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Studiare la piazza di Torino per scoprire chi specula sulla rabbia sociale

Valerio Valentini

I servizi ricostruiscono i movimenti della vigilia (sui social e non solo) intorno alle manifestazioni di piazza Vittorio e piazza Castello. C'erano ultras e mondi paracrimnali legati al traffico di droga. Così la frustrazione dei commercianti viene infiltrata

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C’erano ristoratori legittimamente preoccupati per quel che ne sarà di loro e delle loro attività, certo. E però c’erano anche gli esagitati, i professionisti dello sfascio che ne hanno approfittato per menare le mani. E a quel punto la presa di distanza, i distinguo e le precisazioni sono scattate immediate: “Noi siamo qui per manifestare pacificamente, non c’entriamo nulla coi violenti”, dicevano i cittadini radunatisi davanti al porticato di piazza Vittorio, rigettando come un corpo estraneo alla loro rabbia le truppe di teppisti che, dal capo opposto di via Po, assediavano piazza Castello. Solo che nel fermento della rabbia dei giorni precedenti, nel tam tam dei social, la distanza fisica tra le due piazze s’annullava in un unico guazzabuglio di furori, coi capi dei due fronti che si supportavano – chissà quanto inconsapevolmente – a vicenda. E anche per questo i tafferugli di Torino di lunedì sera sono quanto mai utili per capire di cosa parliamo, quando parliamo di manifestazioni infiltrate.

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C’erano ristoratori legittimamente preoccupati per quel che ne sarà di loro e delle loro attività, certo. E però c’erano anche gli esagitati, i professionisti dello sfascio che ne hanno approfittato per menare le mani. E a quel punto la presa di distanza, i distinguo e le precisazioni sono scattate immediate: “Noi siamo qui per manifestare pacificamente, non c’entriamo nulla coi violenti”, dicevano i cittadini radunatisi davanti al porticato di piazza Vittorio, rigettando come un corpo estraneo alla loro rabbia le truppe di teppisti che, dal capo opposto di via Po, assediavano piazza Castello. Solo che nel fermento della rabbia dei giorni precedenti, nel tam tam dei social, la distanza fisica tra le due piazze s’annullava in un unico guazzabuglio di furori, coi capi dei due fronti che si supportavano – chissà quanto inconsapevolmente – a vicenda. E anche per questo i tafferugli di Torino di lunedì sera sono quanto mai utili per capire di cosa parliamo, quando parliamo di manifestazioni infiltrate.

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Se ne sono accorti subito anche i reparti della nostra intelligence, e il loro allertarsi ha subito suggerito una ridefinizione dell’ordine del giorno del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza che oggi si riunisce per votare la relazione sui rischi connessi alle fragilità del settore bancario e finanziario, e però si concentrerà anche su un altro spauracchio, quello della “bomba sociale”, che preoccupa parecchio anche i tecnici del Viminale di Luciana Lamorgese, che verrà convocata dai senatori del Pd a riferire in Aula proprio sulle proteste di questi giorni e sui tentativi di infiltrazione da parte di ambienti criminali e paracriminali, che sfruttano l’esasperazione dei cittadini inconsapevoli da un lato e la bassa manovalanza delle curve e dell’estremismo politico dall’altro. 

 

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E Torino, in questo senso, viene ritenuto – insieme a Napoli – un esempio emblematico. Più di Trieste e Roma e Ferrara, dove i disordini hanno assunto per lo più una deriva di velleitario folclore contestatario. Perché nel capoluogo sabaudo tutto era partito da un’iniziativa di Marco Liccione, semplice militante di Fratelli d’Italia in quel di Settimo Torinese. Il suo invito a scendere in strada contro le restrizioni imposte dal governo, lanciato sui social venerdì sera mentre in tv scorrevano le immagini delle proteste a Napoli, è stato subito raccolto da decine di liberi professionisti e imprenditori cittadini. E però nel frattempo si metteva in moto anche un’altra catena di montaggio: quella che vedeva l’attivismo di estremisti di destra indire un presidio a piazza Castello, subito raccolto anche dai militanti di centri sociali di segno opposto, come gli antagonisti di Askatasuna. E insomma nel sovrapporsi dei fervori della vigilia, succedeva che i ristoratori di Torino – gli stessi che poi, davanti agli inviati dei tg nazionali, si sarebbero premurati di specificare le differenze tra le due diverse proteste – condividevano i volantini e i post su Facebook diffusi da chi stava convocando la piazza degli esagitati scrivendo che “non sarà una manifestazione di categoria, ma la protesta del popolo”. Gente come Hermes Gori, proprietario di rinomati locali notturni a Sauze d’Oulx, nell’alta Valle di Susa, che nel novembre del 2017 venne arrestato dalla polizia spagnola, nell’ambito di un’indagine internazionale contro il traffico di droga, a Ibiza, dove aveva aperto un ristorante. Riportato in Italia, è stato condannato a tre anni e dieci mesi di reclusione nel marzo del 2018. A rilanciare il post di Gori, condiviso da quasi trecento persone, è stato anche Davide Virano, 50enne torinese che nel 2003 venne arrestato nel corso di un’operazione antidroga della Guardia di Finanza in quanto ritenuto tra gli organizzatori di un pianificato blitz di un gruppo di ultras granata contro le forze dell’ordine. 

 

Segnali, evidentemente, di come la mobilitazione delle curve di Toro e Juventus, da mesi a riposo forzato a causa del Covid, sia stata significativa, e forse non del tutto spontanea. Per questo tra le domande che oggi il Copasir si porrà ci sarà quella relativa all’eventuale input arrivato da ambienti criminali, che a Torino gravitano per lo più nell’orbita della ’ndrangheta. Capire cosa è successo lì, sotto la Mole, potrebbe aiutare a capire ciò che potrà accadere anche altrove. E magari a prevenirlo. 
 

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