PUBBLICITÁ

Il retroscena

La bomba su Cesa ricompatta i centristi, Conte ora è davvero "preoccupato"

La crisi di governo si attorciglia su se stessa. Il tempo scorre e i renziani sono rimasti gli unici da blandire

Simone Canettieri

L'inchiesta di Catanzaro blocca le trattative con Binetti e soci. Renzi punta a rientrare in gioco e ai suoi dice: "Se reggiamo qualche altro giorno è fatta"

PUBBLICITÁ

Toc toc: la procura antimafia di Catanzaro bussa anche alla porta dell’Udc. E le trattative fra il governo e i centristi (in possesso di tre fondamentali voti al Senato) si ritraggono, si spezzano, scompaiono. Il M5s si ritrova sotto l’ombrello della questione morale (urla Alessandro Di Battista, gli fa sponda Luigi Di Maio) e tutto torna sospeso, vago, peggio di prima. Lorenzo Cesa è indagato per associazione a delinquere aggravata dal  mafia: si dimette da segretario e si chiude nella sede mignon dell’Udc, ora in via Lucina, budello a ottanta passi dalla Camera e cento da Palazzo Chigi. La sede si trova in un palazzo incastrato tra i barbieri “Sergio e Mario” (“facemmo i capelli ad Andreotti”) e un negozio di orologi antichi. Il tempo non è passato. Giustizia & politica: cucù.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Toc toc: la procura antimafia di Catanzaro bussa anche alla porta dell’Udc. E le trattative fra il governo e i centristi (in possesso di tre fondamentali voti al Senato) si ritraggono, si spezzano, scompaiono. Il M5s si ritrova sotto l’ombrello della questione morale (urla Alessandro Di Battista, gli fa sponda Luigi Di Maio) e tutto torna sospeso, vago, peggio di prima. Lorenzo Cesa è indagato per associazione a delinquere aggravata dal  mafia: si dimette da segretario e si chiude nella sede mignon dell’Udc, ora in via Lucina, budello a ottanta passi dalla Camera e cento da Palazzo Chigi. La sede si trova in un palazzo incastrato tra i barbieri “Sergio e Mario” (“facemmo i capelli ad Andreotti”) e un negozio di orologi antichi. Il tempo non è passato. Giustizia & politica: cucù.

PUBBLICITÁ

 
 
Di primo pomeriggio, con il silenzio che si usa per partecipare al dolore altrui, entra nel palazzo che ospita la sede centristra Antonio Tajani. Sopra, un’unica segretaria che risponde al telefono: “Scusi, non posso darle retta, sono sola, ormai, mandi una mail di solidarietà al segretario”.

 

Sotto, a fianco al portone, una targa: “Dai poveri sono venuto, ai poveri dono”. Una frase di Alberto Alessi, figlio di N. N., arricchitosi durante la guerra con forniture militari poi diventato filantropo. Dopo questa inchiesta i tre senatori centristi si doneranno al “povero” Conte in cerca di voti? Paola Binetti si batte il petto: “Questa vicenda di Lorenzo per me è un potente distrattore che mi allontana dal governo”.

PUBBLICITÁ

 

Antonio De Poli, che è presidente dello sbeccato scudo crociato, “dice che è vicino all’amico Lorenzo”. E gli amici più intimi di Salvini ci scrivono: “Matteo ci ha parlato, non si muove”. Idem, assicurano, Antonio Saccone.

  

Dunque Conte è nei guai. Il pallottoliere è fermo a 156 (con tre senatori a vita), le trappole sono disseminate ovunque. “Siamo preoccupati”, dicono in questo gioco della drammatizzazione che trova nel Pd una grande spalla con il tenore Goffredo Bettini: “Se ci allarghiamo bene - dice il monaco del Pd, come lo chiamano al Nazareno - altrimenti il voto non ci fa paura”. La pistola dunque è di nuovo sul tavolo. Certo: serve per stanare i titubanti, i timidi, per convincere i peones di Palazzo Madama che o si danno una mossa o vanno a casa. Nel Pd danno per chiusa l’ipotesi centrista. E le persone più vicine a Luigi Di Maio ammettono: “Conte può essere salvato solo da Italia viva, o meglio dagli ex renziani”. E qui si ritorna nell’incertezza. Nel toto-nomi.

  

PUBBLICITÁ

Matteo Renzi dà per perso, o quasi, solo Eugenio Comincini in questo momento. A tutti gli altri anche ieri l’ex premier, con fare eroico, ha detto: “Se restiamo uniti, possiamo tornare in gioco. Dobbiamo resistere ancora qualche giorno perché Conte non ha i numeri”. Il gioco è tutto qui. Snervante, a tratti noioso. Eccitato solo dalla bombetta sganciata sull’Udc. In eccesso di interpretazione di tempi ed effetti, anche i grillini ammettono: “Questa inchiesta di Gratteri non ha liberato i centristi da Cesa, ma li ha di nuovo ricompattati”. Sarà così? Si corre, e si va di calcolo in continuazione.

PUBBLICITÁ

  

Anche perché mercoledì le Camere voteranno la relazione del Guardasigilli Alfonso Bonafede sullo stato della giustizia. Italia viva ha già annunciato il voto contrario. Ora immaginare che i forzisti a favore si spingano a un sì su un tema così identitario per gli azzurri nei confronti del ministro pentastellato sembra difficile. “Il presidente è preoccupato”, ripetono ancora a Palazzo Chigi a solo 24 ore dalla salita al Colle, quella che è servita a rassicurare il Capo dello Stato che un’altra maggioranza, con dignità di gruppo, è possibile. Ma ecco che i dieci giorni chiesti diventano meno. E si piomba già su mercoledì. “Se il governo va sotto Conte si deve dimettere. Altrimenti che fa?”, riflettono i dirigenti del Pd che parlano di continuo con Nicola Zingaretti. Bruno Astorre, assai vicino a Dario Franceschini, propone una strategia di attacco. Forse folle, di sicuro spericolata: “Conte deve presentarsi e chiedere i 161 voti di maggioranza. O la va o la spacca. Se la gente c’è, verrà fuori, creando un effetto dominino, altrimenti qui non si esce dallo stallo”. Tutti danno soluzioni, anche estreme, molti sperano in estreme unzioni. C’è un pezzo importante del M5s che  dice di non voler seguire Conte fino al voto confidando nel Parlamento. C’è Matteo Renzi che lancia appelli: “Ritorniamo alla politica”. C’è caos. Poco si muove, al di là delle veline, e il tempo stringe. E intanto Conte cede la delega ai Servizi segreti a Pietro Benassi (il suo  attuale consigliere diplomatico). Dunque tutto rimane a Chigi.  

PUBBLICITÁ
Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