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Oltre i commissari

Altro che Kalabristan. Seguire il modello "Bronzi" per guarire la sanità

Carmelo Caruso

Nella regione dove non si trova il commissario alla sanità c'è un museo che è in attivo (800 mila euro). Si trova a Reggio Calabria. E' il museo che ospita i Bronzi di Riace e che dal 2015 è guidato da Carmelo Malacrino

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Roma. Giuseppe Conte si faccia spiegare da lui come sia possibile "dirigere" la Calabria anziché commissariarla. Gli chieda come è accaduto, come è riuscito a trasformare un cantiere in un museo modernissimo, qual è il segreto della sua longevità al comando (“ho avuto il privilegio di essere stato riconfermato”) e per quale ragione da qui non vuole andarsene. A Reggio c’è la migliore prova che un buon bando, una gara aperta, internazionale, può essere la soluzione per individuare figure capaci di amministrare i beni culturali, la sanità, quella sanità che in questa regione ha bisogno di qualcosa di più che di un semplice commissario.

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Roma. Giuseppe Conte si faccia spiegare da lui come sia possibile "dirigere" la Calabria anziché commissariarla. Gli chieda come è accaduto, come è riuscito a trasformare un cantiere in un museo modernissimo, qual è il segreto della sua longevità al comando (“ho avuto il privilegio di essere stato riconfermato”) e per quale ragione da qui non vuole andarsene. A Reggio c’è la migliore prova che un buon bando, una gara aperta, internazionale, può essere la soluzione per individuare figure capaci di amministrare i beni culturali, la sanità, quella sanità che in questa regione ha bisogno di qualcosa di più che di un semplice commissario.

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Grazie a questo metodo, è stato scelto il direttore del museo dei Bronzi di Riace (“e però non ci sono solo i magnifici Bronzi. E’ proprio questo che abbiamo cercato di spiegare”). Si chiama Carmelo Malacrino e dal 2015 guida il MaRC, il museo disegnato dall’architetto Marcello Piacentini, un museo che dal 2009 al 2016 è rimasto chiuso per lavori e che quando ha riaperto non ha solo riaperto. Con la riforma Franceschini è passato dalla chiusura all’autonomia, dal dolce sonno dei Bronzi (erano ricoverati presso la sede del consiglio regionale, sdraiati come pazienti) alla dinamicità delle mostre temporanee, collaborazioni con enti, sinergie con conservatori e planetari, perché in questo museo, dice Malacrino, “si vedono anche le stelle”.

 

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In Italia, come il MaRC, ci sono altri 19 musei che sono diretti da studiosi che sono anche manager, archeologi, storici dell’arte e che non hanno ceduto al demonio, al marketing, ma che grazie al marketing riescono a conservare patrimonio, produrre cultura e denaro. L’anno scorso, a Reggio Calabria, i visitatori sono stati 250 mila. Gli ultimi bilanci hanno registrato sempre un attivo. C’è un museo (e questa non è forse una notizia?) che in Calabria, anzi, in Kalabristan, grazie a una gestione finanziaria attentissima, ha in cassa un piccolo tesoretto di ottocentomila euro. “Servirà a superare un momento difficilissimo come quello che stiamo vivendo” anticipa il direttore.

 

E’ un calabrese pure lui, un architetto che si è formato all’università di Firenze, poi ad Atene dove ha conseguito la specializzazione in Archeologia e successivamente a Venezia, dottore di ricerca. E’ tra i pochi che vogliono vivere in Calabria? “E perché dice pochi?”. Le mogli non si vogliono trasferire. I rettori utilizzano come schermo le mogli. Gli ufficiali declinano. I prefetti pure. Non riguarda solo il ruolo di commissario alla sanità. E’ passata l’idea che qui finisca la modernità e che inizi il non finito, la terra scalcinata e sempre dallo scialle nero. Insomma ‘gente in Aspromonte’. Lei è un’eccezione? “Sta passando un’idea che mortifica una comunità che ha entusiasmi non raccontati ma che davvero esistono”.

 

Malacrino racconta che al famigerato concorso Franceschini parteciparono in tantissimi e pure dall’estero. Volevano tutti trasferirsi fra Reggio e Catanzaro? “Volevano venire a dirigere uno dei più importanti musei della Magna Grecia. Volevano avere l’occasione che io ho avuto e che non ho  sprecato”. La riforma ha costretto il museo a dotarsi di un cda, revisori dei conti, uffici amministrativi. Ha stimolato buona burocrazia. “Mancava la struttura ma lavorando, e con pazienza, abbiamo creato una squadra che si è rivelata una formidabile squadra”. I dipendenti hanno maturato competenze e senza cedere al lazzaronismo. La comunicazione l’ha presa in mano Malacrino perché “dovevamo dare voce. Di fatto era un museo muto”. In pochi anni ha reso fruibile tutti i livelli, i piani dell’edificio, “adesso siamo a livello E”.

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Si è cominciato con i depositi. Tutti i reperti sono stati “tracciati”, che è parola tanto di moda. Gli allestimenti delle mostre realizzati da personale interno, perfino i cataloghi sono stati editati dal museo: “Siamo arrivati a 22 cataloghi”. C’è una differenza tra commissariare e dirigere. “Il direttore non può limitarsi alla gestione. Un direttore deve avere l’ambizione di lasciare qualcosa in più di quello che ha ricevuto. Ha ben presente che il suo tempo è un tempo limitato. Il suo mandato è chiaro, definito. Io amministro pensando a cosa lascerò alla mia scadenza” risponde Malacrino. I commissari scadono invece nel malumore. I direttori di solito non hanno paura del tempo perché “pensano a come fare correre la macchina”. I commissari somigliano quasi sempre al Leonida di Franz Werfel: capi di gabinetto che rimpiangono la vita che non hanno avuto. Direttore Malacrino, si è mai pentito di essere tornato a Reggio Calabria? “E perché?”. Perché ultimamente “tutto, ma mai in Calabria”. “E pensare che io ha fatto pure un concorso per venirci. Le basta come risposta?”.

 

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