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Slittamento di lessico, toni, modi

Ministri cambiati dalla pandemia. La metamorfosi di Speranza, Franceschini, Boccia, Azzolina, Bellanova

La foto del settembre 2019 ne ritraeva qualcuno baldanzoso, qualcun altro dimesso, qualcun altro nervoso. Molti hanno dovuto cambiare personalità

Marianna Rizzini

Quando Speranza aveva lo sguardo timido, quando Boccia poteva essere gioviale, quando Azzolina quasi non rispondeva agli attacchi, quando Franceschini poteva apparire pensieroso per altro (alleanza da lui voluta con il M5s). E a Bellanova ora toccano addirittura due campi di battaglia

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Roma. Vite cambiate, ritmi cambiati, ma anche ministri cambiati. Cambiati nei toni, nei modi e forse nel carattere dalla pandemia che ha stravolto il mondo per come lo conoscevamo prima. E quasi quasi si fa fatica a ricordarseli com'erano, quei ministri, nella foto ufficiale di quel 5 settembre 2019 (e qualcuno neanche c'era): chi sorridente, chi impacciato, chi distratto, chi intento a scambiare due parole con il vicino, tutti con l'aria di crederci e non crederci. Ma veramente stiamo passando da un governo gialloverde a un governo rossogiallo?, dicevano i sorrisi increduli su molte delle facce immortalate. Pareva quello il grande evento, e in effetti lo era, ma vai a pensare che l'evento sarebbe stato completamente messo in ombra, almeno fino alle discussioni odierne sul Mes e sul Recovery fund, dalla causa di forza maggiore alle porte. Erano altri tempi, e certo nessuno avrebbe potuto immaginare il cataclisma sanitario, economico e psicologico che nel giro di qualche mese si sarebbe abbattuto sulla compagine del Conte bis, ribaltando certezze, lessico ed equilibri. Ma prima, appunto, i volti parlavano. Si vedevano, in quella foto di fine estate, un Roberto Speranza, giovane ministro della Salute in quota LeU, forse intimidito, con un mezzo sorriso un po' dimesso; un Francesco Boccia, ministro per gli Affari regionali, rilassato (come mai più in questi mesi), rivolto come per dire qualcosa verso il collega allo Sport Vincenzo Spadafora. E sì, c'era il volto teso del ministro della Cultura Dario Franceschini, colui che poi diventerà uno dei sostenitori più oltranzisti della linea dura anti-Covid, al punto da applicare a se stesso un mini-lockdown al ministero (della serie: guai ad avvicinarsi). Appariva leggermente nervoso, Franceschini, quel giorno (accigliato, mento all'insù). Ma i retroscenisti avevano attribuito la posa a un retropensiero politico del capodelegazione pd sul centrosinistra che andava al governo, dopo l'estate della crisi, con gli ex nemici acerrimi a Cinque stelle. Un assetto di cui Franceschini era stato uno dei principali sostenitori. Poi, tra quegli abiti grigi, neri e polvere, spiccava il bluette dell'abito baldanzoso di Teresa Bellanova, ministra renziana dell'Agricoltura, simbolo energico dell'alleanza sempre in bilico tra i fratelli di fatto e i fratelli-coltelli tra Pd e Italia Viva (fino a oggi). Non poteva sapere, la futura capodelegazione di Iv nel Conte bis, che sarebbe stata lei, a seconda delle circostanze, la testa d'ariete o il parafulmine di ogni “verifica” ufficiale e ufficiosa. Mancava, nella foto, Lucia Azzolina, ministro dell'Istruzione che non ha avuto neanche il tempo di entrare in carica, a inizio anno, perché nel giro di un mese è arrivata la pandemia (in quel settembre invece Azzolina era sottosegretario). E proprio ad Azzolina, attaccata dalla Lega ieri come oggi, e inizialmente in retroguardia, guarderà inaspettatamente la parte di centrosinistra meno orientata verso la linea dura Franceschini-Boccia-Speranza, per ancorarsi all'idea di una riapertura a gennaio delle scuole superiori. E così la ministra dal rossetto ciliegia, che quasi non si esponeva neanche quando veniva attaccata su questioni di graduatorie e concorsi, ha cominciato a dire che la scuola non poteva “più essere Cenerentola”, e oggi scrive lettere aperte con toni solenni al popolo della scuola (incappando però in critiche trasversali sull'ipotesi di maturità senza scritti, come nel 2020).

