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L'Italia a due velocità

Scommesse sul futuro e boom di iscrizioni. L’università dà super lezioni alla politica. Indagine

Che effetto ha avuto il Covid-19 sulle immatricolazioni? Catastrofisti smentiti: le grandi università italiane si trasformano, attraggono talenti più che mai e fanno crollare gli atenei telematici. Numeri, storie e chiacchiere con i rettori

Claudio Cerasa

Il crollo delle immatricolazioni non c’è stato, le grandi università italiane hanno visto aumentare rispetto all’anno precedente il numero dei propri immatricolati, le facoltà si sono organizzate bene con la didattica a distanza e i trend all’interno di alcuni atenei ci suggeriscono che la pandemia ha avuto un impatto più sulla scelta delle facoltà che sulla scelta dell’università

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Si è detto e ridetto, nei mesi passati, che l’anno in corso, per il mondo delle università, doveva essere quello della grande crisi, quello della grande fuga, quello della grande paura, quello della grande depressione, quello della grande incertezza verso il futuro. E si è detto e ridetto, nelle settimane a cavallo tra la prima e la seconda ondata, che nel mondo pandemico, dove le lezioni in presenza diventano difficili, dove i contatti tra gli studenti diventano impossibili, dove la vita nelle università diventa rarefatta come la nebbia, che il moltiplicarsi delle lezioni a distanza avrebbe avuto un effetto respingente e avrebbe di conseguenza disincentivato i nostri giovani a investire sul proprio futuro scommettendo sulle nostre università.

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Si è detto e ridetto, nei mesi passati, che l’anno in corso, per il mondo delle università, doveva essere quello della grande crisi, quello della grande fuga, quello della grande paura, quello della grande depressione, quello della grande incertezza verso il futuro. E si è detto e ridetto, nelle settimane a cavallo tra la prima e la seconda ondata, che nel mondo pandemico, dove le lezioni in presenza diventano difficili, dove i contatti tra gli studenti diventano impossibili, dove la vita nelle università diventa rarefatta come la nebbia, che il moltiplicarsi delle lezioni a distanza avrebbe avuto un effetto respingente e avrebbe di conseguenza disincentivato i nostri giovani a investire sul proprio futuro scommettendo sulle nostre università.

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A giugno, il Corriere della Sera, con toni apocalittici, aveva scommesso che le iscrizioni nelle università italiane sarebbero crollate di 35 mila unità. Alla fine dello stesso mese, con toni altrettanto apocalittici ma con numeri rivisti, anche Repubblica aveva previsto un disastro nelle immatricolazioni, stimando diecimila iscritti in meno. In alcuni paesi, effettivamente, la pandemia, oltre a essersi portata via migliaia di vite umane, si è portata via anche migliaia di iscrizioni nelle università, e poche settimane fa è stato il Wall Street Journal a ricordare che negli Stati Uniti il numero di studenti iscritti al primo anno di università, rispetto all’anno precedente, è diminuito del 16,1 per cento e, nel complesso, la popolazione degli studenti universitari è diminuita del 4 per cento.

 

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Ci siamo chiesti allora se in Italia il trend è stato simile a quello degli Stati Uniti e se il crollo preventivato è stato confermato dai fatti e ci siamo attivati per capire con tutti i mezzi a nostra disposizione in che modo la pandemia, distanziamento a parte, ha impattato sul mondo universitario italiano. Abbiamo cercato dati, statistiche, trend, spulciando fra tutti i numeri disponibili all’anagrafe nazionale degli Studenti (ANS), al ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR) e all’ufficio Statistica e Studi. Abbiamo parlato con alcuni rettori e alcuni pezzi da novanta delle università italiane e al termine della nostra piccola ricerca abbiamo scoperto quello che in pochi avrebbero saputo pronosticare fino a qualche mese fa: il crollo delle immatricolazioni non c’è stato, le grandi università italiane hanno visto aumentare rispetto all’anno precedente il numero dei propri immatricolati, le facoltà si sono organizzate bene con la didattica a distanza e i trend all’interno di alcuni atenei ci suggeriscono che la pandemia ha avuto un impatto più sulla scelta delle facoltà che sulla scelta dell’università.

 

