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Il Covid in prigione

David Allegranti

I paladini dello streaming si dimenticano di aggiornare i dati sui contagi in carcere

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I fu paladini della trasparenza e dello streaming che siedono al ministero della Giustizia (citofonare Alfonso Bonafede) non riescono neanche a fornire i dati precisi dei contagi nelle carceri. Si sa però, grazie al lavoro dei Garanti delle persone private delle libertà e delle associazioni come L’altro diritto e Antigone, che il numero dei ristretti che hanno contratto il coronavirus è in aumento. Per questo i Garanti hanno rivolto un appello al Parlamento: “Il carcere è una realtà in cui il rischio della diffusione del Covid-19 è molto alto: il fisiologico assembramento di un numero considerevole di persone in uno spazio angusto non permette, infatti, di rispettare le regole minime di distanziamento fisico e di igiene funzionali alla prevenzione del virus. La patologica situazione di sovraffollamento che caratterizza le nostre carceri contribuisce inoltre fatalmente ad accrescere il rischio di diffusione del contagio”. 
Secondo i dati del Garante nazionale aggiornati al 13 novembre 2020, sono 32 le persone detenute ospedalizzate e più di 600 quelle risultate positive a seguito di screening diffusi. “Rispetto al numero di tamponi effettuati in questa nuova tornata di epidemia – scrive il Garante nazionale nell’ultimo report – il tasso di positività in carcere è alto (più del 15 percento), ma comunque in linea con quello del territorio nazionale. Accanto a questi numeri, quello di più di 800 persone dell’Amministrazione penitenziaria che operano con diverse funzioni nel mondo della detenzione penale”. 

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I fu paladini della trasparenza e dello streaming che siedono al ministero della Giustizia (citofonare Alfonso Bonafede) non riescono neanche a fornire i dati precisi dei contagi nelle carceri. Si sa però, grazie al lavoro dei Garanti delle persone private delle libertà e delle associazioni come L’altro diritto e Antigone, che il numero dei ristretti che hanno contratto il coronavirus è in aumento. Per questo i Garanti hanno rivolto un appello al Parlamento: “Il carcere è una realtà in cui il rischio della diffusione del Covid-19 è molto alto: il fisiologico assembramento di un numero considerevole di persone in uno spazio angusto non permette, infatti, di rispettare le regole minime di distanziamento fisico e di igiene funzionali alla prevenzione del virus. La patologica situazione di sovraffollamento che caratterizza le nostre carceri contribuisce inoltre fatalmente ad accrescere il rischio di diffusione del contagio”. 
Secondo i dati del Garante nazionale aggiornati al 13 novembre 2020, sono 32 le persone detenute ospedalizzate e più di 600 quelle risultate positive a seguito di screening diffusi. “Rispetto al numero di tamponi effettuati in questa nuova tornata di epidemia – scrive il Garante nazionale nell’ultimo report – il tasso di positività in carcere è alto (più del 15 percento), ma comunque in linea con quello del territorio nazionale. Accanto a questi numeri, quello di più di 800 persone dell’Amministrazione penitenziaria che operano con diverse funzioni nel mondo della detenzione penale”. 


