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Da Rilancio fino a Recovery fund. Le erre del nostro scontento

Stefano Cingolani

Resistenza, Riforme, Reddito, Ristori, Ristrutturazione, Reti, Ritardi, Rosso (come il nuovo confinamento), Ripresa e Resilienza. Le parole chiave della confusa seconda ondata

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Immaginare un linguaggio è immaginare una forma di vita.
Ludwig Wittgenstein, 
“Ricerche filosofiche”

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Immaginare un linguaggio è immaginare una forma di vita.
Ludwig Wittgenstein, 
“Ricerche filosofiche”

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Ispirato e compunto, Bruno Vespa annuncia la Rinascita concludendo la diretta dal teatro alla Scala; è la buona novella o meglio la grande speranza sulle note del maestoso inno con il quale Gioacchino Rossi suggella il Guglielmo Tell: “Tutto cangia, il ciel s’abbella”. Ascoltando le note che salgono oltre le vette alpine, su su fino al buco dell’ozono, non si può fare a meno di ripensare al passato: chi ha una certa età, quella vicina al rischio virale, le ha sentite per anni in apertura delle trasmissioni Rai. Rivedremo presto le stelle, ma per ora sono lontane, confuse nella lattea galassia, nascoste da sciami di detriti dai quali spuntano parole. Quelle della seconda ondata cominciano con la lettera erre: Resistenza, Rilancio, Riforme, Reddito, Ristori, Ristrutturazione, Reti, Ritardi, Rosso (come il nuovo confinamento), Ripresa e Resilienza (così si chiama il piano italiano), Recovery fund, la cassetta degli attrezzi che tutte le contiene. 

   
Se Rinascita è davvero grandiosa, le altre non sono da meno e meritano anch’esse una maiuscola: prendiamo Resistenza. In questa lunga notte che attende ancora la luce dell’alba, hanno resistito le Reti, a cominciare da internet. Per quanto ancora lenta e frastagliata, con buchi enormi per un paese che si dice avanzato, ci ha tenuti tutti a galla, collegati con l’esterno, con il lavoro, la scuola, gli affetti, il divertimento. Secondo una indagine del Censis, l’87 per cento degli intervistati dichiara di avere utilizzato la connessione fissa a casa e che questa è stata sufficiente. Uno su dieci soltanto lamenta una banda scarsa. Anche se, leggendo le risposte date in base all’età, appare chiaro che la generazione più anziana resta ai margini del mondo digitale che rappresenta l’alfa e l’omega del piano quadriennale.

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In questa lunga notte che attende ancora la luce dell’alba, hanno resistito le Reti, a cominciare da internet

    
Non spetta alla nostra cavalcata tra segno e significato, tra nomi e cose, entrare nei dettagli, ma senza dubbio la R più gravida di futuro è quella di Remoto. La prima rivoluzione industriale portò il lavoro fuori dall’ambiente domestico. Agricoltura, artigianato, manifattura si svolgevano in un contesto familiare nel quale tempo di vita e tempo di lavoro si sovrapponevano. Le macchine e le fabbriche lo hanno diviso. La rivoluzione digitale lo ricompone. Come non è ancora chiaro. Se home working vuol dire fare le stese cose da casa finiamo in un vicolo cieco. Non sta maturando questo nelle imprese che si interrogano come riorganizzare la produzione e i servizi, o tra i lavoratori, sia autonomi sia dipendenti, tuttavia non esiste ancora un nuovo paradigma. Solo nei prossimi anni, quando la cenere della pandemia si sarà depositata, riusciremo a capire in che direzione andremo. Ma il cambiamento è davanti ai nostri occhi. Ha bisogno di essere favorito e accompagnato dal governo, dalle organizzazioni imprenditoriali, dai sindacati i quali per il momento si preoccupano di far scioperare i più garantiti, quei dipendenti pubblici che non hanno perduto né il posto né lo stipendio pieno (a differenza dai lavoratori privati) ai quali non basta un aumento del 4% anche se l’inflazione è sottozero (-0,3% a ottobre, ultimo dato Istat).

