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Libero scambio in libero mondo

C’è un altro vaccino: la globalizzazione

Nell’anno nero della pandemia, il commercio globale è andato meglio del previsto e le economie invece che chiudersi si sono aperte come non mai. Uno studio poderoso di Dhl, con spunti per essere ottimisti sull’anno che verrà

Claudio Cerasa

Se si incrociano i dati dell’European University Institute, del Global Trade Alert, del Wto e della World Bank, risulta che nell’anno appena trascorso i paesi dell’Ocse hanno emanato circa 363 misure commerciali e di queste, nonostante la pandemia, 198 sono state emanate per facilitare il commercio.

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Non è un vaccino, ma ci somiglia molto. Il World Economic Forum (Wef) è una fondazione senza fini di lucro, con sede a Cologny, in Svizzera, a due passi da Ginevra, nata nel 1971 per iniziativa dell’economista e accademico Klaus Schwab. La fondazione, come saprete, organizza ogni inverno a Davos un grande incontro tra esponenti di primo piano della politica e dell’economia internazionali e nell’intervallo tra un appuntamento e un altro pubblica sul suo sito alcuni rapporti molto interessanti relativi allo stato dell’economia globale.

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Non è un vaccino, ma ci somiglia molto. Il World Economic Forum (Wef) è una fondazione senza fini di lucro, con sede a Cologny, in Svizzera, a due passi da Ginevra, nata nel 1971 per iniziativa dell’economista e accademico Klaus Schwab. La fondazione, come saprete, organizza ogni inverno a Davos un grande incontro tra esponenti di primo piano della politica e dell’economia internazionali e nell’intervallo tra un appuntamento e un altro pubblica sul suo sito alcuni rapporti molto interessanti relativi allo stato dell’economia globale.

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Ieri mattina, il Wef ha diffuso un articolo formidabile dedicato a un tema che abbiamo spesso affrontato su questo giornale relativo all’impatto avuto dal Covid sulla globalizzazione. Tesi: nonostante tutti i guai che ha generato, la pandemia ci ha ricordato che la globalizzazione non è la causa dei problemi del mondo, come sostiene un fronte politico trasversale che va dal sandersismo al salvinismo, ma è, al contrario, la soluzione a molti problemi del mondo.

  

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Nel ragionamento del Wef, c’entrano alcune considerazioni logiche e autoevidenti. C’entra l’idea che, grazie alla globalizzazione, anche nei mesi più duri della pandemia ciascuno di noi ha avuto la possibilità di acquistare cibo, di comprare vestiti, di intrattenersi con Netflix, di scambiarsi regali con Amazon, di restare in contatto con Skype, Zoom e FaceTime. C’entra l’idea che, grazie alla globalizzazione, le catene di approvvigionamento alimentari non hanno mai smesso di rinnovarsi e non hanno mai smesso di adattarsi al mondo che cambia. C’entra l’idea che, grazie alla globalizzazione, grazie alla circolazione di idee, grazie alla circolazione di saperi, grazie alla collaborazione di cervelli, grazie alla circolazione di capitali, il mondo scientifico è riuscito a fare in pochi mesi ciò per cui di solito impiegherebbe molti anni: trovare un vaccino. C’entra tutto questo ma c’entra anche molto altro.

 

E la tesi del Wef è supportata, oltre che dalla logica, anche dai numeri che sono quelli riportati all’interno di una poderosa ricerca pubblicata due giorni fa dalla Dhl. La Dhl, lo sapete, è una famosa compagnia di logistica e di spedizioni che ogni anno, a dicembre, pubblica un famoso rapporto che misura con dati empirici l’evoluzione della globalizzazione.

 

Il rapporto, di 104 pagine, costruito monitorando lo scambio di dati e di informazioni e di pacchi di tutte le sedi sparpagliate in giro per il mondo in 169 paesi si chiama “Global Connectedness Index 2020” e contiene un dato interessante, utilizzato dagli autori della ricerca per dimostrare che l’anno che sta volgendo al termine non sarà ricordato solo per la pandemia, ma anche per il modo in cui il mondo ha compreso quanto il nostro benessere dipenda dalla connessione e dalla collaborazione tra paesi sparpagliati in giro per il pianeta.

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Il primo dato interessante offerto dal rapporto ha a che fare con un’analisi e un paio di dati che inducono a essere cautamente ottimisti rispetto al prossimo anno. Il primo dato è questo: “Il livello mondiale di connessione globale raggiunto quest’anno è improbabile che scenda al di sotto dei livelli visti durante la crisi finanziaria globale del 2008-2009”, scrive Dhl, da cui se ne desume che, per quanto grave, la crisi di oggi non è paragonabile alla crisi del 2008 e da cui se ne desume che la ripresa, nell’anno che verrà, potrebbe avere una curva verso l’alto più forte di ogni previsione.

 

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Il secondo dato interessante, offerto  dal rapporto, ha a che fare con il ruolo dell’Europa, che  nei mesi in cui ha ritrovato il suo spirito di solidarietà, di unità e di cooperazione ha dimostrato di essere proprio sul commercio, scrive Dhl, “la regione più globalizzata del mondo”. E anche questo dato, dice ancora il rapporto, ci dimostra che “la globalizzazione è più durevole rispetto a quanto potessero pronosticare i nemici del commercio globale”.

 

Il terzo elemento suggestivo riguarda un fatto che non c’entra solo con la pandemia ma che c'entra anche con la reazione del mondo alle minacce prodotte dal protezionismo trumpiano. E così, incrociando dati dell’European University Institute, del Global Trade Alert, del Wto e della World Bank, risulta che nell’anno appena trascorso i paesi dell’Ocse hanno emanato circa 363 misure commerciali e di queste, nonostante la pandemia, 198 sono state emanate per facilitare il commercio.

 
Il tutto proprio nei mesi in cui, dopo anni di trattative, i paesi che si affacciano sul Pacifico hanno firmato un accordo storico di libera circolazione delle merci chiamato Rcep. Il tutto proprio nei mesi in cui l’Unione europea finalizzava nuovi accordi commerciali con Singapore, Messico e Vietnam. Il tutto proprio nei mesi in cui entrava in vigore l’accordo tra Stati Uniti, Canada e Messico in sostituzione del Nafta. Il tutto proprio nei mesi in cui persino l’Unione economica eurasiatica e l’Iran hanno iniziato a godere dei benefici creati dalla zona di libero scambio costruita tra l’Iran e diversi  paesi europei e dell’Asia centrale tra cui Russia, Kazakistan, e Bielorussia.

  

Ian Goldin, docente di Globalizzazione all’Università di Oxford, ha letto lo studio di Dhl e ha fatto alcune considerazioni interessanti. Ha notato che nonostante i confini chiusi, nonostante il crollo della circolazione delle persone, nonostante le difficoltà dell’economia, la capacità del mondo di essere connesso ha creato maggiori opportunità di protezione per i cittadini e ha mostrato come la globalizzazione sia uno strumento utile per difendere la nostra prosperità e per aiutare il mondo a fare passi in avanti anche nella lotta contro le diseguaglianze. Non è un vaccino, la globalizzazione, ma ci somiglia molto. No?
 

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