C’è un’Italia che, nonostante l’arrivo del vaccino, fatica a liberarsi della paura, e c’è poi un’Italia diversa, vivace, flessibile, dinamica, che nonostante la bolla del pessimismo universale ha scelto di trasformare la crisi in una grande opportunità per riprogrammare il proprio futuro. Già, ma cosa dicono i numeri? Abbiamo spulciato le cifre provvisorie delle immatricolazioni relative all’anno accademico del 2020/2021 (numeri provvisori significa che sono numeri che possono crescere ancora) e abbiamo raccolto le seguenti indicazioni. All’Università di Torino, le immatricolazioni sono passate dalle 13.662 dello scorso anno alle 14.430 di quest’anno. Ad Aosta, dalle 227 dello scorso anno alle 244 di quest’anno. A Genova dalle 5.806 dello scorso anno alle 6.787 di quest’anno. All’Università di Pavia, da 4.389 a 4.604. All’Università di Verona, da 3.934 a 4.688. A Padova da 11.329 a 12.333. A Venezia, alla Ca’ Foscari, qualcosina s’è perso, passando da 3.890 a 3.647, mentre alla Iuav di Venezia si è passati da 650 a 680. A Napoli, alla Federico II, restano poco sotto le 14 mila immatricolazioni (da 13.961 si è passati a 13.957), mentre le immatricolazioni sono aumentate a Napoli Parthenope (da 1.951 a 2.276). Stabile invece l’Università di Udine (3.108 immatricolati lo scorso anno, 3.092 quest’anno). Stabile anche l’Università di Chieti e di Pescara (da 3.887 a 3.830), del Molise (da 1.110 a 1.040), di Cagliari (4.226 lo scorso anno, 4.266 quest’anno), quella della Basilicata (da 968 a 947), quella di Trento (piccolo calo da 3.100 a 3.016). Mentre, ancora, sono aumentate le immatricolazioni a Trieste (da 2.744 a 2.907), a Foggia (da 1.980 a 2.546), all’Università del Salento (da 3.612 a 3.805), all’Università della Calabria (da 3.849 a 4.116), di Reggio Calabria (da 710 a 789), all’Università Carlo Cattaneo di Castellanza (da 390 a 439), a Perugia (da 4.419 a 6.007), a Firenze (da 8.897 a 9.711), a Palermo (da 8.168 a 8.442), a Messina (da 3.978 a 4.687), a Catania (da 6.064 a 7.290), a Sassari (da 2.261 a 2.320), a Siena (da 2.480 a 2.489), stabile grosso modo anche Pisa (ne aveva 7.214 e ne ha oggi 7.180), Parma (da 5.386 a 5.454), Ferrara (da 6.767 a 7.209).

 

Le immatricolazioni sono crollate invece a Bergamo (da 5.409 a 3.462), a Bari (da 7.443 a 6.836), a Bologna (passando da 14.244 a 13.378). Al Politecnico di Milano sono aumentate (da 7.700 a 7.762). Allo Iulm di Milano (da 1.693 a 1.737). A Milano Bicocca (da 5.351 a 6.172). Alla Bocconi, numero chiuso, le immatricolazioni si aggirano sempre attorno alle 2.700 unità, idem alla Cattolica, dove sono circa 8.200, mentre all’Università statale di Milano le cifre sono  simili, 12.639 lo scorso anno e 12.053 quest’anno – ma anche qui i numeri non sono ancora definitivi. E se a Milano  le università perdono qualcosa rispetto allo scorso anno, guadagnano invece tutte le università di Roma. La Sapienza passa da 17.121 a 18.015. Tor Vergata passa da 4.899 a 5.051. Roma Tre passa da 5.667 a 6.494.

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Roma Biomedico passa da 416 a 431. La Luiss passa da 1.666 a 1.847. La Lumsa resta stabile perdendo solo qualche iscritto (da 1.071 a 1.058). Aumentano quasi ovunque le immatricolazioni mentre invece crollano quelle delle università telematiche come il Novedrate e-campus (da 3.248 a 1.492),  la Marconi Telematica (da 754 a 259), l’Unitelma a Roma (da 360 a 34),  la Roma UniNettuno (da 1.468 a 893),  la Telematica romana del San Raffaele (da 740 a 619),  la Roma Saint Camillus (da 265 a 8). In termini assoluti, le immatricolazioni in questo anno accademico sono dunque leggermente inferiori rispetto allo scorso anno (4.800 unità) ma la causa è legata principalmente al crollo delle immatricolazioni non nelle università tradizionali ma negli atenei telematici.  

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Gianmario Verona, rettore della Bocconi, ci dice che le richieste di iscrizioni, quest’anno, sono aumentate del dieci per cento rispetto allo scorso anno ma che il vero dato significativo riguarda il prossimo anno accademico, in vista del quale le richieste di iscrizioni, già aperte, sono aumentate del 50 per cento rispetto a quelle registrate quest’anno. Paola Severino, vicepresidente della Luiss, ci dice che nella sua università gli iscritti alle selezioni sono stati pari a più 20 per cento rispetto all’anno precedente, che diventa un più 50 per cento se si considera la media degli ultimi cinque anni. Paolo Collini, rettore di Trento, ha registrato “un calo di iscrizioni in Ingegneria civile, in Sociologia,  Beni culturali e Filosofia, compensato però da una crescita speculare in Economia e Medicina”. Mario Morcellini, professore emerito della Sapienza, già commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nota alcuni elementi curiosi: il primo dato è che l’aumento delle immatricolazioni è trainato prevalentemente dalle donne, “che da almeno quindici anni sono il vero motore delle università, si laureano prima, vanno meglio nei master, hanno più successo degli uomini in medicina e nelle materie umanistiche e hanno in genere performance migliori rispetto a quelle degli uomini”. Il secondo dato è il calo delle immatricolazioni in facoltà come Scienze motorie (alla Sapienza sono crollate del 18,7 per cento) con il contestuale aumento delle immatricolazioni in Informatica e Tecnologia (più 8,3 per cento) e in Arte e Design (più 8,7 per cento). La spiegazione che si dà Morcellini è interessante. “E’ evidente che gli studenti considerano decisivo per il nostro e il loro futuro la combinazione tra sviluppo dell’informatica e sviluppo della creatività e del design. Se si volesse ragionare sul futuro e se si volesse davvero ragionare sulla transizione del lavoro, come ha scritto il vostro giornale citando il rapporto Draghi, forse partire da questi dati sarebbe più utile di mille chiacchiere”. 


Per capire come trasformare la crisi in un’opportunità la classe dirigente politica forse dovrebbe farsi due passi all’università per studiare al meglio che differenza c’è tra un’Italia che litiga ogni giorno sul passato e un’Italia che prova invece a investire sul suo futuro.   

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