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Roma. Vite cambiate, ritmi cambiati, ma anche ministri cambiati. Cambiati nei toni, nei modi e forse nel carattere dalla pandemia che ha stravolto il mondo per come lo conoscevamo prima. E quasi quasi si fa fatica a ricordarseli com'erano, quei ministri, nella foto ufficiale di quel 5 settembre 2019 (e qualcuno neanche c'era): chi sorridente, chi impacciato, chi distratto, chi intento a scambiare due parole con il vicino, tutti con l'aria di crederci e non crederci. Ma veramente stiamo passando da un governo gialloverde a un governo rossogiallo?, dicevano i sorrisi increduli su molte delle facce immortalate. Pareva quello il grande evento, e in effetti lo era, ma vai a pensare che l'evento sarebbe stato completamente messo in ombra, almeno fino alle discussioni odierne sul Mes e sul Recovery fund, dalla causa di forza maggiore alle porte. Erano altri tempi, e certo nessuno avrebbe potuto immaginare il cataclisma sanitario, economico e psicologico che nel giro di qualche mese si sarebbe abbattuto sulla compagine del Conte bis, ribaltando certezze, lessico ed equilibri. Ma prima, appunto, i volti parlavano. Si vedevano, in quella foto di fine estate, un Roberto Speranza, giovane ministro della Salute in quota LeU, forse intimidito, con un mezzo sorriso un po' dimesso; un Francesco Boccia, ministro per gli Affari regionali, rilassato (come mai più in questi mesi), rivolto come per dire qualcosa verso il collega allo Sport Vincenzo Spadafora. E sì, c'era il volto teso del ministro della Cultura Dario Franceschini, colui che poi diventerà uno dei sostenitori più oltranzisti della linea dura anti-Covid, al punto da applicare a se stesso un mini-lockdown al ministero (della serie: guai ad avvicinarsi). Appariva leggermente nervoso, Franceschini, quel giorno (accigliato, mento all'insù). Ma i retroscenisti avevano attribuito la posa a un retropensiero politico del capodelegazione pd sul centrosinistra che andava al governo, dopo l'estate della crisi, con gli ex nemici acerrimi a Cinque stelle. Un assetto di cui Franceschini era stato uno dei principali sostenitori. Poi, tra quegli abiti grigi, neri e polvere, spiccava il bluette dell'abito baldanzoso di Teresa Bellanova, ministra renziana dell'Agricoltura, simbolo energico dell'alleanza sempre in bilico tra i fratelli di fatto e i fratelli-coltelli tra Pd e Italia Viva (fino a oggi). Non poteva sapere, la futura capodelegazione di Iv nel Conte bis, che sarebbe stata lei, a seconda delle circostanze, la testa d'ariete o il parafulmine di ogni “verifica” ufficiale e ufficiosa. Mancava, nella foto, Lucia Azzolina, ministro dell'Istruzione che non ha avuto neanche il tempo di entrare in carica, a inizio anno, perché nel giro di un mese è arrivata la pandemia (in quel settembre invece Azzolina era sottosegretario). E proprio ad Azzolina, attaccata dalla Lega ieri come oggi, e inizialmente in retroguardia, guarderà inaspettatamente la parte di centrosinistra meno orientata verso la linea dura Franceschini-Boccia-Speranza, per ancorarsi all'idea di una riapertura a gennaio delle scuole superiori. E così la ministra dal rossetto ciliegia, che quasi non si esponeva neanche quando veniva attaccata su questioni di graduatorie e concorsi, ha cominciato a dire che la scuola non poteva “più essere Cenerentola”, e oggi scrive lettere aperte con toni solenni al popolo della scuola (incappando però in critiche trasversali sull'ipotesi di maturità senza scritti, come nel 2020).

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E se Franceschini appare cambiato nella perdita di ex democristiana medietà d'approccio, ché sul Covid il ministro della Cultura non conosce medietà di sorta; e se Boccia è passato dalla pacatezza pugliese al guanto di ferro con le Regioni (“Speranza non è solo, ha tutto il governo dietro”, ha detto a un certo punto Boccia, a novembre, quando alcuni presidenti si sono sentiti esautorati sul tema “parametri per il passaggio di zona da gialla ad arancione a rossa”), è sul ministro Speranza che gli esegeti di metamorfosi concentrano l'attenzione: com'è mai possibile, si domandano, che l'ex capogruppo pd (quando era nel Pd), giovane uomo dalla vis polemica rara a manifestarsi (a parte i diverbi con Alessandro Di Battista a Montecitorio), abbia assunto, anche fisiognomicamente, una impenetrabilità e una inamovibilità di posizione che definire granitica sarebbe riduttivo? (La posizione in sintesi è: sacrificarsi ora punto e basta, sacrificarsi tanto, non c'è tempo da perdere. Volete essere fuori dal Covid in futuro? E allora è così, punto). Un particolare su tutti: Speranza, che un tempo poteva essere sorpreso a camminare pensieroso, a occhi bassi, ora gli occhi li alza e guarda dritto davanti a sé, telecamere presenti o meno, per dire le cose impopolari che, racconta chi lo conosce e lo definisce “in missione”, “non gli importa di dover dire”.
La pandemia insomma è ancora qui e ai ministri in prima linea tocca diventare addirittura bifronti: è il caso di Teresa Bellanova, la donna che ha due campi di battaglia da gestire. Quello delle chiusure e degli orari (campo ristorazione), per non dire dei Ristori, e quello sulla crisi ventilata di governo, dove, da capogruppo di Iv, alterna frasi smorza-tensione (“oggi c'è stato un passo avanti”, ha detto due giorni fa dopo l'incontro con Conte sul Recovery Fund) a puntualizzazioni del tipo “Conte non è Napoleone”. Ma i suoi estimatori hanno ritrovato lo spirito dell'abito bluette in quel particolare, visibile durante un'intervista: l'albero di Natale rotante, immediato cult del periodo gramo.

 


 

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