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Oltre il voto sullo scostamento di Bilancio

Allargare e compattare. I pontieri paralleli Gualtieri e Franceschini

Tra opposizione e maggioranza, ristori e programma di governo. L'opera di tessitura dei due ministri

Marianna Rizzini

I buoni rapporti di Gualtieri con Letta, da un lato, e con Bettini, dall'altro. Il silenzio e la dissuasione di Franceschini nella riunione di Zingaretti con i ministri Pd in cui i ministri hanno sottolineato la non malleabilità del M5s. Lo sguardo oltre il Natale con Dpcm incombente (rimpasto?)

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Una telefonata nel buio, l'altra notte, tra Silvio Berlusconi e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. I due che si parlano, e poi, ieri mattina, l’altra telefonata, anzi l’altro collegamento: quello di Silvio Berlusconi con i deputati azzurri, per veicolare il messaggio: “Guardate che hanno accolto quasi tutte le nostre proposte, non possiamo non apprezzare”. E se, dal lato opposizione, fino alla sera prima, l’esito avrebbe potuto essere diverso, e se ieri il capovolgimento di pesi e contrappesi vedeva il Cav. trainante rispetto a Matteo Salvini e Giorgia Meloni, è anche vero che per arrivarci, al doppio voto di ieri, sul lato maggioranza, ci si è avvalsi del lavorìo di due uomini e ministri, Roberto Gualtieri e Dario Franceschini, da giorni in cammino su due strade parallele. E le due strade parallele si sono alla fine intersecate, nel senso dell’eterogenesi dei fini, ma anche – follia del caso – della convergenza dei fini stessi: lo scostamento di bilancio di 8 miliardi è stato infatti votato ieri, con l’opposizione concorde nell’approvarlo e con il plauso del premier Giuseppe Conte (“tra le forze di opposizione prevale la via del dialogo e di un approccio costruttivo e per questo ringrazio, in particolare, quanti l’hanno voluta perseguire sin dall’inizio”).

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Una telefonata nel buio, l'altra notte, tra Silvio Berlusconi e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. I due che si parlano, e poi, ieri mattina, l’altra telefonata, anzi l’altro collegamento: quello di Silvio Berlusconi con i deputati azzurri, per veicolare il messaggio: “Guardate che hanno accolto quasi tutte le nostre proposte, non possiamo non apprezzare”. E se, dal lato opposizione, fino alla sera prima, l’esito avrebbe potuto essere diverso, e se ieri il capovolgimento di pesi e contrappesi vedeva il Cav. trainante rispetto a Matteo Salvini e Giorgia Meloni, è anche vero che per arrivarci, al doppio voto di ieri, sul lato maggioranza, ci si è avvalsi del lavorìo di due uomini e ministri, Roberto Gualtieri e Dario Franceschini, da giorni in cammino su due strade parallele. E le due strade parallele si sono alla fine intersecate, nel senso dell’eterogenesi dei fini, ma anche – follia del caso – della convergenza dei fini stessi: lo scostamento di bilancio di 8 miliardi è stato infatti votato ieri, con l’opposizione concorde nell’approvarlo e con il plauso del premier Giuseppe Conte (“tra le forze di opposizione prevale la via del dialogo e di un approccio costruttivo e per questo ringrazio, in particolare, quanti l’hanno voluta perseguire sin dall’inizio”).

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Tutto a posto? Insomma (vedi alla voce Mes). E però è un fatto che sia Gualtieri, per un verso, sia Franceschini, per l’altro – uno allargando l’apparentemente non allargabile, l’altro compattando l’apparentemente non compattabile – abbiano contribuito al raggiungimento della tappa di ieri, lungo il percorso dei Ristori uno, due, tre, quattro (i decreti cosiddetti). E ci sono stati giorni, prima della tappa, in cui il professore e ministro dell’Economia Gualtieri, forte della pazienza da professore e delle buone conoscenze in Europa nonché, ultimo ma non ultimo, della sintonia trasversale con Gianni Letta e degli ottimi rapporti con la vasta area “ultra-Pd” che fa capo a Goffredo Bettini, sponsor degli sponsor rispetto all’allargamento a Forza Italia, metteva mano alla rubrica del telefono per contattare in via informale alcuni parlamentari, e per spiegare nel dettaglio l’operazione ad ampio spettro concordata con gran parte della maggioranza (operazione di ricezione dei desiderata dell’opposizione, appunto). Anche se poi c’era chi rispondeva: ma come la si mette con i Cinque Stelle?

 

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Stesso macigno trovava, sull’altra strada, Dario Franceschini. L’uomo che – nella riunione con i ministri Pd in cui il segretario pd Nicola Zingaretti, qualche giorno fa, faceva capire che sulle riforme o si procedeva spediti o si rischiava di far saltare tutto, e in cui i suddetti ministri, più i capigruppo alla Camera e al Senato, rispondevano che a voler tenere fede al programma di governo c’era da impazzire, vista la non malleabilità del M5s – lui, capo-delegazione pd al governo, taceva. E taceva in maniera inversamente proporzionale al numero di telefonate che aveva dovuto fare nei giorni precedenti. Telefonate in direzione extra Pd (Gruppo misto, Italia Viva, Forza Italia), vista l’imminenza del voto sullo scostamento, ma anche telefonate interne al Pd: per smussare e calmierare, e per dire, in altre parole, di evitare qualsiasi mossa imbizzarrita, Conte o non Conte (della serie: Conte accentra? Conte gestisce in modo non sempre condivisibile? Pazienza, pazienza, pazienza). E le strade si intersecavano nel punto esatto in cui si tornava a ragionare, nel Pd, sull’orizzonte unico non sbandierato ma neppure smentito: un rimpasto da guardare, per ora, oltre lo scostamento, e oltre il Natale strano con Dpcm incombente. 

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