PUBBLICITÁ

L'intervista

Gli ottant'anni di Fabrizio Cicchitto, l'infanzia durante la guerra, poi Craxi, Berlusconi e la P2

"Entrai nella loggia di Sindona come si entra al Rotary. Credevo di farmi qualche amico. Ma ero l'ultimo degli stronzi"

Salvatore Merlo

Protagonista e comprimario, dalla Prima alla Seconda Repubblica, dal Cgil al Psi sino a Forza Italia e "ora sono contento di non stare più in Parlamento perché con il Covid alla mia età sarei morto"

PUBBLICITÁ

L’unico vantaggio della mia età è la memoria”, dice. Lui che è stato per circa vent’anni  uno degli uomini più vicini a Silvio Berlusconi, e ancora prima un dirigente del Psi, tra Craxi, Lombardi e Nenni. “E in una vita precedente anche membro della Cgil e dell’Unione goliardica italiana”.  Adesso l’età è tonda tonda: ottant’anni compiuti ieri, il 26 ottobre. Auguri Fabrizio Cicchitto, ben scavato. “I più buoni a questa età ti considerano un morto che cammina”. E i più cattivi? “Un rincoglionito”. E invece? “E invece ancora la testa mi funziona. E la memoria mi aiuta. Per esempio questi anni che stiamo vivendo mi ricordano il 19-45”. Era un bambino. “Sì, ma avevo un punto di osservazione perfetto. Il Caffè Rosati, a piazza del Popolo. Era di mio nonno. Ci passavo le giornate. E me lo ricordo il clima che c’era a Roma. Al Caffè Rosati gli avventori non mancavano ma erano tutt’altro che allegri e loquaci. In un suo notiziario Radio Londra, che tutti ascoltavano di nascosto, aveva detto che era popolato da spie naziste e fasciste. E allora la gente veniva, beveva il caffè, ma nessuno parlava”. Clima spettrale. Altro che lockdown. “Con rare eccezioni. Allora ero un bambino con dei capelli castano chiaro-biondi e con dei boccoli. Un giorno vidi un ufficiale della Wehrmacht avvicinarsi a mio nonno e tirare fuori da una tasca della giacca una foto. Poi l’ufficiale mi indicò. Calò il silenzio e tutti mi guardarono. Dopo un attimo di esitazione mio nonno mi chiamò. L’ufficiale tedesco mi sorrise, mi mostrò la foto: era quella di un bambino biondo della mia stessa età. La somiglianza fra noi due era impressionante. In un italiano scolastico, ma perfetto, l’ufficiale della Wehrmacht mi rivolse la parola: ‘Mi ricordi moltissimo mio figlio che non so se rivedrò. Anzi è quasi sicuro che non lo rivedrò più. Ho chiesto a tuo nonno di poterti dare un bacio sulla fronte. Vuoi?’. Ero intimidito ma non avevo paura. Tutti ci guardavano. Feci un cenno di assenso. L’ufficiale era elegante, serio, commosso. Lo guardai dal basso in alto e sporsi in avanti la testa. Lui si chinò, mi mise le mani sulle spalle e mi baciò sulla fronte. Intorno c’erano tutti i camerieri, le commesse, alcuni clienti. Non volava una mosca. L’ufficiale si raddrizzò, fece un saluto militare e uscì.  L’unica cosa umana che ricordo. Poi arrivarono gli americani e fu un’esplosione di vita”. Ma oggi non c’è la guerra. “E però è il secondo momento più tragico della nostra storia nazionale. E oggi, come allora, l’Italia affronta la disgrazia guidata da una classe dirigente complessivamente inadeguata. Prima mancavano le mascherine ora mancano i tamponi. Il governo è in ritardo. Pensavano fosse finito tutto. E l’opposizione invece di stimolare il governo, per mesi quasi ha negato l’esistenza del Covid. Roba da matti”.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