   

Chi soffre di più, a questo punto, è la manifattura che finora ha tenuto a galla l’Italia. Lo conferma l’area studi di Mediobanca nella sua analisi dei primi nove mesi di quest’anno orribile. Da un’intervista svolta dopo la seconda metà di settembre tra le imprese familiari, è emerso che esse si aspettano di chiudere il 2020 con un calo delle vendite dell’11,1 per cento (-15,7 per cento nel primo semestre, +5,4 per cento nel secondo). Le attese sono diverse a seconda dei settori. Peggio va a tessile, abbigliamento, pelli e cuoio (si va da una caduta del 15 al 30 per cento del fatturato), mezzi di trasporto, metalli, legno e mobili, altri beni per la persona e la casa, elettro-meccanico e macchine e attrezzature. Insomma i punti di forza tradizionali della manifattura italiana boccheggiano. Resistono mulini e pastifici, bevande, farmaceutica e cosmesi; con maggiore difficoltà chimico, prodotti per l’edilizia, carta e stampa, editoria. Meno produzione, meno lavoro, meno reddito. Si sono salvati il settore conserviero, il dolciario, il caseario e l’alimentare in genere, a parte la grande distribuzione e il digitale che corrono avanti a tutti con le loro filiere. Possono diventare due locomotive se gli altri riusciranno ad adattarsi.

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Meno produzione, meno lavoro, meno reddito. Si sono salvati il settore conserviero, il dolciario, il caseario e l’alimentare in genere

   
Qui entra in campo la parola forse oggi più gettonata, cioè Resilienza. Che viene dritta dritta dalla scienza, ma non significa sempre la stessa cosa. Dipende dai campi e dai modi in cui viene applicata, ci spiega la Treccani. Per un biologo è la capacità che un organismo vivente possiede di ripararsi dopo un danno. Per un ingegnere è l’assorbimento di energia da parte di un materiale. Un informatico la usa quando un sistema riesce a resistere all’usura. Uno psicologo la vede come la reazione positiva al trauma. L’ecologista è il più conservatore: resilienza vuol dire tornare all’equilibrio precedente. Come si vede, l’adattamento è il tratto comune, ma l’esito non è affatto scontato, può portare con sé un cambiamento in avanti, un progresso, o un ritorno all’antico, un regresso come nella accezione ecologica. Di qui l’ambiguità del nome che lo rende adattabile a molte cose; anche per questo viene usato in modo tanto diffuso e talvolta persino a sproposito. Nulla è più allettante di una espressione aperta a molti significati quando non è chiaro che cosa fare. Resilienza è sulla bocca di tutti e si contende il primato con Ristori. 

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La pioggia di bonus ha tamponato il peggio, ma quanto si può andare avanti? A ottobre i sussidi erogati dall’Inps coinvolgevano una platea di oltre 14 milioni di beneficiari, con una spesa superiore a 26 miliardi di euro. E’ come se a un quarto della popolazione italiana fossero stati trasferiti in media quasi duemila euro a testa. Ogni mese il debito pubblico aumenta di 20 miliardi, dieci volte più dell’anno scorso. Bisogna far arrivare al più presto i soldi dell’Unione europea, per questo ci vuole un programma, anzi un piano, parola ben più solenne e ambiziosa. Il governo sta mettendo in piedi una complessa architettura, una fabbrica del Duomo secondo gli scettici; un esproprio del Parlamento, secondo i renziani, che lascia mano libera al residente di Palazzo Chigi; un golpe antinazionale secondo la destra sovranista. Tutte queste baruffe per una vetusta e abusata espressione, cabina di regia, che non portò bene al governo di Silvio Berlusconi nel 2010 quando a reclamarla era Gianfranco Fini. Altri tempi, ma attenti alla malìa delle parole. Che cosa ha proposto Giuseppe Conte? Una trojka composta dal presidente del Consiglio, cioè da se stesso, con i ministri dell’Economia e dello Sviluppo, il piddino Roberto Gualtieri e il grillino Stefano Patuanelli. Saranno loro a guidare un sestetto di supermanager, ciascuno dei quali è a capo di una delle missioni indicate dal piano (digitalizzazione, innovazione e competitività; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità; istruzione, formazione, ricerca e cultura; equità sociale, di genere e territoriale; salute) con poteri sostitutivi e ampia capacità di operare in deroga alle procedure ordinarie. Apriti cielo. 

