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Strategia anti Covid: spegnere gli incendi in corso e nello stesso tempo evitare che ne divampino altri

Lisa Noja

Un nuovo database pubblico e trasparente, parametri oggettivi e impegni specifici delle istituzioni per ogni restrizione, biologi e studenti di medicina a fare i testing e i comunicatori scientifici nella tv pubblica. Proposte 

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Nei mesi estivi, il ministro Speranza ha giustamente ripetuto più volte che non eravamo ancora giunti in un porto sicuro e che si rendeva necessario restare vigili e attenti rispetto al pericolo rappresentato dalla pandemia da Covid-19. Ora, però, su questa nostra nave-Italia si sono sviluppati numerosi incendi potenzialmente capaci di farci affondare. Le migliori teste del nostro paese, quelle che raramente sono invitate in televisione, ci avevano ben spiegato il rischio che correvamo. Bastava poi alzare lo sguardo agli altri paesi europei per capirlo. Alcuni avevano ascoltato e avevano alzato lo sguardo, altri no. Tuttavia, ora questo conta davvero poco, perché non c’è nulla di peggio, mentre divampano gli incendi, che mettersi a litigare sul ponte della nave su chi non ha impedito ai lapilli di far partire le fiamme o chi, peggio, ha negato che covassero sotto la cenere.

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Nei mesi estivi, il ministro Speranza ha giustamente ripetuto più volte che non eravamo ancora giunti in un porto sicuro e che si rendeva necessario restare vigili e attenti rispetto al pericolo rappresentato dalla pandemia da Covid-19. Ora, però, su questa nostra nave-Italia si sono sviluppati numerosi incendi potenzialmente capaci di farci affondare. Le migliori teste del nostro paese, quelle che raramente sono invitate in televisione, ci avevano ben spiegato il rischio che correvamo. Bastava poi alzare lo sguardo agli altri paesi europei per capirlo. Alcuni avevano ascoltato e avevano alzato lo sguardo, altri no. Tuttavia, ora questo conta davvero poco, perché non c’è nulla di peggio, mentre divampano gli incendi, che mettersi a litigare sul ponte della nave su chi non ha impedito ai lapilli di far partire le fiamme o chi, peggio, ha negato che covassero sotto la cenere.

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Anzi, chiunque, a qualsivoglia titolo, faccia parte della classe dirigente di questo paese non cada nella tentazione di additare colpevoli di ritardi o omissioni, ma diciamo agli italiani che gli errori ci sono stati e che, per ora, ce ne facciamo carico tutti insieme, rinviando a dopo ogni valutazione. Questo non solo è doveroso versi i cittadini che attendono risposte, ma è anche necessario perché, nei momenti di crisi, la caccia al colpevole allontana in modo irrimediabile la possibilità di correggere gli errori: chi li ha commessi si metterà sulla difensiva e, invece di contribuire a essere parte della soluzione, ne creerà di altri per nascondere le proprie mancanze. Dunque, ciò che qui mi interessa non è elencare quanto occorreva fare ieri ma piuttosto provare a indicare quattro campi di azione su cui lavorare oggi. Non sono intuizioni mie, ovviamente, ma sono il frutto dell’ascolto delle teste lucide e brillanti di cui sopra che, almeno stavolta, andrebbero prese molto sul serio da tutti i livelli istituzionali. Io provo solo a dar voce politica alle loro proposte.

 

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1. In questi giorni, si ripete che “non possiamo permetterci un nuovo lockdown generale”. E’ vero. Tuttavia, per non arrivare a dover fare ciò che non possiamo permetterci, occorre anzitutto avere chiarezza su quali siano i luoghi in cui si sviluppano maggiormente i contagi e, sulla base di tali evidenze, assumere misure il più possibile mirate ed efficaci. A giugno, l’Accademia dei Lincei lanciò un appello per rendere accessibili i dati disaggregati di cui dispone l’Iss, così da consentire analisi e comparazioni da parte di tutta la comunità scientifica. Peraltro, la trasparenza sui dati aiuterebbe a dare più autorevolezza alle dolorosissime decisioni assunte di volta in volta, offrendo anche ai cittadini la possibilità di verificarne la ratio oggettiva, senza il rischio che appaiano misure “punitive” di settori che, in questi mesi, hanno investito enormi risorse per adeguarsi ai protocolli di prevenzione. Se ci sono problemi legati alla privacy dei dati, risolviamoli senza indugi. Al contempo, come ha suggerito il prof. Parisi, presidente dell’Accademia, verifichiamo se, per mettere in campo interventi più chirurgici, sia necessaria la raccolta, ovviamente in forma anonima, di ulteriori informazioni che forse – ma non è dato saperlo – attualmente non sono nemmeno disponibili.

 

Insomma, facciamo subito quanto richiesto da Giorgio Alleva e Alberto Zuliani (già presidenti Istat) a metà ottobre: investiamo in un database pubblico, articolato e dettagliato. Per fare questo, chiediamo ai migliori statistici di aiutarci a definire formulari standardizzati, affidiamo a operatori specializzati in indagini statistiche il compito di supportarci nell’organizzazione di una raccolta dati efficiente, che possa essere svolta da una rete di volontari preparati ad hoc e avvaliamoci dei più capaci esperti informatici per costruire un centro dati nazionale aperto e di facile consultazione. Uno strumento che, tra l’altro, potrebbe essere utile anche per monitorare gli esiti dei malati post guarigione (uno dei grandi temi relativi al Covid-19 ancora tutto da studiare) e per future emergenze.

