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Il nuovo dpcm tra il mezzo lockdown di Conte e la caccia al "tesoretto" di Gualtieri

Giornata di vertici a intermittenze, baruffe tra governatori, e il solito traffico di bozze. Il dpcm firmato nelle prossime ore, varrà fino al 3 dicembre

Valerio Valentini

Gli strani schieramenti: Fontana e De Luca contro Bonaccini e Zaia. E intanto si estende l'area a rischio: sono "quattro o cinque" le regioni "rosse". In arrivo le ordinanza di chiusura di Speranza. Ma c'è un'incognita sulle risorse

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Più che imporlo, Giuseppe Conte l’ha lasciato scivolare sul tavolo: come una tentazione per tanti, e come un compromesso anche per quei pochi che in linea di principio erano contrari, nel corso di una giornata di estenuanti riunioni e vertici a intermittenza, che porteranno al varo di un dpcm che avrà validità dal 5 novembre al 3 dicembre prossimo.

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Più che imporlo, Giuseppe Conte l’ha lasciato scivolare sul tavolo: come una tentazione per tanti, e come un compromesso anche per quei pochi che in linea di principio erano contrari, nel corso di una giornata di estenuanti riunioni e vertici a intermittenza, che porteranno al varo di un dpcm che avrà validità dal 5 novembre al 3 dicembre prossimo.

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Il coprifuoco nazionale alle 22, dunque: perché no, in fondo? Del resto, tra i governatori, da un lato c’era chi a una maggiore stretta era già rassegnato, e allora spingeva perché non fosse solo la sua regione a passare per appestata. “Chiuderci così, all’improvviso, senza dare il tempo ai nostri commercianti di organizzarsi, significa condannarli alla chiusura”, si lamentava il lombardo Attilio Fontana. “Qua stiamo per inaugurare una tarantella inutile – sbuffava il campano Vincenzo De Luca – perché tanto tra una settimana anche chi ora sta bene entrerà in sofferenza”. E però dall’altro lato, con linee di faglia che attraversavano anche gli stessi schieramenti, gli stessi partiti, c’era chi, come Luca Zaia e Stefano Bonaccini, ci tenevano a rivendicare la relativa tranquillità con cui gli ospedali veneti ed emiliani riescono a far fronte all’emergenza, e dunque una chiusura anticipata per tutti (magari alle 20, o addirittura alle 18) non era giustificata. “Del resto ai ristoratori abbiamo già chiesto grossi sacrifici: perché rendergli impossibile anche l’asporto serale?”, si domandava lo stesso Conte, facendo sobbalzare sulla sedia il ministro Roberto Speranza, che invece era per chiudere prima, coi tecnici del Mef e del Mise che, in questo tira e molla che li costringeva a rivedere calcoli e tabelle, si guardavano sconsolati. Che senso ha, si chiedevano tra Via Veneto e Via XX Settembre, un coprifuoco così ritardato, se tanto bar e ristoranti sono già in serrata dalle 18 e se anche dopo le 22 permarrà la possibilità di circolare per comprovati motivi di necessità.

 

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A loro, a chi deve far di conto, di certo una fatica è costato, questo gioco di tatticismi tra ministri, sindaci e governatori. Ma in ogni caso, al di là del coprifuoco alle 22 su tutto il territorio nazionale, i ristori andranno garantiti anche nelle regioni “arancioni”, quelle a rischio di contagio medio alto (almeno dieci, secondo i dati ancora in elaborazione dal Cts e dal ministero della Salute), dove bar e ristoranti verranno chiusi e gli spostamenti tra comuni limitati. Il grosso, però, dovrà essere stanziato per fronteggiare i lockdown nelle regioni “rosse” – dove verranno chiusi anche parrucchieri, estetisti e la didattica a distanza obbligatoria avverrà anche a partire dalla seconda media – con un esercizio di equilibrismo non proprio facile.

 

Perché i quasi 2 miliardi facilmente reperibili utilizzando le risorse non stanziate nel Documento programmatico di bilancio rispetto alla Nadef, bastano per ora a tamponare solo le sovvenzioni per le tre regioni che per prime, già nelle prossime ore, entreranno in “fascia rossa”. Ma siccome oltre a Lombardia, Calabria e Piemonte, verosimilmente altre regioni seguiranno a ruota (Valle d’Aosta e Alto Adige subito, pare, e Puglia e Sicilia non molto dopo), i tecnici di Mef e Mise stanno prendendo qualche ora di tempo per stilare un decreto “Ristori bis” che a Chigi vorrebbero approvare subito dopo il dpcm della chiusura differenziata, e che più verosimilmente potrebbe invece essere licenziato venerdì, cercando di capire se nel frattempo si potrà attingere anche a un “tesoretto” che Roberto Gualtieri avrebbe mantenuto lavorando sul mancato impiego di tutte le risorse dei precedenti scostamenti e giocando sul minor tiraggio di alcune misure straordinarie come la cassa integrazione. Il tutto, con una corsa contro il tempo tra le aule parlamentari, col decreto “Ristori” che oggi ha avviato il suo iter al Senato, una legge di Bilancio che approderà venerdì alla Camera, e un “Ristori bis” per il quale si sta ancora pensando a una collocazione più comoda, magari riassorbendolo come emendamento governativo all’analogo provvedimento precedente.

 

E forse anche per questo, al Mise, hanno provato ad allargare le maglie della chiusura anche nelle regioni che entreranno in lockdown, ottenendo che si superasse – almeno per ora – l’anticaglia dei codici Ateco, limitandosi a un più umano elenco delle attività da preservare che verrà allegato nel testo del dpcm. Poi i governatori potranno comunque disporre chiusure ulteriori: ma a quel punto dovranno provvedere con risorse regionali a garantire i ristori. 

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