 
Dopo lo tsunami di Retorica sul modello Genova, c’è l’eterno Ritorno del sempre uguale: la burocrazia e la divisione delle spoglie. E che spoglie: 196 miliardi di euro che dovrebbero fluire da Bruxelles dalla seconda parte del prossimo anno. Difficile attribuire a Matteo Renzi la difesa dei burosauri dai quali è stato in parte sabotato durante i suoi cento giorni a Palazzo Chigi. E allora? Vuole un posto al governo? Figuriamoci, se lo avesse voluto l’avrebbe già avuto spiega Maria Elena Boschi. Dunque? Nessuno lo dice, ma tutti lo sanno, anche Berlusconi: l’ombra di Mario Draghi s’allunga sul Recovery plan. Se arrivasse una telefonata dal Quirinale: “Ci pensi lei a gestire l’isola del tesoro, lei che tutti ascoltano a Bruxelles come a Francoforte, a Berlino come a Wall Street”? La patria chiama e Supermario è un civil servant.

 

Albergatori e ristoratori sono sul piede di guerra perché si sentono esclusi dal grande piano. Non bastano i Ristori

  

La parte del leone nel programma spetta alla “rivoluzione verde” (74 miliardi) e al digitale (47 miliardi di euro) dove l’Italia deve recuperare un ritardo almeno ventennale. Sono due delle principali linee guida anche a livello europeo, e tra le “raccomandazioni” che arrivano dal Oltralpe c’è l’esigenza di colmare il buco nero della giustizia civile, uno tra i peggiori lacci che bloccano la crescita italiana: i Ritardi (ancora una grande erre) giudiziari costano secondo le stime 2,5 punti di prodotto lordo. Il piano riduce i riti da tre a uno, inoltre vuol mandare in archivio i polverosi faldoni. Passi avanti, non c’è dubbio, ma la Riforma della giustizia richiede di entrare in modo chiaro e deciso nelle corporazioni del sistema giudiziario. 

 

Sul lavoro, invece, sono previsti solo Ritocchi. Gli ammortizzatori sociali sono gli stessi e l’architrave rimane la cassa integrazione, invece di una seria e dignitosa indennità di disoccupazione. Così le imprese restano ingessate mentre su chi lavora pende la spada del licenziamento che l’emergenza ha rinviato, ma che prima o poi arriverà. Sarebbe più onesto dire chiaramente che non tutte le attività odierne stanno in piedi ed è un clamoroso errore non trovare il modo per far fronte all’impatto sociale della Riconversione che non riguarda solo la manifattura, ma anche i servizi. Albergatori e ristoratori sono sul piede di guerra perché si sentono esclusi dal grande piano. Non bastano i Ristori, piccole fette di una grande torta. Hanno ragione, a patto che siano pronti a rimettere in discussione se stessi e il loro modo di operare, il business model dominante per dirla in gergo economichese. Il settore è frastagliato, arretrato, confuso, negli ultimi dieci anni ha avuto un boom grazie ai bed & breakfast che hanno riverniciato di verde il sommerso. Si sente ripetere anche da persone avvedute che il turismo è il nostro petrolio, intanto siamo surclassati dalla Francia e insidiati dalla Turchia. Ma guai a parlare di Riforme, nemmeno sulla sanità che, a furor di popolo, è stata proclamata “priorità delle priorità”. 

