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Il personaggio

La doppiezza di Zingaretti: sconfiggere Conte con Renzi e Renzi con Conte

Tattica e fiuto di un uomo che non ama rischiare

Salvatore Merlo

Dr. Zingaretti  e Mr. Nicola, ecco il gioco politico che il segretario (debole) del Pd usa per arginare i suoi alleati-nemici

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Da segretario del Pd si affida al precario e rischioso equilibrio tra crisi e continuità, dunque stempera, difende, puntella, smussa, “rimaniamo contrari a posizioni politiche che rischiano di destabilizzare la maggioranza di governo”, dice. E poi aggiunge: “La  parola d’ordine è  costruire”. Professore di equilibrio tra gli squilibrati, il segretario è il pompiere dell’incendiario Matteo Renzi, la sua nemesi. Poi però, da presidente del Lazio, ecco che lo stesso  Nicola Zingaretti (ma forse è un altro) assume il passo risoluto della legione tebana. Si trasforma. Manda avanti contro il governo  il suo assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, che da settimane fa esercizio di critica sulla gestione del Covid e dei vaccini.  E spinge la propria risolutezza  al punto da suonare ultimativo: “O il governo rinvia la riapertura delle scuole o decidiamo noi presidenti di regione”. Boom. Accadeva appena lunedì scorso.  Il cauto che si fa coraggioso. Il morbido che diventa duro. Imparzialmente diviso tra speranza e scontentezza, ansietà e fiducia, sembra che Zingaretti  abbia il piacere e il dispiacere d’essere molti, di vedere entrambi i se stesso, di essere di lotta e di governo, con Conte e contro Conte. Insieme mediatore e pure belligerante. Dottor Zingaretti e Mister  Nicola.

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Da segretario del Pd si affida al precario e rischioso equilibrio tra crisi e continuità, dunque stempera, difende, puntella, smussa, “rimaniamo contrari a posizioni politiche che rischiano di destabilizzare la maggioranza di governo”, dice. E poi aggiunge: “La  parola d’ordine è  costruire”. Professore di equilibrio tra gli squilibrati, il segretario è il pompiere dell’incendiario Matteo Renzi, la sua nemesi. Poi però, da presidente del Lazio, ecco che lo stesso  Nicola Zingaretti (ma forse è un altro) assume il passo risoluto della legione tebana. Si trasforma. Manda avanti contro il governo  il suo assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, che da settimane fa esercizio di critica sulla gestione del Covid e dei vaccini.  E spinge la propria risolutezza  al punto da suonare ultimativo: “O il governo rinvia la riapertura delle scuole o decidiamo noi presidenti di regione”. Boom. Accadeva appena lunedì scorso.  Il cauto che si fa coraggioso. Il morbido che diventa duro. Imparzialmente diviso tra speranza e scontentezza, ansietà e fiducia, sembra che Zingaretti  abbia il piacere e il dispiacere d’essere molti, di vedere entrambi i se stesso, di essere di lotta e di governo, con Conte e contro Conte. Insieme mediatore e pure belligerante. Dottor Zingaretti e Mister  Nicola.

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Sulla necessità di dissimulare i propri intendimenti e moti dell’animo, sulla necessità di sdoppiarsi, l’arte del potere lascia margini molto ampi, e anzi in qualche modo persino li giustifica promuovendo la doppiezza al rango di indispensabile qualità politica.  Si sa, per esempio, che con i due forni Andreotti usava due opportunità che teoricamente si escludevano, e traeva vantaggi sia dalla destra sia dalla sinistra.  Mentre si sa che Cavour, il più doppio nel paese della doppiezza, usava sia Garibaldi  sia l’esercito regio per mettere tutti nel sacco. E Zingaretti invece? Si parva licet, lui vuole ridimensionare Conte attraverso Renzi ma poi vuole anche frenare Renzi attraverso Conte. Dunque recita tutti i ruoli, sulla scena e fuori dalla scena,  come nel teatro monomultiplo.

Consapevole che anche sul trono si consumano i pantaloni, che i gruppi parlamentari non gli rispondono, che la segreteria è cosa ben fragile, che il governo ha un azionariato troppo diffuso e incontrollabile (da lui) e che per soprammercato c’è pure Dario Franceschini che da una posizione ben più solida della sua  vuole immobilizzare tutto attorno a sé, tempo e spazio, storia e paesaggio, ecco allora che Zingaretti si sdoppia, per ottenere il massimo del movimento col minimo dello spostamento. Conquistare senza terremotare, minacciare senza segare il ramo sul quale si sta tutti seduti, accrescere la propria influenza lasciando che siano gli altri – gli avversari – a indebolirsi tra loro.  Renzi serve a far capire a Conte (e persino a Roberto Gualtieri, il ministro dell’Economia) di che erba è fatta la scopa. Ma poi Renzi va a sua volta sterilizzato attraverso Conte (e  Gualtieri) che vanno indeboliti ma non rimossi. L’importante è che si garantiscano vicendevolmente una vita dolorosa.  

Anche il comunista repubblicano Togliatti sconfiggeva il fascismo con i partigiani della monarchia, e poi, con tutti i partigiani, sconfiggeva la monarchia. E sebbene il paragone suoni quanto meno blasfemo, oggi   Zingaretti vuole sconfiggere Conte con Renzi, e poi, vuole anche sconfiggere Renzi con Conte. Convivono così il segretario pacioso e il governatore ultimativo, quello che prende le distanze dai riformisti di Italia viva e quello che in realtà ne conferma e ne condivide le tesi, il galleggiatore da palude e il velista da regata. C’è infatti Nicola Zingaretti, il segretario del Pd, che dice: “Niente crisi al buio, non sono i ministri quelli che dobbiamo cambiare”. E c’è poi Zingaretti Nicola, il presidente della regione Lazio, che quasi sfiducia la ministra Azzolina (“sulla scuola il governo usi la collaborazione e non alimenti divisioni”) e  spinge il suo assessore D’Amato a criticare  il ministro della Sanità Roberto Speranza. Poiché non prende una posizione per non prendersi dei rischi, di posizioni ne prende due. E opposte. In questo modo, alla fine, come in un film di Sergio Leone, veglia sui suoi carissimi nemici. Ma senza mai prendere l’iniziativa, anzi rifuggendo proprio  dall’azione, perché l’azione provoca attrito e l’attrito conduce al pericolo. Solo lo sdoppiamento infatti consente di essere sia di qua che di là, in nessun posto e in tutti i posti. Resta fermo, eppur si muove. 
 

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