PUBBLICITÁ

L'intervista

Se la satira vi turba è un problema vostro, dice Gipi

Parla il fumettista e regista dopo i fatti francesi

David Allegranti

C’è chi dice che Charlie Hebdo dovrebbe smetterla con le vignette, perché quelle morti sono sulla sua coscienza. “È come dire che se una donna viene stuprata è perché portava la minigonna", spiega il fumettista. "Se qualcuno si offende per delle vignette su Maometto è un problema suo. Non di chi le fa. E nemmeno di dio”

PUBBLICITÁ

Dice Gian Alfonso Pacinotti, al secolo Gipi, fumettista e regista, che se vi adontate per la satira sono problemi vostri: “Se qualcuno si offende per delle vignette su Maometto è un problema suo. Non di chi le fa. E nemmeno di dio”, spiega al Foglio. “Voglio dire, poniamo per assurdo che dio esista: è dio, ha creato l’universo, i buchi neri, la nebulosa ‘testa di cavallo’, e si offende se uno dei suoi insetti umani nella sua scintilla di esistenza ha pronunciato o disegnato una parola che non gli piace? Se pensi così, devi avere un’idea davvero miserabile di dio, lo immagini simile al tuo capo ufficio. Io non credo in dio, ma se ci credessi vorrei che fosse migliore di me, libero dalle mie meschinità umane”. La Francia paga un altro tributo di sangue in nome della libertà di espressione. C’è chi dice che Charlie Hebdo dovrebbe smetterla, perché quelle morti sono sulla sua coscienza. “È come dire che se una donna viene stuprata è perché portava la minigonna. Ora, non dico di vivere nel mondo della frutta candita: so che se vado in un centro sociale di ultra sinistra con la felpa tricolore e il braccio destro teso è probabile che mi corchino di botte. Così come se vado a CasaPound con una maglia di Che Guevara è sicuro che mi corchino di botte. Intendiamoci, nel mio mondo ideale vorrei essere libero di andarci senza rischiare le botte, ma non dimentico che esiste la realtà. Però la libertà d’espressione è il cuore delle democrazie occidentali, non è una roba collaterale, non è una questione accessoria. Io posso non andare in un centro sociale a fare saluti romani o a CasaPound col libretto rosso di Mao e la mia vita non peggiora più di tanto. Ma se accetto limitazioni alla libertà di parola, allora è un problema grosso. Sa quante volte ho litigato con amici di sinistra che mi dicevano che i fascisti non devono parlare. Io penso invece che tutti debbano poter parlare. Le idee irragionevoli si distruggono con idee ragionevoli".

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Dice Gian Alfonso Pacinotti, al secolo Gipi, fumettista e regista, che se vi adontate per la satira sono problemi vostri: “Se qualcuno si offende per delle vignette su Maometto è un problema suo. Non di chi le fa. E nemmeno di dio”, spiega al Foglio. “Voglio dire, poniamo per assurdo che dio esista: è dio, ha creato l’universo, i buchi neri, la nebulosa ‘testa di cavallo’, e si offende se uno dei suoi insetti umani nella sua scintilla di esistenza ha pronunciato o disegnato una parola che non gli piace? Se pensi così, devi avere un’idea davvero miserabile di dio, lo immagini simile al tuo capo ufficio. Io non credo in dio, ma se ci credessi vorrei che fosse migliore di me, libero dalle mie meschinità umane”. La Francia paga un altro tributo di sangue in nome della libertà di espressione. C’è chi dice che Charlie Hebdo dovrebbe smetterla, perché quelle morti sono sulla sua coscienza. “È come dire che se una donna viene stuprata è perché portava la minigonna. Ora, non dico di vivere nel mondo della frutta candita: so che se vado in un centro sociale di ultra sinistra con la felpa tricolore e il braccio destro teso è probabile che mi corchino di botte. Così come se vado a CasaPound con una maglia di Che Guevara è sicuro che mi corchino di botte. Intendiamoci, nel mio mondo ideale vorrei essere libero di andarci senza rischiare le botte, ma non dimentico che esiste la realtà. Però la libertà d’espressione è il cuore delle democrazie occidentali, non è una roba collaterale, non è una questione accessoria. Io posso non andare in un centro sociale a fare saluti romani o a CasaPound col libretto rosso di Mao e la mia vita non peggiora più di tanto. Ma se accetto limitazioni alla libertà di parola, allora è un problema grosso. Sa quante volte ho litigato con amici di sinistra che mi dicevano che i fascisti non devono parlare. Io penso invece che tutti debbano poter parlare. Le idee irragionevoli si distruggono con idee ragionevoli".

PUBBLICITÁ

  

