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i conti che non tornano

Così i tecnici di Camera e Senato picconano il Recovery del governo

Valerio Valentini e Simone Canettieri

Errori di calcolo, indicazioni poco chiare, rischio di provocare un incremento del debito, scelte in conflitto coi regolamenti europei. L'ufficio studi del Parlamento elenca le sue critiche al Pnrr. "E' una prassi", dicono al Mef. Ma in Transatlantico Pd e M5s sono in ansia: "Non ci voleva"

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Sarà pur vero, come in effetti subito s'affrettano a precisare dal Mef, che "è tutto normale, avviene sempre così". E però gli esponenti del Pd e del M5s che s'incrociano in Transatlantico, e che nel frattempo sono costretti a seguire sulle agenzie le convulsioni di questa crisi, si confessano tra loro che "no, proprio non ci voleva ora", che è insomma "una bottarella al governo". Alludono all'atteso dossier del Centro studi di Camera e Senato, che ieri ha inviato ai presidenti di commissione e ai capigruppo di Montecitorio e Palazzo Madama il suo incartamento di analisi del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza su cui si basa il Recovery plan italiano. E non è un'analisi accomodante, anzi. Nelle trentotto pagine del plico, dense di tabelle e notazioni, le critiche superano di gran lunga gli apprezzamenti. E del resto, per le vie informali, lo stesso commissario europeo Paolo Gentiloni, dal suo osservatorio di Bruxelles, aveva fatto sapere a chi lavora a Roma sul Recovery che la bozza elaborata dal governo "è, per essere buoni, un punto di partenza". Non proprio un elogio.

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Sarà pur vero, come in effetti subito s'affrettano a precisare dal Mef, che "è tutto normale, avviene sempre così". E però gli esponenti del Pd e del M5s che s'incrociano in Transatlantico, e che nel frattempo sono costretti a seguire sulle agenzie le convulsioni di questa crisi, si confessano tra loro che "no, proprio non ci voleva ora", che è insomma "una bottarella al governo". Alludono all'atteso dossier del Centro studi di Camera e Senato, che ieri ha inviato ai presidenti di commissione e ai capigruppo di Montecitorio e Palazzo Madama il suo incartamento di analisi del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza su cui si basa il Recovery plan italiano. E non è un'analisi accomodante, anzi. Nelle trentotto pagine del plico, dense di tabelle e notazioni, le critiche superano di gran lunga gli apprezzamenti. E del resto, per le vie informali, lo stesso commissario europeo Paolo Gentiloni, dal suo osservatorio di Bruxelles, aveva fatto sapere a chi lavora a Roma sul Recovery che la bozza elaborata dal governo "è, per essere buoni, un punto di partenza". Non proprio un elogio.

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E allora eccola, "la bottarella". Somme che non tornano, previsioni poco realistiche, calcoli approssimativi, sovrapposizioni poco chiare di diversi fondi di spesa, rischi di ricadute gravose sui conti pubblici. Il nodo dei problemi è soprattutto nella scelta adottata dal governo di includere, nel Pnrr, non solo i fondi del "Next generation Eu", ma anche quelli di altri progetti europei. Scelta in linea, in parte, con quella adottata dalla Francia, e che però preoccupa i contabili parlamentari: "Il Pnrr, in linea teorica, è richiesto dai regolamenti comunitari esclusivamente al fine di ottenere i finanziamenti del Recovery", scrivono. Tanto più che nell'unione dei vari fondi, la somma non sembra fare il totale. Nel senso che i conti non tornano. E così l'importo di 309 miliardi (somma del Next generation Eu e del Bilancio pluriennale europeo 2021-27) "non coincide con il complesso di risorse che il Pnrr prevede di utilizzare sia per le specifiche finalità del Piano medesimo sia in sinergia con il ricorso ai Fondi strutturali e alla 'programmazione di bilancio'".

