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Il retroscena

Mes, ecco l'accordicchio. E quando Zingaretti pensa a Conte vede la palude

Al premier non basta la sponda di Grillo sul salva-stati e la patrimoniale. Anzi, a Palazzo Chigi dicono: "E' stata un'iniziativa personale di Beppe"

Simone Canettieri

Si fa largo in vista dell'appuntamento del 9 dicembre in Senato una risoluzione in bianco che non scontenterà nessuno. Nel Pd intanto sono sempre più insofferenti. Il segretario: "Il premier sulla legge elettorale sta facendo come l'albero di Bertoldo"

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Nicola Zingaretti gli imputa la palude, Goffredo Bettini pensa che stia per venir giù tutto, Andrea Orlando gli chiede di prendere un’iniziativa. E così mentre l’intero Pd lo rincorre, il premier Giuseppe Conte si ferma. Beppe Grillo è tornato. Almeno per un giorno. Anzi, lo spazio di un mattino.

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Nicola Zingaretti gli imputa la palude, Goffredo Bettini pensa che stia per venir giù tutto, Andrea Orlando gli chiede di prendere un’iniziativa. E così mentre l’intero Pd lo rincorre, il premier Giuseppe Conte si ferma. Beppe Grillo è tornato. Almeno per un giorno. Anzi, lo spazio di un mattino.

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Giusto il tempo di tirare un macigno nella palude, come la chiama il segretario dei dem. Il garante del M5s rompe il silenzio per dire tre cose:  no al Mes sanitario, patrimoniale per i “super ricchi” (2 per cento dai 50 milioni in su) e pagamento di Imu e Ici per la chiesa. I grillini oltranzisti si sentono leoni, i grillini contiani rimangono spiazzati, Di Maio cambia strategia.

 

 

E a Palazzo Chigi giurano: “Iniziativa di Beppe, niente di concordato”. Sarà. Il fatto è che il presidente del consiglio  sembra trovarsi in questa fase senza particolari punti di riferimento nella maggioranza. Che lo sostiene, ma sbuffa. Che lo sostiene, ma intanto lo punzecchia con documenti critici (i parlamentari dem sull’ultimo dpcm) o su raccolte di firme che sembrano allarmanti penultimatum (i parlamentari pentastellati sul Mes). E Grillo, perfino Grillo, non capisce nemmeno il punto di caduta di questo assist, che forse tale non è. Perché fa l’effetto della Diavolina nel camino: accende ancora di più animi che bruciano. Al Quirinale osservano e scuotono la testa, nel Pd il capogruppo Graziano Delrio dice chiaro e tondo: “La revisione del Mes per noi è un punto ineludibile”.  

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Traduzione: senza riforma non c’è più questa maggioranza, nata proprio sulla spinta del Colle e del Nazareno per riposizionare l’Italia nello scacchiere europeo, dopo la stagione delle sportellate gialloverdi.

 

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Ma queste sono parole, perché poi alla fine bisogna fare uno sforzo e provare a mettere il naso su ciò che potrebbe accadere mercoledì prossimo in Senato. Dove  i numeri  ballano (ormai quasi per costituzione) una minacciosa danza intorno al presidente del consiglio. E allora, secondo quanto dicono abbastanza annoiati ma realisti dal Pd, alla fine dovrebbe andare così: la maggioranza darà sì mandato a Conte di procedere con la modifica dei trattati, senza però  citare il Mes sanitario. Per quello si vedrà poi. In un altro momento, alla prossima fibrillazione. Si fa largo dunque l’idea di una risoluzione “in bianco” dove avranno tutti perso o vinto a seconda dei rispettivi tifosi.

 

Un espediente già usato, sempre a Palazzo Madama due giorni fa, al termine delle comunicazioni del ministro Roberto Speranza (“Il Senato, udite le comunicazioni del ministro della Salute sulla situazione epidemiologica, sulle ulteriori misure per fronteggiare l’emergenza nonché sul Piano per la somministrazione dei vaccini contro il Covid-19 in Italia, le approva”).

 

Il compromesso all’italiana, l’“accordicchio”, come lo definiscono al Nazareno, dove evitano di commentare la presa di posizione di Beppe Grillo, che nel suo post scalza i 37 miliardi del Mes dicendo ai suoi ragazzi di puntare sulla patrimoniale e sulle tasse da far pagare alla chiesa. Come se tutto fosse semplice e consequenziale, alla portata di un post su un blog. In questo caos, che calmo non è, il Movimento continua a ondeggiare senza guida: Di Maio chiede ai parlamentari di togliere le loro firme sul documento in vista della risoluzione della prossima settimana, allo stesso tempo è costretto a specificare che l’uscita sulla patrimoniale di Grillo non è una smentita al suo “mai patrimoniale”.

 

Sta di fatto che, mentre il ministro Federico D’Incà fa il giro delle sette chiesa per chiedere ai dissidenti di limitarsi a una protesta indolore (“Magari potreste semplicemente evitare di venire in Aula, mercoledì...”), e poi implora i capigruppo di Pd e Iv di non inasprire i toni (“Perché stavolta rischiamo davvero d’implodere”), sulle chat dei parlamentari grillini si consuma uno scontro tra diverse fonti scientifiche: e così, mentre i pontieri condividono un dossier dei Banca d’Italia che spiega i vantaggi della riforma del Mes, gli oltranzisti rispondo col post di Beppe, “ché Banca d’Italia è faziosa”.  

 
Convulsioni in una maggioranza sfilacciata. Dove tutto appare fermo, almeno agli occhi del Pd, sempre più insofferente nei confronti di Conte. Zingaretti, per esempio, definisce le uscite del premier sulla legge elettorale come l’apologo dell’albero di Bertoldo che dovendo scegliere l’albero a cui impiccarsi alla fine rimandava sempre. “E’ inutile che Conte dica che lo stallo sul proporzionale sarà risolto dai leader se mancano le basi di un accordo”, raccontano dal Nazareno. Dove legano questa eterna titubanza sulla legge elettorale anche al riavvicinamento di Forza Italia a Matteo Salvini e Giorgia Meloni: “Se Conte non fa una mossa e non supera il maggioritario il Cav. non si stacca da quei due”. E non a caso in serata ecco la telefonata Salvini-Berlusconi: “Non ci saranno stampelle”. 

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