E in Italia perché non si fa satira sulla religione? “Perché nella Penisola abbiamo una cosa che si chiama Vaticano. Quando abitavo a Parigi e la sera uscivo, c’erano amici che non sapevano nemmeno come si chiama il Papa. Non sapevano proprio il nome, è una cosa lontanissima per loro e mi chiedevano perché dominasse tanti aspetti della vita italiana. Per loro che fosse così presenti sui media era inconcepibile. Avere il Vaticano in casa è una cosa grossa e ci condiziona molto di più di quello che pensiamo. Ma non è una condizione geografica, eh, e non sto a specificare più di tanto. Solo che ci sono delle regole. Faccio un esempio. A lungo ho ascoltato La Zanzara e per quanto spessissimo sia in totale disaccordo con Cruciani, penso che faccia benissimo il mestiere che fa. Quando ascolti la Zanzara, senti cose raccapriccianti, dette non tanto dai conduttori ma dalle figure che pescano e che mandano in onda. Ecco, alla Zanzara puoi dire di bruciare le persone ma non si può bestemmiare. Oppure penso al Grande Fratello degli inizi, quando lo guardavo come tanti altri per curiosità, una trasmissione quanto più lontana da qualsiasi dottrina evangelica. Venivi cacciato se bestemmiavi. Mi ricordo un concorrente di Pontedera, che essendo di Pontedera non ce l’ha fatta e ha bestemmiato. Aveva un seguito straordinario in trasmissione, amato dal pubblico. Un giorno gli partì e fece la cosa che si è obbligati a fare in questi casi. Un mea culpa pubblico. Se succede, devi dire che queste cose non le fai mai, che è stato lo stress, che sono stati i nervi. Non basta a essere assolti, anche se chiedi scusa, e comunque te ne devi andare. Quando ho fatto i miei interventi in diretta a Propaganda Live, spesso c’era paura -  e io pure ne avevo - che mi partisse una bestemmia. Una volta un mio testo si concludeva con ‘maremma maiala’. Avevo sottolineato quel “maremma” in giallo e con mille frecce perché temevo che con l’emozione della diretta potessi sbagliare e dire “l’altra” parola. Era un pericolo. Un pericolo serio per una trasmissione. Quindi, quando Macron dice ‘noi rivendichiamo la libertà di blasfemia’, io godo. Davvero, non ho una vera erezione, ho un principio di erezione, deve essere l’età. Ma mi fa bene sentirlo, indipendentemente da altri giudizi che non sarei in grado di dare su Macron come politico”. Sicché, aggiunge Gipi, “sono queste le cose che vorrei sentire dire da uno Stato laico: la libertà di parola è più importante e non ci possono essere paletti che derivano da strutture arcaiche. Se uno crede in dio, immaginare che si possa offendere mi pare una bestemmia in sé. Dio non è il nostro capoufficio. Ha creato l’universo, penso si possa accontentare”.

  

PUBBLICITÁ

E se qualcuno si turba? “Ma è una roba da pazzi. Pensi se gli americani avessero deciso nella seconda guerra mondiale di non turbare gli animi dei tedeschi. Ci sono dei momenti in cui animi vanno turbati, specie se generano cose spaventose. L’Islam non è una religione di assassini tagliateste, pensare di non fare satira per non turbare 'gli islamici' è razzismo nascosto. In quanto religione, ne sono lontano anni luce, ma non identifica un popolo di assassini. Se qualcuno pensa che fare vignette su Maometto generi reazioni omicide degli islamici e quindi non si debbano fare, allora non parliamo di aborto perché in America ogni tanto ci sono antiabortisti che sparano alle donne incinte. Se qualcuno, per una vignetta su Maometto, volesse dirmi in faccia che sono un mostro schifoso, io non glielo vieterei. Ci soffrirei. Ma è un suo diritto. Ma la testa deve lasciarmela attaccata al corpo, perché tagliarmela non è un suo diritto”.

 

In Francia, ricorda Gipi, questa satira ha una grande tradizione: “Negli anni Sessanta, fino agli Ottanta, c’era Hara-Kiri. Dietro Charlie Hebdo c’è una scuola di grande libertà e che comprende pure una violenza verbale, forte, che a me è sempre piaciuta. A me interessa se una vignetta è riuscita, non se è volgare. La volgarità non mi ha mai toccato. Comunque, Ricky Jervais su questo ha già detto tutto: il problema è di te che ascolti, non di quello che ascolti. Il problema è nella tua reazione. Chiediti perché ti indigni se qualcuno tocca il tuo dio. Se non vuoi ascoltare, non ascoltare. Vai via, non lo leggere, non lo guardare. Davvero, se fossi credente, potrei mai immaginare che il mio dio si sia risentito per un disegno fatto a pennarello e mi dà il compito di uccidere qualcuno? Davvero stiamo riflettendo seriamente su questa roba?”.

  

Per Gipi neanche valgono le giustificazioni da “automarxista tipico”, stile “questo ragazzo vive nella banlieue, vive di merda. Come se la radicalizzazione, come tutto il resto, fosse un frutto malato dell’orribile sistema capitalistico. No, non è così semplice. Ci sono ancora persone che hanno delle convinzioni reali. Il fatto che noi occidentali non riusciamo ad avere nessuna convinzione non significa che altre persone non possano averle. C’è chi è molto convinto di quello che fa e ci crede ciecamente. Ho un amico reporter che è stato rapito in Siria e una volta mi ha raccontato dei suoi carcerieri. Ragazzi di 17 anni, lucidissimi, con un’idea in mente e l’Ak-47 in mano. Non è che se noi non riusciamo ad avere delle convinzioni, allora significa che tutto il mondo è così. Il post moderno ha fatto a brandelli noi, ma non credo tutto il pianeta”.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Quanto alla satira italiana, aggiunge Gipi, “mi sembra molto simile al giornalismo italiano. È molto concentrata sul gioco politico, sulla dichiarazione politica, sulla faccia a culo di questo o quell’onorevole. Ci sono autori bravissimi, penso a Altan, Riccardo Mannelli o a Makkox, certo, che si staccano dal modello. Di formazione, però, c’è un’idea di satira che è sempre molto attaccata al Palazzo. Anche un genio come Vincino. Aveva una sua capacità di staccarsi da ciò che gli stava attorno, ma faceva parte di una scuola. Non c’è nulla di male, naturalmente”. C’è stato anche un tempo per un altro tipo di satira, ricorda però Gipi: “Ai tempi di Cannibale e di Frigidaire, ai tempi di Andrea Pazienza. Filippo Scòzzari ha disegnato volumi interi con una suora che faceva la fellatio ai moribondi per portarli in paradiso. Certo, non è facile accedere al mainstream se attacchi frontalmente dio. Puoi prendere per il culo i fedeli, ma non ti puoi spingere più di tanto. La regola della bestemmia è una cartina di tornasole”.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