridoio, Matteo Perego, il deputato amico di Luigi Berlusconi, il più giovane dei figli del Cavaliere,  va scuotendo la testa e sbattendo le mascelle. E quando un collega gli dice che “Salvini è il grande elettore di Conte”, si mette a ridere, forse lo pensa pure lui. Chissà. Alla fine Gianfranco Rotondi sintetizza la situazione, a destra: “Se non si muove la Meloni non si muove Salvini e se non si muove Salvini non si muove Berlusconi al quale, intanto, per tenerlo buono, fanno credere che può andare a fare il presidente della Repubblica. Risultato? Lo stallo. L’assenza”. 
Dopodomani, Meloni, Salvini e Antonio Tajani andranno insieme da Sergio Mattarella, al Quirinale, per le consultazioni. “La via maestra sono le elezioni”, dice Ignazio La Russa, il meno giovane, dunque il più esperto e anche il più politico dei dirigenti di Fratelli d’Italia.  “Poi però, al fianco della via maestra, ci sono anche dei vicoli”, aggiunge. “Stradine che noi non vorremmo percorrere.  Viottoli che, tuttavia, se venisse ostruita la via centrale delle elezioni, qualcuno di noi potrebbe inforcare. Fratelli d’Italia no. Ma nemmeno griderebbe al tradimento”. Insomma, se Salvini volesse - dice La Russa - potrebbe fare manovra per un governo di unità nazionale. Il problema è che Salvini non si fida della Meloni che intanto resterebbe fuori. Pericolosamente libera alla sua destra. La teme. E tiene tutto fermo.

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