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Il martedì nero del premier

Conte l'incassatore, tra i ganci di Renzi e i silenzi di Zingaretti. E Monti se la ride

Il presidente del Consiglio alle prese con gli ultimatum della sua maggioranza sul Recovery plan

Simone Canettieri

Nel giorno del via libera al Mes, il premier si trova stretto tra le bordate di Italia viva e  le critiche del Pd

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L’inconfondibile voce di  Maurizio Gasparri spunta da dietro il busto di Francesco Saverio Nitti: “Ahó, io avevo dato i numeri giusti. Figuriamoci se cadeva oggi. Il problema è un altro: ha visto la faccia di Conte?”.  E in effetti il giorno del voto sulla riforma del Mes, anche nella mitologica trincea di Palazzo Madama, fila liscio sul piano dei numeri (156 sì,
129 no e 4 astenuti). Ma rilascia scorie qua e là.  La sintesi la dà  Mario Monti quando, con brillante europerfidia,  si complimenta con il premier “per la pedagogia didattica” adottata con i grillini, un’azione “che ha dato i primi frutti”. Sta infierendo su un corpo, quello di Giuseppe Conte, provato dalla  scarica di colpi che gli  piovono addosso da Pd e da Iv: diretti, ganci e montanti. Urla, critiche e silenzi. Il premier incassa. Tace. Si aggiusta la cravatta rossa. Un bicchiere d’acqua, per favore. Poi lo avvisano: “Pres, è appena arrivato Matteo Renzi”.  

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L’inconfondibile voce di  Maurizio Gasparri spunta da dietro il busto di Francesco Saverio Nitti: “Ahó, io avevo dato i numeri giusti. Figuriamoci se cadeva oggi. Il problema è un altro: ha visto la faccia di Conte?”.  E in effetti il giorno del voto sulla riforma del Mes, anche nella mitologica trincea di Palazzo Madama, fila liscio sul piano dei numeri (156 sì,
129 no e 4 astenuti). Ma rilascia scorie qua e là.  La sintesi la dà  Mario Monti quando, con brillante europerfidia,  si complimenta con il premier “per la pedagogia didattica” adottata con i grillini, un’azione “che ha dato i primi frutti”. Sta infierendo su un corpo, quello di Giuseppe Conte, provato dalla  scarica di colpi che gli  piovono addosso da Pd e da Iv: diretti, ganci e montanti. Urla, critiche e silenzi. Il premier incassa. Tace. Si aggiusta la cravatta rossa. Un bicchiere d’acqua, per favore. Poi lo avvisano: “Pres, è appena arrivato Matteo Renzi”.  

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Per l’ennesima volta, d’altronde, si sta tutti qui a capire se Renzi andrà fino in fondo. Valeria Fedeli, per esempio, nota che “beh, questa volta si è spinto molto avanti. Potrà frenare?”. 

E soprattutto l’ex premier fiorentino, inseguitissimo in mezzo alla sala Garibaldi da orde di cronisti vogliose di sangue politico, aprirà davvero la crisi? Allora, per quanto contano le parole, dopo una giornata non proprio piacevole, Conte alle 19.40 si trova costretto ad ascoltare l’ultimatum di Renzi. Voce rotta in diverse occasioni. Chirurgico nel dare i titoli ai telegiornali delle venti  e ai siti: “Se mette in manovra il Recovery e la fondazione dei servizi segreti Italia viva voterà no”.

E ancora: “Non vogliamo strapuntini, i nostri ministri e sottosegretari sono a disposizione”. Cioè sono pronti a essere ritirati. E infine: “Questo non è il Grande fratello, è inutile che i suoi collaboratori chiamino le redazioni per dire ai giornali che siamo in cerca di strapuntini”. Il Pd rimane di sale. Conte guarda nel vuoto e legge i messaggi sul cellulare. Si alzano applausi dai banchi delle opposizioni: risate di gusto dalle parti di Lega e Forza Italia. A Isabella Rauti, di Fratelli d’Italia, viene da dire “Renzi è uno di noi”. 
      Meglio ritornare sul premier che oggi, nel migliore dei mondi possibili, sarebbe dovuto andare a Bruxelles con la valigia piena di forza politica da ostentare a Merkel e Macron. 

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“E invece il consiglio dei ministri sul Recovery  salta ancora” avvisa sconsolato a metà pomeriggio il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà a chi gli chiede se ci sono buone nuove.

Insomma, tutto questo sforzo per portare il M5s a votare, seppur con una serie di perdite fisiologiche tra Camera e Senato, la riforma del Mes sembra ormai un pannicello caldo. Quello che rischia di essere sul piano della propaganda anti-M5s, “la pietra tombale sul Movimento”, come la chiama l’ex Gianluigi Paragone, adesso è l’ultimo dei problemi. E pensare, confida il capogruppo grillino a Palazzo Madama, Ettore Licheri che per trovare una quadra “abbiamo chiuso virtualmente deputati e senatori dentro Zoom per tre giorni dicendo a tutti che nessuno si sarebbe mosso senza  prima aver trovato una soluzione condivisa”. E alla fine c’è stata. Seppur con le  solite frattaglie ribelli. 


In serata Luigi Di Maio si dirà molto “soddisfatto” per la risoluzione approvata, auspicando “dialogo tra persone adulte  sul Recovery”. Senza però, attenzione, schierarsi a favore di Conte, ormai al frontale plateale con Renzi. Che lo sfida in diretta tv. Lo colpisce e lo minaccia. Soprattutto lo accusa. Fendenti su fendenti all’indirizzo del Grande Incassatore. Che si trova sì coperto dalle truppe grilline (“se salta questo governo, cosa ne sarà del M5s?”, si chiede per esempio Emanuele Dessì dai Castelli Romani), ma poi brancola nel cercare l’appoggio dei leader.

Ecco di Renzi si è detto molto (e in serata l’ex premier farà il bis a Porta a Porta per rintuzzare), ma il problema è anche il Pd. Graziano Delrio, alla Camera, di prima mattina gli urla “umiltà”, gli imputa di non coinvolgere il Paese sui fondi del Next Generation Eu, di voler commissariare il Parlamento. Un intervento durissimo, e molto applaudito. Di fatto molto simile a quello del renziano Ettore Rosato: “Caro presidente, non si può decidere in tre o quattro dentro a uno stanzino”.  Ecco, invece di Mes, si parla di altro, della sostanza.   Conte per tutta la giornata  cerca di non perdere mai le staffe. Prende colpi, ma non forza la mano. Non rilancia la sfida. Anzi, si limita ad auspicare “coesione tra le forze di maggioranza”, a stigmatizzare “l’uso della dialettica interna che distrae e disperde energie”.  

La situazione è seria, e lo si capisce quando solca i corridoi del Senato Alessandro Goracci, l’ombra di Conte nonché il suo capo di gabinetto. Tutti cercano Zingaretti. Che tace e sembra godersi l’evolversi della vicenda. Nel dubbio per i primi di gennaio ha fissato una direzione del Pd. Sarà importante? Può darsi.
 

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