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Le tre sorelle scuola

Tre ministre in cattedra: la riapertura della scuola allontana il rimpasto

Carmelo Caruso

In aula dal 7 gennaio. Accordo su presenza in classe del 50 per cento studenti, corsia preferenziale con le Asl per processare tamponi. Lavoro in sinergia fra Azzolina-Lamorgese-De Micheli

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Roma. Come è stato bello vederle e sentirle. Ieri pomeriggio tre ministre sembravano un solo ministro. Non si sa se formulassero una promessa o recitassero quella che rimane una speranza, la ferma intenzione di non chiudere nuovamente. E però quando Paola De Micheli, ripeteva che “faremo di tutto per riaprire e tenere aperte le aule, credeteci”, quando la Conferenza stato-regioni confermava che l’accordo per ripartire il sette gennaio era stato trovato con una presenza del 50 per cento di studenti in classe, era come ascoltare Lucia AzzolinaLuciana Lamorgese. Venivano dimenticati gli screzi, le incomprensioni passate.

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Roma. Come è stato bello vederle e sentirle. Ieri pomeriggio tre ministre sembravano un solo ministro. Non si sa se formulassero una promessa o recitassero quella che rimane una speranza, la ferma intenzione di non chiudere nuovamente. E però quando Paola De Micheli, ripeteva che “faremo di tutto per riaprire e tenere aperte le aule, credeteci”, quando la Conferenza stato-regioni confermava che l’accordo per ripartire il sette gennaio era stato trovato con una presenza del 50 per cento di studenti in classe, era come ascoltare Lucia AzzolinaLuciana Lamorgese. Venivano dimenticati gli screzi, le incomprensioni passate.

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Ieri pomeriggio, Lucia Azzolina e Paola De Micheli si sono avvicinate  grazie alla responsabile del Viminale, la più operativa delle tre sorelle ministre, che ha messo a disposizione i suoi pragmatici: i prefetti. Chi può dire se tutto questo non sia stato merito della crisi di governo che non c’è stata? C’era troppa attenzione e troppa tensione sulla scuola, e Matteo Renzi (che strano dirlo) ha spostato i riflettori sul Recovery fund.

 

Mentre si contestava la cabina di regia di Giuseppe Conte, la sua composizione, i prefetti hanno avuto modo e tempo di confrontarsi con gli assessori regionali ai Trasporti (ed è stato un lungo lavoro), di stilare dei piani che tenessero conto, provincia per provincia, dei flussi d’ingresso. Sono stati aperti tavoli e molti già chiusi, consegnati dossier tecnici agli amministratori locali. E’ cambiato qualcosa. Le ministre dell’Istruzione, dei Trasporti e degli Interni si sono alla fine affiatate senza accorgersene. Si è lavorato come non era stato possibile proprio mentre fuori si ragionava di elezioni anticipate e di rovine.

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Durante la Conferenza stato-regioni – convocata ieri con il ministro degli Affari Regionali, Francesco Boccia, il presidente Anci, Antonio Decaro, l’Upi e le “tre sorelle scuola” – è stato più difficile per i governatori dire che questa volta non è stato fatto nulla. Conte aveva espressamente chiesto linee guida nuove e ai suoi ministri di fare tutto per mettere in sicurezza la seconda parte dell’anno scolastico. E’ la chiusura delle scuole ciò che più si rimprovera. Sono stati dunque acquistati nuovi bus, stanziate nuove risorse in legge di Bilancio. La ministra Azzolina ha ottenuto con l’aiuto del ministro della Salute, Roberto Speranza, quello che chiedeva da tempo.

 

Si tratta di una “corsia preferenziale” per gli istituti: processare prima i tamponi degli studenti e non lasciare in attesa di un esito un’intera classe. Ha maturato l’opinione che sia stata questa lentezza  a paralizzare le scuole forse più dei trasporti. Dal 3 dicembre ha lavorato a stretto contatto con Speranza. Chiedeva la corsia speciale. E’ passata. La Azzolina si è presentata di fronte ai governatori con questo successo da rivendicare ed è stato sicuramente più facile trovare un accordo sulla presenza in classe del 50 per cento di studenti. I comuni chiedevano il 75 per cento, le province il 50, le regioni erano invece spaccate fra questi due numeri. Si è scelto di partire dal numero più basso  e la soluzione ha accontentato tutti. Alle Asl toccherà “mettere a terra”, spiegavano, quanto ieri si è stabilito, favorire un tracciamento rapido che aiuti i presidi. E’ tuttavia scorretto dire che alla conferenza Stato-Regioni è andata in scena una lezione di aritmetica: 50 o 75 per cento? Il governo ha chiesto un metodo nuovo e la ministra dell’Istruzione ha fatto passare un principio:  scongiurare la tentazione del “qui si fa a modo mio”.

 

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La preoccupazione è che si ripresenti una chiusura indiscriminata, da sovrano, come quella praticata da Vincenzo De Luca in Campania. Non significa non riconoscere le difficoltà degli amministratori locali ma tenere conto e rispettare una cornice nazionale. La Azzolina ha suggerito quindi un patto: “Io accolgo la vostra richiesta del cinquanta per cento, ma promettete che qualsiasi decisione, che speriamo non siate costretti a prendere, qualsiasi chiusura, deve essere mediata”. I presidenti di regione hanno concordato. Si è poi  discusso di ingressi da favorire per fasce orarie. Antonio Giannelli, il presidente dell’Associazione nazionale presidi, uno che ha dato prova di temperamento, ha definito il 50 per cento una soluzione ragionevole. E’ convinto che oltre agli istituti pure le attività commerciali debbano scaglionare le entrate per abbassare la pressione sul trasporto pubblico. E’ il modello Milano. Tra le città che hanno rimodulato l’orologio è sicuramente quella che lo ha fatto meglio e in poco tempo. Si guarda a quel modello in futuro. Ma torniamo alle ministre. Chi può adesso dire che sono deboli, insicure, sostituibili? Dalla crisi di governo le uniche a uscirne rafforzate sono  le ministre che si volevano accompagnare alla porta.

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