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Ci fidiamo dello stato. Sarebbe ora che lo stato si fidasse di noi

Claudio Cerasa

Gli italiani nel 2020 si sono dimostrati un popolo adulto, capace di rispettare le regole. Adesso tocca allo stato ricambiare la fiducia. E alleggerire la burocrazia, liberare il paese dalla cultura del sospetto, semplificare il fisco, per cominciare

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Noi ci siamo fidati di voi, ora però voi fidatevi di noi. Se c’è una lezione che tutti possiamo cogliere dall’infausto anno della pandemia, a prescindere da quale sia il credo politico di ciascuno di noi, quella lezione coincide con una scoperta sensazionale relativa a un insospettabile tratto del carattere degli italiani: la disciplina. Dimenticate per un attimo le polemiche sugli aperitivi, le immagini delle vie dello shopping e le invettive dei politici volte a denunciare la presunta irresponsabilità dei cittadini. Dimenticate tutto questo, osservate il mondo intorno a voi, riavvolgete per quanto possibile il nastro del vostro anno e capirete, senza dover fare grandi ricerche sociologiche, che la vera sorpresa dell’anno che finalmente volge al termine ha riguardato la nostra capacità di adattarci a un mondo che cambia, rispettando le regole, evitando le trasgressioni, ascoltando anche le più incomprensibili raccomandazioni, rimanendo diligentemente in casa, non uscendo dai comuni, non valicando i confini delle regioni e mostrando nella stragrande maggioranza dei casi un senso civico semplicemente immenso, come potrà testimoniare facilmente chiunque si sia messo volontariamente in quarantena dopo un contatto sospetto o dopo una notifica su Immuni. 

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Noi ci siamo fidati di voi, ora però voi fidatevi di noi. Se c’è una lezione che tutti possiamo cogliere dall’infausto anno della pandemia, a prescindere da quale sia il credo politico di ciascuno di noi, quella lezione coincide con una scoperta sensazionale relativa a un insospettabile tratto del carattere degli italiani: la disciplina. Dimenticate per un attimo le polemiche sugli aperitivi, le immagini delle vie dello shopping e le invettive dei politici volte a denunciare la presunta irresponsabilità dei cittadini. Dimenticate tutto questo, osservate il mondo intorno a voi, riavvolgete per quanto possibile il nastro del vostro anno e capirete, senza dover fare grandi ricerche sociologiche, che la vera sorpresa dell’anno che finalmente volge al termine ha riguardato la nostra capacità di adattarci a un mondo che cambia, rispettando le regole, evitando le trasgressioni, ascoltando anche le più incomprensibili raccomandazioni, rimanendo diligentemente in casa, non uscendo dai comuni, non valicando i confini delle regioni e mostrando nella stragrande maggioranza dei casi un senso civico semplicemente immenso, come potrà testimoniare facilmente chiunque si sia messo volontariamente in quarantena dopo un contatto sospetto o dopo una notifica su Immuni. 

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Gli italiani, nel 2020, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno dimostrato di essere semplicemente un popolo adulto, ordinato, fantasioso e creativo, ed è sufficiente sfogliare le pagine della cronaca locale dei giornali in questi giorni per capire meglio di cosa stiamo parlando. Apri la cronaca dei giornali dell’Emilia-Romagna e scopri che il personale sanitario che ha risposto sì alla possibilità di vaccinarsi è intorno al 95 per cento. Apri la cronaca dei giornali della Campania e scopri anche qui che il personale sanitario che ha risposto sì alla possibilità di vaccinarsi è tre volte e mezzo superiore a quello che di solito si vaccina contro l’influenza e si trova vicino al 75 per cento. Apri la cronaca dei giornali del Trentino e scopri che le curie, in vista del Natale, si sono organizzate, con le dirette streaming e i posti nelle chiese numerati. Apri la cronaca dei giornali del Veneto e scopri che anche i governatori dei partiti più inclini a chiedere costantemente più aperture si danno da fare per proteggere la propria popolazione anticipando le chiusure del governo. Apri le cronache dei giornali di qualsiasi regione e ogni giorno ti trovi di fronte a storie di scuole che resistono, di insegnanti che si organizzano, di asili che si attrezzano, di maestre che nonostante tutto riescono a garantire ai propri studenti un minimo di continuità nella didattica (“la crisi pandemica – ha ricordato la scorsa settimana il governatore Ignazio Visco – rischia di esacerbare le fragilità del nostro sistema scolastico e come sottolineato da alcuni studi recenti, gli studenti che non riescono a frequentare regolarmente la scuola potrebbero pagare un costo elevato in termini di grado di apprendimento e di redditi futuri”).

 

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La pandemia – e su questo tema ognuno di noi ha certamente qualche storia da raccontare – ha messo a nudo in un certo senso il vero carattere degli italiani. Ma ha fatto anche qualcosa di più, che ci porta ad affrontare un altro tema importante, relativo a una questione che sarà cruciale nell’anno che si apre: noi cittadini, caro stato, care istituzioni, cari sindaci, cari governatori, caro governo, ci siamo fidati di voi, ora però è giunto il momento che voi vi fidiate di noi. In questo ragionamento, la pandemia c’entra fino a un certo punto e c’entra più che altro una questione che sarà centrale nell’anno che speriamo di ricordare come quello della ricostruzione dell’Italia: la fiducia. Per fiducia, nel caso specifico, non si intende solo la capacità di un paese di mostrare credibilità, di non indebitarsi oltre il dovuto, di non fare alzare troppo i suoi tassi di interesse e di onorare i suoi impegni con i creditori. Si intende qualcosa di più, di più sottile ma non di meno importante.

 

Significa la capacità di uno stato di liberare le migliori energie di un paese smettendola una volta per tutte di far sentire i suoi cittadini e i suoi imprenditori come dei furfanti fino a prova contraria. E non far sentire i cittadini furfanti fino a prova contraria significa qualcosa di concreto e non di sulfureo. Significa alleggerire l’Italia dalla burocrazia asfissiante (qualcuno prima o poi dovrebbe dire che lo smart working nel mondo del pubblico impiego ha coinciso non con un lavoro più efficiente ma con una burocrazia più inefficiente). Significa liberare il paese dalla presenza di una repubblica giudiziaria fondata sulla cultura del sospetto (che cosa si aspetta a eliminare il reato di abuso d’ufficio?). Significa combattere per togliere potere ai professionisti del veto (rivedendo per esempio il ruolo delle sovrintendenze, ridiscutendo per esempio la politica dei vincoli ambientali). Significa creare un fisco che agisca nel quotidiano guidato più dal principio della semplificazione che da quello della vessazione (un primo passaggio, prima ancora di arrivare al tema dell’Irap, potrebbe essere quello di entrare nella stagione del fisco dichiarativo e uscire da quello autorizzativo, per esempio nel campo dei benefici fiscali: prendiamoli e usiamoli senza troppi iter burocratici, se poi però scopro che hai barato ti bastono come si deve). Sono tutti piccoli esempi che però ci aiutano a mettere a fuoco un problema che nell’anno del Recovery sarà centrale: la capacità dello stato, e del governo, di mostrare verso i cittadini la stessa fiducia mostrata dai cittadini in questo anno verso lo stato. Il futuro dell’Italia passa anche da qui.

 

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