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Tensione a Palazzo Chigi

Conte nel mirino, Orlando ai renziani: "Così sarà crisi, salviamo il Recovery almeno"

Scontro durante la capidelegazione. Faraone chiede il Mes e anche il Ponte sullo Stretto. Boschi attacca i ministeri di Dadone e Speranza. Il premier: "Il Recovery non è lo strumento per definire tutte le questioni"

Simone Canettieri

Italia viva contro Gualtieri: "Dal ministero dell'Economia provocazioni politiche". Poi il vice di Zingaretti sbotta. Il premier cerca Renzi tramite i suoi amici: "Non mi risponde. Gli ho già offerto quello che vuole": Poi prende tempo per un nuovo confronto

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Quando Davide Faraone prende la parola, sono da poco passate le 19. E agli esponenti del M5s presenti al vertice si chiarisce subito il senso dell’incontro: “Sono venuti per rompere, non per trattare”, scrivono i grillini di governo che partecipano alla capidelegazione voluta da Giuseppe Conte per discutere la nuova bozza del Recovery plan.

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Quando Davide Faraone prende la parola, sono da poco passate le 19. E agli esponenti del M5s presenti al vertice si chiarisce subito il senso dell’incontro: “Sono venuti per rompere, non per trattare”, scrivono i grillini di governo che partecipano alla capidelegazione voluta da Giuseppe Conte per discutere la nuova bozza del Recovery plan.

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Quella che il capogruppo renziano al Senato, definisce nientemeno che “una provocazione politica da parte del ministro Gualtieri”. Così, in faccia al titolare del Mef, che ascolta basito: tanto per far capire l’aria che tira. E del resto Matteo Renzi ha condiviso già la stroncatura dei suoi fedelissimi: quel Pnrr, sia pur migliorato rispetto alla versione iniziale, resta “impresentabile”. Intanto nella forma: “Di un piano di 130 pagine ci hanno fornito una sintesi di 13 facciate”.

E poi nella forma: “Manca il dettaglio sui singoli progetti. E perfino la somma finale non torna: 8 miliardi non si capisce da dove saltino fuori”. Gualtieri prova a incassare: “Maggiori dettagli entreranno in Consiglio dei ministri”.  
 

Il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, gli va in soccorso: “Non si può sostituire il Cdm con una riunione di maggioranza”. Ma Faraone,  con la collega Maria Elena Boschi e la ministra Teresa Bellanova, rilancia: “Il Mes resta irrinunciabile”, scandisce. Quando il senatore di Iv arriva  a parlare del ponte sullo Stretto, diventa chiaro a tutti che ricomporre l’infranto non si può. Anche Boschi attacca Roberto Speranza e Fabiana Dadone, perché i ministeri della Sanità e della Funzione pubblica “non funzionano come dovrebbero”.

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A quel punto  Orlando si scambia un’occhiata con Dario Franceschini e alza le mani: “Se siamo messi così, non escludo la  crisi di governo se siamo messi così. Salviamo almeno il Recovery”.  E a nulla, allora, valgono le cerimonie di Conte, la sua cortesia dissimulata con cui ha dato avvio la riunione: “Grazie per essere qui, grazie per il senso di responsabilità”.

Ma del resto, che le intenzioni del suo rivale fossero bellicose, l’avvocato di Volturara l’aveva già capito, se è vero che nelle ultime ventiquattr’ore è arrivato perfino a cercare a telefono amici personali di Renzi, suoi ex fedelissimi ai tempi della Rottamazione: “Lo chiamo ma non mi risponde. Gli ho dato quello che chiede, ma lui alza ancora la posta”. 

E in fondo sta qui, il senso di questo stallo. “Matteo non può accettare un semplice rimpasto, ma sul Conte ter ci starebbe”, dicevano ieri i pontieri renziani ai deputati del M5s, come a volerli tranquillizzare.

Solo che per arrivarci, al Conte ter, serve una crisi. Serve che il premier si dimetta. “Sennò io al tavolo neppure mi siedo”, ripete il senatore di Scandicci. E Conte invece a dimettersi non ci pensa: e prova a troncare e sopire, a tirarla per le lunghe.

Finendo allora con l’indispettire pure Nicola Zingaretti. Il quale ieri, nella sua relazione, dopo aver condannato gli “avventurismi distruttivi” di Renzi, dopo essersi negato a qualsiasi ipotesi di “governo trasversale o tecnico”, ha stigmatizzato anche “la pigrizia nell’azione di governo”, e ha insistito affinché “si adotti il testo in Cdm”.

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Una critica all’immobilismo che, di fatto, finisce però con l’accelerare i tempi della crisi. Perché un accordo, in Cdm, non si troverebbe. E per questo Conte, alla luce dell’ennesimo sfregio dei renziani di ieri, cerca di rimandarlo almeno fino a metà della prossima settimana. Quando comunque, stando a quanto Renzi garantisce, le due ministre Bellanova e Bonetti formalizzerebbero il loro ammutinamento. La crisi. L’altra ipotesi resta quella della conta in Aula, la sfida occhi negli occhi col regicida di Rignano. E che a tentazione sia forte lo dimostrano, tra gli altri, due senatori di Iv: che mostrano dagli schermi dei loro smartphone le chiamate ricevute dal centralino di Palazzo Chigi. La caccia ai responsabili è ancora aperta. E se anche dovesse risolversi in una vittoria aritmetica (sono 4 i senatori di Iv che mollerebbero), il tracollo politico del BisConte sarebbe comunque conclamato.

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Anche per questo il premier chiude la riunione cercando di guadagnare altro tempo: "Il Recovery non è lo strumento per definire tutte le questioni poste sui tavoli di confronto della maggioranza. Anche perché vi sono interventi che non possono essere finanziati con il Recovery Fund. Nei prossimi giorni vi inviterò al confronto per concordare una lista di priorità per la restante parte della legislatura". La crisi continua.

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