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L'intervista

Mostarda: "Mi volevano in Calabria, poi sono scomparsi. Pago il mio impegno civico"

Prima cercato e poi scaricato. Parla Narciso Mostarda, l'ultimo protagonista di questa galleria degli errori del governo

Simone Canettieri

Parla il commissario mancato. Contro di lui i veti del M5s: "Feci l'assessore in una giunta civica a Frosinone e non me ne vergogno. Da psichiatra, prima che da manager, noto una certa anaffettività nella gestione della cosa pubblica"

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Narciso di nome, ma anche di fatto? “Macché, porto il nome di mio nonno, come si usava al sud”.

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Narciso di nome, ma anche di fatto? “Macché, porto il nome di mio nonno, come si usava al sud”.

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Lei in Calabria ci sarebbe andato, però, a fare il commissario: coraggioso, ambizioso, sicuro di sé, indomito.

“Niente di tutto ciò. Mi ero messo a disposizione perché credo nella sanità pubblica. Come quando da giovane iniziai a lavorare nell’allora manicomio di Roma, liberando i pazienti segregati. Fu il primo caso in Italia e ne vado orgoglioso. Sono uno psichiatra, prima di essere un manager”.

Ma adesso può dirlo. E’ tutto è   finito. Chi l’aveva cercata? “Il ministero della Salute”.  

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Ma chi?

“Gli uffici, diciamo”.  

L’altra sera qualcuno l’ha chiamata per scusarsi, per dirle che magari sarà per la prossima volta?

“No, non ho sentito nessuno”. Conte, Speranza? “Nessuno”. Qualcuno le ha spiegato perché è saltato? “Noooo, lei lo sa?”. Ecco Narciso Mostarda. 


Il nome  di Narciso Mostarda –   tra Mario Monicelli e Maccio Capatonda – è entrato e uscito durante il Consiglio dei ministri di martedì scorso. Per ore. E nel frattempo ha fatto capolino sui siti dei giornali. Per un tot finalmente la sanità calabrese sembrava avere trovato il suo commissario. L’uomo della provvidenza, il nuovo Bronzo.  Dopo Saverio Cotticelli (“Mi hanno drogato?”), Giuseppe Zuccatelli (“Le mascherine non servono”), Gino Strada (“Non esistono tandem, darà una mano”), Eugenio Gaudio (“Mia moglie non vuole trasferirsi a Catanzaro”) tutti si stavano rassegnando alla fine di questa galleria degli errori.  
Al massimo, rimaneva qualche battutina sul nome e cognome del prescelto: questo dirigente dell’Asl Roma 6 (distretto dei Castelli Romani) nato ad Anagni nel 1962, capelli ricci e sorriso sicuro. Bello (narciso?).

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Noto sulle sponde del Tevere per essere stato nominato nel 2016 dal prefetto Franco Gabrielli (su indicazione della ministra Beatrice Lorenzin) commissario dell’ospedale Israelitico, squassato all’epoca dall’arresto di quattordici persone, gioiellino della comunità ebraica. Invece niente. Prima Alfonso Bonafede, poi Luigi Di Maio in Consiglio dei ministri hanno detto no a Mostarda. Non piaceva. “E’ del Pd”. “E’ di Zingaretti”. “Non va bene”. Sicché sul tavolo è piombato, per sbarrare la strada al quasi commissario, il nome del prefetto Luigi Varratta. Un ottimo modo per non scegliere e rimandare ancora, perdersi in mille chiacchiere notturne, scrivere un’altra puntata  di questo romanzo che doveva chiudersi martedì, come da annuncio del premier Giuseppe Conte in tv. 
Ma alla fine davanti al muro contro muro anche il presidente del Consiglio sembra essersi arreso: e così ha chiesto ad Agostino Miozzo di andare in Calabria. Sapendo che però il coordinatore del Cts non potrà andarci perché c’è una pandemia in corso e visto il ruolo che ricopre forse serve a Roma.  
E quindi il commissario non potrà fare altro che nominare altri sub commissari per colorare il tutto ancora più di grottesco e precario. 
La buona notizia è che la moglie di Miozzo sembra, ma non si capisce se siano battute della rete o mezze verità, avergli dato il via libera per Catanzaro. 
Comunque tra poco, già oggi quando Conte tornerà dalla Spagna, si saprà. 
A proposito, Mostarda, lei aveva il via libera della sua consorte?

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“Diciamo che non avevo questo problema. Ma ha capito perché sono saltato? Perché io, sono sincero, non l’ho capito. E non mi ha chiamato nessuno nemmeno per spiegarmelo”. 


Allora, pare che abbiano detto, quelli del M5s, che lei era del Pd e che è stato assessore in quel di Frosinone con una giunta di centrosinistra: vergogna!

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“Ah, ecco. Adesso capisco. Incredibile”.

Gliel’hanno fatta pagare: capita.

“Nel 2009 mi misi a disposizione di un progetto civico per dare una mano al mio territorio. Un’esperienza che durò due anni. Tutto qui. Una cosa che succede in tutti i paesi civili. Evidentemente hanno vinto altre logiche. Ma non c’è problema, nessun rancore. Ho il mio lavoro”. 

Ma si sfoghi un po’: quali logiche hanno vinto?

“Forse quelle ciniche che non guardano ai problemi, ma non lo so. Non voglio fare polemica e non mi interessa. Devo pensare adesso ai miei malati, quelli dell’Asl Roma 6”. 
Non è un uomo di Zingaretti?  Suvvia, lo dica. Dove nasconde la tessera del Partito democratico? Tiri fuori la pistola fumante.

“Ancora? La storia è semplice. Quando venni contattato dieci giorni fa dal ministero della Salute, prima della nomina di Gaudio per capirci, diedi la mia disponibilità. Mi sembrava un atto generoso, ma anche dovuto verso il mondo della sanità pubblica. Ben consapevole di tutte le difficoltà del caso”.

Mostarda, a dirla tutta, aveva già sfiorato la Calabria. Anche l’allora ministro della Salute Lorenzin, tramite il suo capo di gabinetto, gli propose l’incarico. Lui ci pensò su, e alla fine rifiutò perché Zingaretti, in veste di governatore del Lazio, gli propose di sovrintendere all’apertura dell'ospedale dei Castelli. Due settimane fa, quando iniziò a circolare il suo nome, agli amici diceva: “Non è un incarico per cui si brinda a cena. Ma se me lo chiedono, non potrò dire di no”.

Insomma, da psichiatra più che da manager come giudica la sua vicenda? “Come una gestione anaffettiva della cosa pubblica”.

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