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Il retroscena

Conte nel labirinto: "Renzi vuole la mia testa". E ora non sa quanto fidarsi di Pd e M5s

Lo strappo di Italia viva obbliga il premier a una nuova strategia. Già questa mattina potrebbe andare al Colle

Simone Canettieri

Mattarella "sorpreso" per l'esito della crisi. Italia viva tratta a tutto campo per cercare un nuovo presidente del Consiglio. Faro su Franceschini e Di Maio. Ma l'Avvocato del popolo non molla e medita la conta

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Tutto sta nel Kairos di cui parla la ministra dimissionaria Elena Bonetti. Il momento opportuno di Italia viva per uscire dal governo diventa anche quello per Matteo Renzi per dire che sì, va bene, “non c’è un veto su Conte”, ma allo stesso tempo “non bisogna impiccarsi su un nome”. Perché “ci sono più nomi per il premier”. 
E proprio nel continuo richiamo alle “liturgie della democrazia”, alla “centralità del Parlamento” si cela la sfida che Iv lancia all’ “avvocato del popolo”: prima ti dimetti e poi parliamo; oppure sfidaci e vediamo se hai i numeri in Senato. E così “l’atto di responsabilità” per uscire dall’immobilismo, come scrive Teresa Bellanova nella sua lettera di commiato al governo, diventa un pantano per il premier. Conte  dirà di averle provate tutte per ricucire con Iv, di essersi messo nelle mani del Pd, ma come ragiona appena Renzi termina la conferenza stampa: “Matteo vuole la mia testa”. Sicché si ritorna al punto iniziale, ma con una novità sostanziale: Italia viva è uscita dal governo.  Le prime reazioni sono di estrema durezza. Nicola Zingaretti drammatizza al massimo: “Ora tutto è a rischio”. Agitando per l’ennesima volta lo spauracchio del voto a cui non crede nessuno, o almeno Luca Lotti, leader della corrente dem Base riformista insieme a Lorenzo Guerini: “Questa crisi è stata aperta in parlamento e non serve dirvi i numeri dei gruppi in parlamento”, dice ai suoi deputati. E sono proprio le Camere dove Renzi ha gettato un amo. Il M5s, al di là delle iniziali dichiarazioni di Crimi e Bonafede, è disposto a seguire Conte fino alla fine? Oppure, come dice il senatore grillino Marco Croatti, “il bene comune viene prima del singolo?”.  

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Tutto sta nel Kairos di cui parla la ministra dimissionaria Elena Bonetti. Il momento opportuno di Italia viva per uscire dal governo diventa anche quello per Matteo Renzi per dire che sì, va bene, “non c’è un veto su Conte”, ma allo stesso tempo “non bisogna impiccarsi su un nome”. Perché “ci sono più nomi per il premier”. 
E proprio nel continuo richiamo alle “liturgie della democrazia”, alla “centralità del Parlamento” si cela la sfida che Iv lancia all’ “avvocato del popolo”: prima ti dimetti e poi parliamo; oppure sfidaci e vediamo se hai i numeri in Senato. E così “l’atto di responsabilità” per uscire dall’immobilismo, come scrive Teresa Bellanova nella sua lettera di commiato al governo, diventa un pantano per il premier. Conte  dirà di averle provate tutte per ricucire con Iv, di essersi messo nelle mani del Pd, ma come ragiona appena Renzi termina la conferenza stampa: “Matteo vuole la mia testa”. Sicché si ritorna al punto iniziale, ma con una novità sostanziale: Italia viva è uscita dal governo.  Le prime reazioni sono di estrema durezza. Nicola Zingaretti drammatizza al massimo: “Ora tutto è a rischio”. Agitando per l’ennesima volta lo spauracchio del voto a cui non crede nessuno, o almeno Luca Lotti, leader della corrente dem Base riformista insieme a Lorenzo Guerini: “Questa crisi è stata aperta in parlamento e non serve dirvi i numeri dei gruppi in parlamento”, dice ai suoi deputati. E sono proprio le Camere dove Renzi ha gettato un amo. Il M5s, al di là delle iniziali dichiarazioni di Crimi e Bonafede, è disposto a seguire Conte fino alla fine? Oppure, come dice il senatore grillino Marco Croatti, “il bene comune viene prima del singolo?”.  


Il problema è proprio nella pancia del Movimento, il partito più numeroso della maggioranza. I capigruppo di Camera e Senato si raccomandano nelle rispettive chat di non fare uscite pubbliche a titolo personale. La blindatura giallorossa intorno a Conte è davvero a doppia mandata? La prima risposta ufficiale del premier alla mossa di Renzi è la conferma del Consiglio dei ministri previsto poche ore dopo la conferenza stampa. Un Cdm orfano di Italia viva. La riunione inizia in ritardo perché Conte è chiuso con i suoi consiglieri per capire il da farsi. A conti fatti, il premier ammette che non voleva concedere nulla a Renzi con quella dichiarazione di apertura lanciata per strada di ritorno dal Quirinale, temeva quello che sta accadendo: l’agguato, il tranello. Il capo dello stato forse lo aspetta già questa mattina. Sergio Mattarella nella serata di ieri si è detto comunque “sorpreso”, per usare un eufemismo, davanti alla piega presa nel governo. 
L’iniziativa spetta dunque al presidente del Consiglio: dimettersi, andare alle Camere per sfidare Renzi, congelare le dimissioni delle ministre di Iv per tenere aperto uno spiraglio, l’ultimo, di trattativa prima della roulette del Parlamento? La sensazione è quella del labirinto che porta di nuovo Conte in uno stato di solitudine. Avrò fatto bene, si domanda, a fidarmi del Pd vista la reazione di Iv? E il Movimento fino a che punto è pronto a seguirmi rischiando anche il voto anticipato? Si rimettono in moto gli animal spirit che governano il partito più incontrollabile di questa legislatura. In molti cercano Luigi Di Maio, il vero leader dei grillini, l’uomo della manovra un possibile punto di caduta, uno dei tanti, per tenere in piedi (forse) questa maggioranza (“Sono preoccupato”).

Ma c’è anche il nome di Dario Franceschini, ammesso che i pentastellati reggano. Dal Nazareno, dove sanno che l’unica arma contro Renzi è il voto anticipato, ieri sera alle 20.56 dicevano: “Stiamo andando a mille all’ora verso le urne anticipate”. Strategia? Convinzioni figlie del momento? Nicola Zingaretti è convinto che Renzi punti a un governo istituzionale per arrivare fino al 2023. Ma anche queste sono suggestioni. Perché l’iniziativa è ancora nelle mani del premier. Che tra strappi violenti e ricami amorevoli con Italia viva si ritrova da capo a dodici. Ma questa volta con due ministri in meno e con un’altra visita al Colle da compiere, forse la scalata più dura. Questione di Kairos.

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