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Cari populisti, grazie di esistere

Claudio Cerasa

Oggi arrancano, ma hanno avuto il merito di ricordare alle democrazie liberali quali sono i valori non negoziabili e quali le ragioni per cui il benessere del mondo, vaccini compresi, è inversamente proporzionale alla diffusione della loro cultura 

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Ora che sembrano battere finalmente in ritirata, ora che i loro graffi non procurano più dolore, ora che i loro ruggiti non fanno più paura, ora che i loro progetti si sono arenati, ora che i loro avversari si sono affermati, ora che le loro idee non fanno più presa, ora che i loro miti sono stati sconfitti, ora che le loro esperienze di governo sono state bocciate, ora che i loro referendum sono stati rimossi, ora che è successo tutto questo, e molto altro che certamente ci staremo scordando, è giunto il momento di dire, con un po’ di faccia tosta, quello che in tanti, tra un’ondata e l’altra, abbiamo pensato in questi mesi: cari populisti, grazie di esistere. Può sembrare paradossale, certo, e può essere un po’ da paraculi dirlo oggi che il populismo arranca, grazie al cielo, ma la verità è che la presenza e l’ascesa del populismo sulla scena mondiale hanno contribuito in modo decisivo a ricordare alle democrazie liberali quali sono i propri valori non negoziabili, quali sono i propri princìpi irrinunciabili e quali sono le ragioni per cui il benessere del mondo – vaccini compresi – è inversamente proporzionale alla diffusione della cultura populista. Vale per il passato, vale per il presente, vale per il futuro.

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Ora che sembrano battere finalmente in ritirata, ora che i loro graffi non procurano più dolore, ora che i loro ruggiti non fanno più paura, ora che i loro progetti si sono arenati, ora che i loro avversari si sono affermati, ora che le loro idee non fanno più presa, ora che i loro miti sono stati sconfitti, ora che le loro esperienze di governo sono state bocciate, ora che i loro referendum sono stati rimossi, ora che è successo tutto questo, e molto altro che certamente ci staremo scordando, è giunto il momento di dire, con un po’ di faccia tosta, quello che in tanti, tra un’ondata e l’altra, abbiamo pensato in questi mesi: cari populisti, grazie di esistere. Può sembrare paradossale, certo, e può essere un po’ da paraculi dirlo oggi che il populismo arranca, grazie al cielo, ma la verità è che la presenza e l’ascesa del populismo sulla scena mondiale hanno contribuito in modo decisivo a ricordare alle democrazie liberali quali sono i propri valori non negoziabili, quali sono i propri princìpi irrinunciabili e quali sono le ragioni per cui il benessere del mondo – vaccini compresi – è inversamente proporzionale alla diffusione della cultura populista. Vale per il passato, vale per il presente, vale per il futuro.

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E’ andata così nel 2015, quando la Grecia di Alexis Tsipras, trovandosi nella condizione di poter scegliere se dare un calcio all’euro o un calcio agli anti euro, ha scelto di cambiare registro decidendo di dare un calcio agli anti euro. E’ andata così nel 2016, quando la scelta degli inglesi di uscire dall’Europa ha costretto l’Europa a ripensare le sue coordinate e ha costretto le istituzioni del nostro continente a cercare una via utile per superare lo status quo. E’ andata così ancora nel 2016, quando l’avvento sulla piazza di Donald Trump ha convinto ancora di più l’Europa di quanto fosse necessario per il nostro continente essere padrone del proprio destino senza dover dipendere eccessivamente dalla mammella americana. E’ andata così nel 2017, quando la vittoria dei catalani al referendum indipendentista, referendum a cui ha fatto seguito una costante erosione dell’economia della regione, ha mostrato all’Europa la pericolosità del secessionismo, e non è un caso che dopo quel referendum il massimo della pericolosità registrata in Europa in termini di secessionismo ha coinciso con il doppio referendum sull’autonomia di due regioni italiane come Veneto e Lombardia. E’ andata così ancora nel 2017 quando, grazie a Marine Le Pen, la Francia prima e l’Europa dopo hanno scoperto il talento di un europeista con i fiocchi come Emmanuel Macron. E’ andata così nel 2018 quando, grazie al talento autodistruttivo di Matteo Salvini, l’Europa ha scoperto quanto sia pericoloso avere dei sovranisti al governo, quanto sia rischioso giocare con la grammatica anti euro e quanto sia pericoloso spostare il proprio baricentro politico da Bruxelles a Mosca. E’ andata così nel 2019, quando, grazie anche alle intemerate protezionistiche di Donald Trump, l’Europa ha riscoperto quanto sia importante moltiplicare il più possibile in giro per il mondo gli accordi di libero scambio. E’ andata così, di nuovo, nel 2019, quando, grazie alle peripezie del Venezuela, grazie alle disavventure della Brexit, grazie alla conversione governativa dell’Italia, l’Europa ha riscoperto la centralità della democrazia rappresentativa ricordandosi quanto i parlamenti possano essere degli argini mica male contro gli estremismi sfascisti. E’ andata così, ancora, nel 2019, dove grazie all’alleanza tra i populisti in Europa, le forze europeiste hanno trovato un modo per mettere da parte le differenze, in Parlamento, e per creare nuove alleanze trasversali tra partiti divisi tra loro nella visione del mondo (destra e sinistra esistono ancora) ma uniti tra loro nella difesa dell’Europa (e nella difesa del modello Merkel).

 

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E’ andata così, negli ultimi anni, in Italia, dove l’unione tra due partiti populisti al governo, il M5s e la Lega, ha dimostrato al mondo, e all’Europa, che i populisti possono governare nelle democrazie avanzate solo a condizione di rinnegare se stessi e di cancellare dall’agenda della politica il proprio programma elettorale. Ed è possibile che andrà così, ancora, nei prossimi anni, quando la presenza a due passi dell’Europa di uno stato come l’Inghilterra che dovrà fare di tutto per mostrare una sua ritrovata efficienza (magari abbassando le tasse) potrebbe essere un nuovo stimolo per l’Europa per non dividersi ulteriormente e per investire ancora di più in coesione, in solidarietà, in investimenti, in infrastrutture, in tecnologia, in futuro (magari trasformando la concorrenza fiscale dell’Inghilterra in uno stimolo ad abbassare le tasse laddove si può). I populisti forse torneranno, chi lo sa. Forse Polonia e Ungheria, antieuropeisti che diventano agnellini europeisti quando si tratta di soldi da ricevere, diventeranno le nuove mecche del sovranismo mondiale, chi lo sa. Forse Salvini diventerà il Trump europeo.

   

Forse Meloni prenderà il posto di Le Pen. Forse Le Pen batterà Macron. Tutto è possibile. Ma tra i buoni auspici del 2021 – oltre a ringraziare chi ha offerto, attraverso i vaccini, la possibilità di re-immaginare per ciascuno di noi una vita normale, e non è niente male che oggi i leader populisti siano passati da una posizione tendenzialmente no vax a una posizione tendenzialmente vacciniamoci per primi per far capire quanto siamo fichi e quanto siamo efficienti, vedi il caso Orbán e vedi anche il caso BoJo – occorrerebbe ringraziare di cuore chi, come i populisti, scendendo in campo ha avuto il merito di farci ricordare quali sono gli spicchi di libertà che non siamo più disposti a perdere. E non avere la memoria corta, su questi temi, sarà un altro vaccino di cui avremo bisogno nell’anno che verrà. Cin cin. 

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