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Prigionieri della loro retorica, i sovranisti non toccano palla nella crisi

Salvatore Merlo

Conte poteva cadere ma Salvini non ha nemmeno tentato di spingerlo. “Dovevamo proporre un patto a Renzi”

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Scena numero uno. Lunedì 18 gennaio, quattro giorni fa. Montecitorio. Esterno giorno d’una svogliatissima crisi di governo. I leghisti sfumacchiano nervosamente in cortile, disegnano  capricciosi semicerchi e repentine diagonali. Sentono di non essere in partita. Anzi di non aver nemmeno incominciato a giocarla.  “Meloni sbaglia a chiedere le elezioni”, dice uno di loro, Lorenzo Fontana, che della Lega è il vicesegretario. “Questa non è politica. Così ricompatta la maggioranza e basta”.

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Scena numero uno. Lunedì 18 gennaio, quattro giorni fa. Montecitorio. Esterno giorno d’una svogliatissima crisi di governo. I leghisti sfumacchiano nervosamente in cortile, disegnano  capricciosi semicerchi e repentine diagonali. Sentono di non essere in partita. Anzi di non aver nemmeno incominciato a giocarla.  “Meloni sbaglia a chiedere le elezioni”, dice uno di loro, Lorenzo Fontana, che della Lega è il vicesegretario. “Questa non è politica. Così ricompatta la maggioranza e basta”.

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Scena numero due. Arriva Edoardo Rixi. Colonnello salviniano, ex viceministro dei Trasporti. “La prima soluzione dovrebbe essere quella di proporre un governo istituzionale”, dice. “Ci vuole niente a mettere in mutande questi pasticcioni”.

 

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Scena numero tre. Dieci giorni fa. Interno sera. Casa di Salvini. Presenti Meloni, Tajani e Berlusconi collegato col computer. A un certo punto il segretario della Lega la butta lì, forse senza nemmeno crederci troppo. Bisogna tentare una proposta politica per spiazzare la maggioranza in procinto di esplodere, dice. Un nuovo governo. “Lo facciamo noi con Renzi e i fuoriusciti del M5s”. Meloni contrarissima. Berlusconi curioso. Salvini incerto e remissivo.  Alla fine non se n’è fatto niente. Nemmeno un accenno. Ed ecco adesso gli sguardi malinconici dei leghisti che  si sentono come le mosche nel bicchiere. La destra è rimasta spettatrice passiva. Imbrigliata in un suo gioco di veti e paure. Incapace di fare qualsiasi manovra.

   

E la tentazione di dire che Salvini non è leader di niente, e che confonde sempre la piazza con il Palazzo, i social con la politica, come ai tempi del Papeete, insomma la tentazione di descriverlo come un povero urlatore inintelligente, è fortissima. Pure in Forza Italia. Dice un vecchio navigatore di Palazzo, che pretende (e ottiene) l’anonimato: “Non siamo una alleanza politica. Siamo un cartello elettorale. Non c'è una regia. Non c’è un coordinamento. Non c’è una prospettiva. Si agisce all’impronta. Nell’incapacità di muoversi dentro le regole basilari della politica parlamentare. Manca l’abc”. Descrizione impietosa. Persino troppo. Quando la si riporta ai leghisti, loro tendono a dare la colpa alla Meloni “che dice solo di no perché pensa che la ‘coerenza’ sia il suo marchio vincente”. E allora pone dei veti, dicono i leghisti. Incastrata in un’eterna competizione con Salvini, un gioco che li blocca entrambi. Ma questa è la versione leghista.   Perché dalle parti di FdI spiegano che le cose sono in realtà un po’ “più complicate di così”. La ragione dello stallo, dell’assenza d’iniziativa, la ragione per la quale la proposta di un governo istituzionale o di salvezza che forse avrebbe spiazzato Conte non è stata avanzata, secondo FdI risiederebbe nell’inaffidabilità del quadro parlamentare, nell’inaffidabilità di Renzi e nella totale mancanza di quelle minime aperture (anche ufficiose) da parte del centrosinistra e del Quirinale. Detto in parole semplici: il Pd non ha una guida capace di garantire nulla, Renzi non avrebbe garantito l’unità dei suoi, i parlamentari di Forza Italia sono  allo sbando (ieri anche Salvini ha chiesto: “Ci sono problemi in FI?”), e in pratica non ci sono interlocutori affidabili da nessuna parte. Come ci si potrebbe mai infilare in un ginepraio del genere, rischiando pure di fare la figura dei poltronisti?

   

Insomma a passare per sprovveduti, egoisti, analfabeti politici (o peggio per cretini), gli uomini della Meloni non ci stanno. Al che i leghisti rispondono che sono scuse, in parte. Ovvero che l’operazione è ovviamente complicata, ma proprio sulla sua complessità il partito della Meloni ha costruito un alibi per porre sostanzialmente un veto. Un veto che sottende una minaccia che non è nemmeno necessario esplicitare: se arrivasse da parte di  Salvini una vera proposta di governo istituzionale, concordata con Renzi, la leader di FdI si tirerebbe fuori. Denuncerebbe il tradimento. Vanterebbe la propria purezza. Lucrando elettoralmente a destra. E questo Salvini lo teme. Moltissimo. Più di tutto. Al punto da fermare ogni cosa visto che, raccontano alcuni suoi collaboratori, “mezze parole con Renzi e pure col Pd ci sono già state”. Mancanza di coraggio?  Forse. Il risultato è che a furia di retorica antisistema e anti palazzo la destra è diventata  prigioniera del Palazzo. Oggi vanno tutti da Mattarella. Ma per fare poi un post su Instagram.

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