 
Con il decreto “Rilancio” di maggio, il governo ha destinato 3,2 miliardi di euro alla riorganizzazione della sanità pubblica, di cui circa 1,2 miliardi per l’assistenza territoriale e quasi 1,5 miliardi per il riordino della rete ospedaliera. In attesa di capire che cosa è successo in Lombardia che conta il 40 per cento dei morti dell’intero paese pur avendo il 16,5 per cento della popolazione (ci vorrà tempo, pazienza e onestà), non c’è da fare i bulli in nessun’altra regione. L’assistenza territoriale che doveva essere potenziata, a fronte di un fabbisogno stimato di una struttura ogni 50.000 abitanti (circa 1.200 in totale), a luglio aveva un tasso di copertura del 49 per cento, molto più basso nelle regioni più popolose: Campania (15 per cento, Lombardia (27 per cento) e Lazio (34 per cento). Con il piano per la ripresa entreranno nel fondo sanitario di 120 miliardi annui altri 9 miliardi di euro. Il ministero della Salute aveva chiesto 68 miliardi. A meno che non si diano i numeri, vuol dire che il governo conta di colmare il divario con il ricorso al Meccanismo europeo di stabilità, il sulfureo Mes, anche se ufficialmente continua a dire il contrario. Siamo ancora nella logica della pura emergenza, non si vede un progetto per riorganizzare un sistema che è palesemente collassato in tutto il paese: le Asl, i medici di base, gli ospedali, il livello locale e quello nazionale.

 

Nell’inebriante balletto cromatico tutti vogliono fuggire dal simbolo del fuoco infernale, il Rosso delle Regioni più colpite

   
A questo punto si spalanca nel nostro vocabolario la variopinta R delle Regioni. Per il Rosso (un’altra erre tra le più popolari e le meno amate) è scattata un’avversione peggiore di quella per i comunisti durante la guerra fredda. “Meglio morto che rosso” era il grido di battaglia della destra ed è anche il titolo di un romanzo graffiante scritto dal giornalista americano Stanley Reynolds a metà degli anni ’60. Oggi assume ben altro senso (di nuovo, le parole, il contesto, il significato), ben più terribile perché il nemico s’annida nella nostra vita quotidiana e la stravolge. Nell’inebriante balletto cromatico tutti vogliono fuggire dal simbolo del fuoco infernale. Il presidente dell’Abruzzo il fratello d’Italia Marco Marsilio si è autopromosso arancione, diffidato dal governo proclama di continuare la sua strada sperando di diventare presto giallo. Non vuole essere da meno il leghista lumbard: anche Attilio Fontana si fa arancione e incita al disobbedienza incivile: “Chi viola le regole del Natale ha ragione”, è l’ultima delle sue gride. Rischia di brutto persino Luca Zaia portato finora a esempio di buon governo nella prima fase della pandemia. 

 
Le Regole cambiano come le Ricette, a ciascuno la sua, secondo convenienza. Resta il mistero su come la pensano davvero gli elettori. Leggendo i giornali e guardando la televisione sembra che irrompa una incontenibile spinta libertaria. Il popolo è in marcia contro la “pandittatura” poi arrivano i guastafeste del solito Censis e ti spiattellano percentuali anteguerra. Il 57,8 per cento degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa viene autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni alla mobilità personale. Il 38,5 per cento è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, accettando limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione e di iscriversi a sindacati e associazioni. Il 77,1 per cento chiede pene severe per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento. Il 56,6 per cento chiede addirittura il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena. Il 31,2 per cento non vuole che venga curato chi si è ammalato a causa del proprio comportamento irresponsabile. E la metà dei giovani vuole che gli anziani vengano assistiti per ultimi. Resiste non chi si adatta, ma il più forte; altro che Resilienza, una Ramazza listata a lutto. Chi ha ragione, Attilio Fontana o Alessandro Manzoni? 

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