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Gli ultimi voti di Martina in Parlamento prima di entrare alla Fao

Annalisa Chirico

La Cina, i mercati aperti (“Nessuno può fare per sé”), le grandi questioni alimentari: parla il neo vicedirettore

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Addio Parlamento, Maurizio Martina è pronto ai blocchi di partenza per il suo nuovo incarico onusiano, direzione Fao, l’agenzia che dal 1945 lotta contro la fame nel mondo. “Sono qui alla Camera per i miei ultimi voti”, risponde lui, deputato ancora per poco, già ministro dell’Agricoltura nei governi Renzi e Gentiloni, segretario del Pd per una breve stagione e neovicedirettore  dell’agenzia basata a Roma e guidata dal cinese Qu Dongyu. “La militanza politica mi mancherà, sono cresciuto dentro il partito, tra sezioni, circoli e feste dell’Unità”.

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Addio Parlamento, Maurizio Martina è pronto ai blocchi di partenza per il suo nuovo incarico onusiano, direzione Fao, l’agenzia che dal 1945 lotta contro la fame nel mondo. “Sono qui alla Camera per i miei ultimi voti”, risponde lui, deputato ancora per poco, già ministro dell’Agricoltura nei governi Renzi e Gentiloni, segretario del Pd per una breve stagione e neovicedirettore  dell’agenzia basata a Roma e guidata dal cinese Qu Dongyu. “La militanza politica mi mancherà, sono cresciuto dentro il partito, tra sezioni, circoli e feste dell’Unità”.

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Da Berlinguer a Dongyu: secondo lei, Martina, è fondata l’accusa di una eccessiva influenza cinese in ambito Onu?  “Non ho elementi in proposito, posso assicurarle però che l’esperienza interpretata dall’attuale direttore generale è di enorme apertura e interesse”.

   

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Proprio con la Cina l’Europa ha recentemente concluso un accordo per incentivare gli investimenti: non sarebbe il caso di imporre “global legal standard” al gigante cinese in materia di diritti dei lavoratori e tutela ambientale? “Ogni sforzo in questa direzione va incoraggiato. L’accordo in questione apre una prospettiva di collaborazione nel segno della reciprocità, dunque è un passo avanti, frutto di un lavoro faticoso ma rispettoso delle rispettive diversità. Tra un accordo e nessun accordo, io preferisco il primo”.

   

A detta dei suoi detrattori, la Fao, con un budget intorno ai 2,6 miliardi di dollari, somiglierebbe a un gigantesco centro studi, a differenza del World Food Programme, l’agenzia che garantisce concretamente la sicurezza alimentare in tante parti del mondo. “Sono due strutture diverse e distinte. La Fao è concentrata sullo sviluppo agricolo alimentare, non fornisce la prima assistenza. Il Wfp invece è una struttura operativa che si attiva sul campo nelle emergenze”.

   

Sui compensi di dirigenti e funzionari le informazioni scarseggiano: lei guadagnerà bene? “Non ho approfondito i dettagli ma penso che guadagnerò meno di adesso”.

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L’esperienza da ministro dell’Agricoltura le è servita? “Direi di sì, in un certo senso è stata un volano. Sono un perito tecnico agrario, laureato poi in Scienze politiche, ho sempre considerato i temi agricoli, alimentari e ambientali come fondamentali per il modello di sviluppo di una società. Ho avuto inoltre la fortuna di occuparmi di Expo, ora potrò misurarmi con un’esperienza diplomatica internazionale che mi onora. Spero di fornire una rappresentanza utile del nostro paese”.

   

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Di che cosa si occuperà nello specifico? “Seguirò i temi del G20 a presidenza italiana, coordinerò i lavori preparatori del Food Summit delle Nazioni Unite che rappresenterà, a luglio, un momento importante per costruire un’agenda globale sull’equità dei sistemi agricoli e sul diritto al cibo nel mondo post Covid. Cercherò poi di dare attuazione al progetto di Food Coalition, lanciato proprio dall’Italia, vale a dire un network multi-stakeholder, comprensivo di Ong, università e centri di ricerca, impegnato su questioni legate alla sostenibilità alimentare. In ultimo, la sfida digitale in agricoltura: un tema sempre più rilevante”. 

   

Lei ha firmato un libro per Mondadori, “Cibo sovrano”, che suona come uno sfottò ai sovranisti. “Un conto è la sovranità, un conto è il sovranismo. Il primo implica una nozione positiva di autonomia, il secondo invece condanna una comunità a una logica autoreferenziale e conflittuale rispetto al mondo circostante. Io sono favorevole a mercati aperti con regole giuste. Conviene anche all’Italia: siamo un paese di trasformatori ed esportatori alimentari, dazi e chiusure danneggiano il made in Italy”. 

   

Com’è possibile che in un mondo pieno di cibo si verifichino ancora crisi alimentari? “E’ tra le grandi contraddizioni dei nostri tempi che la pandemia ci ha sbattuto in faccia. Da una parte, anche negli scorsi mesi poche grandi imprese hanno sviluppato un potenziale straordinario di profitti e presenze nei mercati; dall’altra parte, osserviamo lunghe file di persone, anche nelle nostre città, nel cuore dell’Occidente, in attesa di ricevere un pasto caldo quotidiano, scaraventate sulla soglia della povertà. E’ un gigantesco tema democratico che la comunità internazionale deve affrontare, e la Fao è uno dei soggetti multilaterali che può offrire soluzioni per affrontare i nodi irrisolti. Serve una nuova stagione del multilateralismo cooperativo, nessuno può fare per sé. Lo abbiamo visto durante l’emergenza sanitaria, e lo vediamo sulle grandi questioni alimentari e ambientali che, anche sul piano geopolitico, non sono meno rilevanti degli equilibri dettati dal petrolio o dalla proprietà dei big data”.

   

Il cibo tocca il tema delle risorse scarse, a partire da acqua e terra. “Quando i sistemi alimentari locali vanno in shock, scoppiano le rivoluzioni, guai a scordarlo. L’apporto della scienza e della tecnologia è fondamentale per garantire l’accesso al cibo, coniugando insieme sostenibilità e tutela della biodiversità a ogni latitudine”.

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