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L'intervista

Roma, un generale per la municipale di Raggi: "I vigili urbani? Sono onestissimi"

Dopo le dimissioni di Stefano Napoli, la grillina punta sull'esercito per risollevare le sorti dei seimila agenti

Simone Canettieri

Intervista al nuovo comandante dei pizzardoni capitolini Paolo Gerometta: "Per me sarà una missione, ma basta cattiva pubblicità sul corpo"

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Libano? Kosovo? “No, Trastevere”. Una carriera passata nei principali teatri di guerra, un curriculum, nell’esercito italiano e nell’Unifil, lungo come l’elenco telefonico di Tokyo.  “Ma questa sarà comunque, per me, una missione”.
Ecco, Paolo Gerometta, 65 anni, da Venezia, faccia da alpino, pizzetto curato.

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Libano? Kosovo? “No, Trastevere”. Una carriera passata nei principali teatri di guerra, un curriculum, nell’esercito italiano e nell’Unifil, lungo come l’elenco telefonico di Tokyo.  “Ma questa sarà comunque, per me, una missione”.
Ecco, Paolo Gerometta, 65 anni, da Venezia, faccia da alpino, pizzetto curato.

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Sarà lui, un generale dell’Esercito, il nuovo comandante dei vigili di Roma. Il corpo dei veleni, che sembra autoconservarsi, nonostante da Rea Silva in poi sia al centro di scandali e accuse. Tipo l’ultima, stile Germania dell’Est (Ignazio Marino: “I vigili mi sabotarono per farmi cadere”).  Seimila agenti in auto, in moto, in bici, ma alla fine quasi sempre in ufficio.

 

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Più che un corpo, una corporazione. Con mille sigle sindacali e cento cose a cui pensare in una città come Roma che racchiude altre venti città dal passato incompiuto e reversibile. Gli agenti si portano in dote quasi ventimila voti, ma forse molti di più. Chi li tocca, alla fine ci rimette le penne. Male che vada non viene rieletto. Oppure finisce nei guai con la giustizia (vedi il processo Raggi per via di una promozione al fratello di Raffaele Marra, Renato, che, guarda caso, era un dirigente dei vigili).  Bene, Gerometta prenderà il posto di Stefano Napoli, caduto sul lavoro (di Report), con tanto di lettera di commiato contro la sindaca. Tre paginette protocollate al veleno dell’acqua del Tevere piene di accuse e di “lei sapeva tutto e non mi ha difeso”.

 

In mezzo  – tra i miti dei pizzardoni doc Otello Celletti e Giancarlo Magalli –   inchieste di corruzione, “la legge signo’ siamo noi”, scioperi clamorosi. Sono un romanzo, questi vigili romani. Di più: una leggenda metropolitana. Ma poi certo, guai a generalizzare, le mele marce sono ovunque, certi virus sono fisiologici nella pubblica amministrazione. Insomma, tutto vero e tutto falso. E  quando arrivano i colonnelli? No, di più: hanno chiamato i generali.

 

Gerometta, innanzitutto auguri. Dove si trova ora?

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“Grazie ne avrò bisogno. Sono in attesa che la mia delibera di nomina venga perfezionata. Ma sono pronto. Mi trovo al poligono”.

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Sta sparando per rilassarsi o per esorcizzare il rischio che diventi un obiettivo dell’opinione pubblica?

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“Sparo per allenarmi, come sempre. Appena posso vado al poligono”.

 

Serviva un generale dell’esercito per mettere in riga i vigili urbani della Capitale?
“Lavoro in Campidoglio dal 2019, da quando una norma permise il distacco dei generali nella pubblica amministrazione. Quindi, già conosco il corpo dei vigili perché fino a oggi, in attesa della nuova nomina, mi sono occupato del personale della polizia municipale di Roma”.

 

Rischia di essere percepito come un corpo estraneo?
“In questi mesi ho cercato di inserirmi nell’attività della polizia con fermezza e umiltà”.

 

Le rinnoviamo gli auguri: dossieraggi, inchieste, audio rubati di rapporti sessuali, discredito generale. E adesso anche le trasmissioni giornalistiche.

“Allora, premetto: mi definisco un neo assunto perché, come si sa, vengo da un’altra esperienza.  Però vorrei dire una cosa”.

 

Prego, forse possiamo anticiparla: vuole dire che tutto il fango sui vigili di Roma è solo fango mediatico?

“Dico che c’è un eccesso di cattiva pubblicità, da quando sto qui ho toccato con mano l’abnegazione di ogni singolo agente. L’attaccamento alla divisa, l’onestà”.

 

Dicono che quello di Roma sia il corpo più corrotto d’Italia.

“Credo che sia fisiologico, vista la grandezza dei numeri con cui abbiamo a che fare, combattere fenomeni del genere. Ma niente generalizzazioni, vi prego. Pensiamo al messaggio esterno: i romani devono aver fiducia di noi, quando vedono la nostra divisa in giro per la città”.

 

Raggi ha chiamato un generale perché serviva il pugno duro?

“Sono a disposizione della sindaca, ma la mia storia e oltre 40 anni di carriera nell’esercito parlano da soli: sono un uomo decisionista, molto, e che si assume le sue responsabilità”.

 

Pugno duro!
“Certo, anche  pugno duro se serve. Ho lavorato in Kosovo e Libano, in posti complicati”.

 

E Trastevere, Campo de’ Fiori, la Prenestina, Centocelle non saranno da meno. Ne è consapevole?
“Non farei questo parallelo, però ammetto che è una sfida complessa. Per me quella di Roma sarà una vera e propria missione”.

 

Ecco, questo è il titolo dell’intervista, generale.
“Questa è la verità. E’ lo stato d’animo con il quale mi approccio a questa nuova avventura: per me sarà una missione”.

 

Sarà un comandante nella continuità o, come è facile pensare visto che viene da fuori, sarà un rivoluzionario o forse un commissario?
“Non posso ancora annunciare i miei provvedimenti. Aspetto che la sindaca Raggi firmi la determina. Poi inizierò a lavorare, mi porto dietro 46 anni di carriera”.

 

E’ un grillino? Vota il M5s? E’ pronto alla campagna elettorale?
“La fermo subito: sono super partes, e da sempre. In più sono sereno e ottimista”.

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