Salvini, tra logos e paraculos
Se il patto con Di Maio lo fa lui è un "contratto", se invece ci prova il Cav. è un "inciucio"
Quando le parole non significano più ciò che significavano prima
Dalla vicenda Salvini, scandalizzato che Berlusconi possa parlare con i 5 stelle, si potrebbe forse ricavare un saggio sul linguaggio che non somiglia alle cose che nomina
Quello che prima veniva chiamato “contratto” ora diventa “inciucio”. E ciò che prima assumeva la dimensione eroica di “governo del cambiamento” ora è solo torbida “ambiguità”. E viceversa. Le parole, diceva Prezzolini, sono fra i nostri nemici, perché ci tradiscono come ambasciatori e ci ingannano come interpreti. In pratica sono al servizio di chi voglia usarle. E spesso congiurano con l’azione, ai danni dell’intendimento. Così, come tutti sanno, l’altro giorno Matteo Salvini si è scandalizzato perché Silvio Berlusconi, a quanto pare, era forse intenzionato a fare adesso quello che il segretario della Lega aveva invece fatto prima: stringere cioè la mano dei Cinque stelle, chissà, giocare anche a governare con loro, finire col dire che “ormai sento Di Maio più di mia mamma”. Accadeva appena due anni fa, quando Salvini si candidava leader della coalizione di centrodestra ma poi subito dopo la spaccava per formare un governo con gli avversari. “Inciucio” o “atto di responsabilità”? Dipende. Estrema infatti è la facilità con la quale, quando sono gli altri a volerle praticare, le larghe intese perdono la loro vaghezza e si fanno più che carnali (“ammucchiata”) oppure finiscono per acquistare un sentore di pettegolezzo da cortile: “Inciucio”, appunto. Così la voglia di intrigare, pastrocchiare e comunque trattare sottobanco diventa improvvisamente responsabilità e fatica, o viceversa il senso di responsabilità e la fatica della politica diventano intrallazzo e orrore. Da tutto ciò si potrebbe forse ricavare, più in generale, un saggio sul linguaggio che non somiglia alle cose che nomina e che non è più nemmeno il vecchio e famoso “dire per non dire e non dire per dire” che fece la fortuna della Prima Repubblica.
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- Salvatore Merlo
Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.