 

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C'è poi un'altra stranezza, segnalata dal Centro studi di Camera e Senato, che allunga un'ombra fosca sulla tenuti dei conti pubblici. Ci sono infatti 14 miliardi che ballano come un'incognita: una specie di surplus di spesa stanziata rispetto alla capienza del Recovery, che il governo italiano pensa di usare come margine di cuscinetto (nel caso di un maggior effetto leva degli investimenti pubblici su quelli privati o nel caso in cui Bruxelles dovesse bocciarci alcuni progetti) e che però potrebbero tradursi in nuovo deficit. E però che succederebbe se la Commissione europea rigettasse alcuni dei nostri progetti? "Andrebbe chiarito se l’eventuale esclusione di tali interventi implichi la rinuncia da parte del Governo alla loro realizzazione", notano gli esperti contabili. Che proseguono: "In tal caso il piano oggetto dell’esame parlamentare, sovradimensionato rispetto alle risorse disponibili, presenterebbe un margine di indeterminazione, in quanto includerebbe una parte di opere che non verrebbero realizzate ovvero la cui individuazione e realizzazione sarebbe rinviata a una fase successiva. Ove invece, anche in caso di parziale reiezione, il governo sia orientato all’integrale realizzazione delle opere incluse nel piano, secondo la tempistica sottostante l’impostazione del Pnrr, la sua attuazione implicherebbe la potenziale esposizione a un deficit aggiuntivo rispetto a quello incluso nel quadro programmatico della Nadef". Il rischio, insomma, è che una volta messi in cantiere, quei progetti dovremmo comunque finanziarli, ma con risorse proprie. Facendo dunque nuovo debito

 

Ci sono poi 65,7 miliardi destinati a interventi "in essere" su cui parrebbe esserci poca chiarezza. Premessa infatti "la necessità di una conferma che per interventi in essere si intendano quelli disposti da provvedimenti, riconducibili alle finalità del Recovery, già emanati nel corso del 2020 - a partire da febbraio e ad esclusione delle misure adottate invece, in sede di manovra, con la legge di bilancio 2021 per finalità di anticipazione –", i tecnici della Camera e del Senato spiegano che "andrebbe altresì fornito il dettaglio delle disposizioni cui l’importo di 65,7 miliardi, indicato nel Pnrr, è complessivamente riconducibile". Insomma, di cosa parliamo quando parliamo di interventi "in essere"? Su questo va fatta maggiore chiarezza. 

 

E altrettante ne va fatta anche sugli interventi "nuovi", pari a 145,22 miliardi. Il Centro studi concentra la sua critica, nella fattispecie, sui 21,2 miliardi del Fondo sviluppo e coesione (Fsc), anche questo integrato nel Pnrr insieme al Next generation Eu. Il problema starebbe soprattutto nelle diverse tempistiche legate ai due fondi. Perché per utilizzare i fondi del Fsc nell'ambito del Recovery, c'è bisogno di anticiparne lo stanziamento, ma questo potrebbe portare a un incremento del deficit previsto. "In proposito - notano i tecnici . le informazioni contenute nel documento non consentono di verificare se si preveda che il profilo dell’indebitamento netto associato all’utilizzo del Fsc, per la componente anticipata nell’ambito del Pnrr, resti invariato rispetto alle previsioni tendenziali ovvero se la nuova procedura di programmazione determini un’accelerazione della spesa, con conseguente impatto sul deficit". Senza contare che la "coesione territoriale" è uno dei pilastri indicati da Bruxelles per orientare la spesa del Recovery. E, laddove si utilizzassero i fondi del Next generation Eu per sostituire quelli del Fondo sviluppo e coesione, questo potrebbe comportare un giudizio negativo da parte dell'Europa. 

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E poi ci sono anche i più banali errori di calcolo. Tredici miliardi che compaiono dal nulla, alla voce "prestiti". "Per quanto riguarda i prestiti Recovery, pari complessivamente a 127,6 miliardi, il documento afferma che essi sono destinati a finanziare, in chiave sostitutiva rispetto a titoli del debito pubblico nazionale, sia gli interventi 'in essere', per 65,7 miliardi, che quelli 'nuovi' già inclusi nel tendenziale, per 21,2 miliardi. Ne consegue che la quota residua dei prestiti Recovery, destinata a finanziare interventi 'nuovi', non inclusi negli andamenti tendenziali, ammonta a 40,7 miliardi . Si segnala in proposito che il documento indica invece in 53,5 l’ammontare dei prestiti destinato a finanziare interventi nuovi. Tenendo conto delle esigenze di coerenza tra i dati riportati e da conferme acquisite per le vie brevi, tale indicazione dovrebbe ritenersi attribuibile a un errore materiale".

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