I numeri, dice al Foglio Sofia Ciuffoletti, direttrice dell’Altro diritto e Garante a San Gimignano, “sono super preoccupanti: la questione davvero problematica è dovuta al fatto che prima i risultati dei tamponi arrivavano in 24 ore, adesso i risultati dei tamponi arrivano in 4-5-6-7 giorni. Questo fa sì che le sezioni di isolamento precauzionale, in cui le persone appena giunte  si trovano di fatto completamente bloccate, siano piene: il turn over si è molto ridotto. Il problema dunque adesso è non fare arrivare più nuove persone”. I contagi non risparmiano nessuno, neanche i bambini. A Torino ce ne sono due positivi. Il sindacato di polizia penitenziaria Uilpa dice che la situazione è ancora peggiore, citando dati aggiornati a lunedì. “Altro balzo in avanti dei contagi da  coronavirus nelle carceri del paese”. Alle ore 20 di lunedì sera erano ben 758 fra i detenuti (distribuiti in 76 penitenziari) e 936 fra gli operatori i casi accertati di positività al virus: “Erano, rispettivamente, 638 e 885 solo venerdì scorso alle ore 13”, dice Gennarino De Fazio, Segretario Generale della Uilpa Polizia penitenziaria. 
“In due settimane” il contagio da Covid-19 nelle carceri è aumentato “di circa il 600 per cento”, diceva venerdì scorso un altro sindacato della polizia penitenziaria, Osapp, in una lettera al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e al capo del Dap Dino Petralia, denunciando “una generale e quanto mai pericolosa promiscuità nei reparti detentivi”, accompagnata dall’“assenza di dispositivi di protezione individuale”. Il sindacato denunciava anche “la sostanziale assenza di disposizioni di carattere nazionale” da parte del Dap per prevenire il contagio. Il Dipartimento ha emanato una circolare, che ha trovato il parere favorevole e il supporto del Comitato tecnico-scientifico, per definire “luoghi adeguati all’assegnazione delle tre tipologie di soggetti che devono necessariamente essere separate tra loro e dalla rimanente comunità penitenziaria”. E quali sono? Coloro che sono in isolamento precauzionale perché provenienti dall’esterno, coloro che sono in isolamento perché venuti a contatto con persone positive al virus, coloro che sono risultati positivi al virus, diversificando “ove possibile” gli asintomatici dai sintomatici. “La necessità di spazi e, quindi, della riduzione dei numeri complessivi emerge chiaramente anche da queste indicazioni”, osserva il Garante nazionale. La circolare individua, inoltre, due soglie di possibile estensione del contagio (al 2 per cento delle persone complessivamente presenti in carcere – sia operatori sia detenuti – e al 5 per cento), per ciascuna delle quali sono previste misure, ricorda il Garante, di specifica cautela rispetto all’igiene dei luoghi e alle attività che possono richiedere maggiore contatto tra le persone. “Deve restare fermo il principio che quella capacità, da più parti affermata, di convivere in modo consapevole con il rischio di contagio senza determinare automaticamente l’impossibilità di condurre una vita il più possibile simile all’ordinarietà, deve riguardare tutte le realtà in cui la complessità sociale si esplicita, incluse quelle dove maggiore deve essere lo sforzo perché tale diversa normalità sia in grado di conciliare tutela della salute individuale, garanzia di non diffusione del contagio e tutela dei diritti fondamentali della persona”. 


Insomma, non è che se sei detenuto lo stato ha l’autorizzazione a farti ammalare di Covid-19. Tutt’altro. “Sin dall’aprile scorso, nel pieno della ‘prima ondata’, il Consiglio d’Europa ha richiamato l’attenzione degli stati membri su norme e pratiche per aiutare i servizi penitenziari e  della giustizia ad affrontare la pandemia da Covid-19, nel rispetto dei principi dello stato di diritto e dei diritti umani”, dice Giulia Crivellini, tesoriera di Radicali Italiani. “Ebbene, ancora oggi, nel mezzo di una seconda ondata pandemica e con il numero di contagi tra detenuti e agenti penitenziari in preoccupante aumento, queste indicazioni rimangono colpevolmente ignorate dalle istituzioni italiane e dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede”. Insomma, a oggi, dice Crivellini, “non si conoscono i dati precisi del livello di contagio nei nostri istituti di pena, già sovraffollati, e come si intenda far fronte a questa emergenza. E’ più che mai urgente introdurre un sistema di monitoraggio quotidiano e centralizzato della pandemia nelle carceri, al contempo approvando misure più incisive per ridurre il numero di detenuti e il sovraffollamento carcerario”.

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