 

2. Nessuno può prevedere quanto durerà la pandemia, né se ci saranno più ondate seguite da fasi in cui il virus potrà sembrare in arretramento. Non sarebbe, quindi, intellettualmente onesto escludere la necessità di lockdown mirati in alcune zone particolarmente colpite e limitati nel tempo. Affinché tali decisioni non siano vissute come arbitrarie o peggio punitive, anzitutto occorrerebbe stabilire ex ante parametri oggettivi al verificarsi dei quali si potrà procedere con restrizioni graduali, fino alla decisione estrema del lockdown. Come spiega molto bene Roberta Villa, una delle migliori giornaliste scientifiche in circolazione, questo consentirebbe anche di allertare la popolazione prima che si verifichi il superamento delle soglie critiche, inducendo un effetto di autolimitazione collettiva e consapevole, forse più efficace dei successivi divieti.

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In secondo luogo, ogni limitazione imposta ai cittadini dovrebbe essere ricollegata a un impegno specifico da parte di governo, regioni ed enti locali, ciascuno secondo le proprie competenze, volto a porre rimedio rapidamente alla criticità individuata (per esempio trasporto pubblico locale, tracciamento, organizzazione sanitaria), con indicazione della scadenza entro cui il problema sarà risolto e con successiva rendicontazione, giorno per giorno, di quanto fatto e da chi, delle risorse spese e degli interventi ancora da realizzare. Solo così si potrà creare una condivisione duratura degli sforzi compiuti da tutta la collettività.

 

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3. Da mesi ripetiamo che l’attività di testing è essenziale per contenere i contagi. Dalle informazioni fornite dalla strutture del commissario Arcuri (non smentite da nessuno), attualmente non si riscontrano le criticità vissute a marzo e aprile nel reperimento di reagenti e materiali necessari per i test. Piuttosto, il problema sarebbe legato a difficoltà logistiche. E allora, lavoriamo su questo, stabilendo regole e procedure unitarie, concertate con le regioni ma poi applicate in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, perché non è più tollerabile che un cittadino debba destreggiarsi con prassi diverse in ogni regione. Tali regole unitarie dovrebbero concentrarsi su due obiettivi: impegnare il personale più specializzato solo nei compiti per i quali è insostituibile e ridurre al minimo il tempo impiegato per gli atti propedeutici o accessori alla somministrazione dei test.

 

E dunque: - investiamo ogni risorsa necessaria per dotare medici di base, triage dei pronto soccorso, drive-through, etc. del numero più ampio possibile di tamponi rapidi, così da svolgere un primo screening immediato che riduca al minimo la necessità di ricorrere al lavoro dei tecnici di laboratorio; - affidiamo a call center professionali l’attività di prenotazione dei test, in modo che sia svolta in presenza solo la pura esecuzione del tampone, tutto il resto deve avvenire in remoto; - allarghiamo il numero di operatori che possono svolgere i tamponi, reclutando subito, ad esempio, biologi, studenti di medicina e dei corsi per infermieri; - sgraviamo i soggetti che somministrano e processano i tamponi di qualsiasi attività collaterale, ingaggiando altri operatori (ad esempio, hanno senso procedure che consentano solo agli infermieri di “maneggiare” le provette, etichettarle, riordinare i frigoriferi?).

 

4. Dobbiamo riconoscere che non ci si improvvisa comunicatori di questioni complesse come quelle scientifiche, per di più collegate a un tema emotivamente delicato come la salute. Occorre, quindi, che il servizio televisivo pubblico metta spazi specifici a disposizione di comunicatori scientifici (attenzione, non di scienziati o medici che fanno un altro mestiere) che abbiano la professionalità e le competenze adeguate per spiegare agli italiani in modo corretto e serio le questioni relative alla pandemia: ad esempio, perché hanno senso le regole di comportamento, come si indossa una mascherina, quali tipologie esistono, la differenza tra i vari test, i tempi di incubazione del virus. Il modo migliore per combattere il negazionismo o il riduzionismo e per ottenere la collaborazione dei cittadini è trattarli da adulti e offrire loro fonti di informazione corrette e competenti.

 

Anticipo già due obiezioni. La prima: mancano le risorse per realizzare tutto questo. Se è così, occorre che si spieghi agli italiani per quale ragione si insista nel rifiuto caparbio di accedere alla linea di credito Covid del Mes. La seconda: tutto giusto, ma ora è troppo tardi, siamo in emergenza. Questo è esattamente l’approccio che ci ha portato dove siamo. Non c’è errore più grave che suddividere il tempo della pandemia in fasi “acute” e fasi “calme”. Nelle fasi “acute” sembrerà sempre che la priorità sia ben altra, in quelle “calme” gli sforzi necessari appariranno investimenti a perdere, perché qualcuno racconterà che l’emergenza è finita. Invece, dovremmo cominciare a considerare che, in ogni momento di questa lunga navigata che ci separa dal porto sicuro, occorre lavorare contemporaneamente su due piani: spegnere gli incendi in corso e creare le condizioni per evitare che ne divampino altri. Diversamente, la nave affonderà o perderemo la bussola e arriveremo a destinazione talmente tardi e così stanchi da non avere più le forze per scendere sulla terra ferma.

 

Lisa Noja

deputata di Italia Viva 

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