L’unico vantaggio della mia età è la memoria”, dice. Lui che è stato per circa vent’anni  uno degli uomini più vicini a Silvio Berlusconi, e ancora prima un dirigente del Psi, tra Craxi, Lombardi e Nenni. “E in una vita precedente anche membro della Cgil e dell’Unione goliardica italiana”.  Adesso l’età è tonda tonda: ottant’anni compiuti ieri, il 26 ottobre. Auguri Fabrizio Cicchitto, ben scavato. “I più buoni a questa età ti considerano un morto che cammina”. E i più cattivi? “Un rincoglionito”. E invece? “E invece ancora la testa mi funziona. E la memoria mi aiuta. Per esempio questi anni che stiamo vivendo mi ricordano il 19-45”. Era un bambino. “Sì, ma avevo un punto di osservazione perfetto. Il Caffè Rosati, a piazza del Popolo. Era di mio nonno. Ci passavo le giornate. E me lo ricordo il clima che c’era a Roma. Al Caffè Rosati gli avventori non mancavano ma erano tutt’altro che allegri e loquaci. In un suo notiziario Radio Londra, che tutti ascoltavano di nascosto, aveva detto che era popolato da spie naziste e fasciste. E allora la gente veniva, beveva il caffè, ma nessuno parlava”. Clima spettrale. Altro che lockdown. “Con rare eccezioni. Allora ero un bambino con dei capelli castano chiaro-biondi e con dei boccoli. Un giorno vidi un ufficiale della Wehrmacht avvicinarsi a mio nonno e tirare fuori da una tasca della giacca una foto. Poi l’ufficiale mi indicò. Calò il silenzio e tutti mi guardarono. Dopo un attimo di esitazione mio nonno mi chiamò. L’ufficiale tedesco mi sorrise, mi mostrò la foto: era quella di un bambino biondo della mia stessa età. La somiglianza fra noi due era impressionante. In un italiano scolastico, ma perfetto, l’ufficiale della Wehrmacht mi rivolse la parola: ‘Mi ricordi moltissimo mio figlio che non so se rivedrò. Anzi è quasi sicuro che non lo rivedrò più. Ho chiesto a tuo nonno di poterti dare un bacio sulla fronte. Vuoi?’. Ero intimidito ma non avevo paura. Tutti ci guardavano. Feci un cenno di assenso. L’ufficiale era elegante, serio, commosso. Lo guardai dal basso in alto e sporsi in avanti la testa. Lui si chinò, mi mise le mani sulle spalle e mi baciò sulla fronte. Intorno c’erano tutti i camerieri, le commesse, alcuni clienti. Non volava una mosca. L’ufficiale si raddrizzò, fece un saluto militare e uscì.  L’unica cosa umana che ricordo. Poi arrivarono gli americani e fu un’esplosione di vita”. Ma oggi non c’è la guerra. “E però è il secondo momento più tragico della nostra storia nazionale. E oggi, come allora, l’Italia affronta la disgrazia guidata da una classe dirigente complessivamente inadeguata. Prima mancavano le mascherine ora mancano i tamponi. Il governo è in ritardo. Pensavano fosse finito tutto. E l’opposizione invece di stimolare il governo, per mesi quasi ha negato l’esistenza del Covid. Roba da matti”.

PUBBLICITÁ


Il regime fascista venne spazzato via dalla guerra. “Vediamo se questa maggioranza e questa opposizione verranno anche loro spazzate via dal virus”. Poi venne la liberazione. “E io a quattordici anni sviluppai un fortissimo interesse per la politica. I miei avevano votato per la monarchia. Erano elettori di De Gasperi. Io divenni antidemocristiano. Solo che un giorno ero influenzato dalla destra, perché avevo letto ‘Candido’. Poi però il giorno dopo ero influenzato dalla sinistra, perché avevo letto il ‘Mondo’ di Pannunzio. Solo in seguito alla rivolta d’Ungheria mi avvicinai definitivamente al movimento radicalsocialista. Mi iscrissi giovanissimo al partito Radicale che era diversissimo da quello di Pannella, perché era un club sofisticato di persone che discutevano al club in punta di forchetta”. E il Psi? “Mi iscrissi nel 1959. Quando Nenni vinse la sua battaglia autonomista. E mi riconobbi in quello. In una sinistra anticomunista”. Anticomunista da sempre. “I comunisti hanno distrutto la sinistra”. Hanno distrutto Craxi. A proposito: l’incontro con Craxi quando fu? “All’università. Ma non legammo subito. Come forse saprà a quei tempi la formazione di un pezzo di classe dirigente avveniva attraverso l’Unione goliardica. E fu lì che conobbi Craxi per la prima volta. Era stato messo in minoranza da radicali e comunisti”. Un destino quello di Craxi. “Direi di sì. E io mi ritrovai con lui, che era sconfitto, a ricostruire una posizione autonomista dentro l’Unione goliardica. Con noi c’era Gianni De Michelis. Un grandissimo. Craxi ci scriveva di notte le mozioni che noi poi dovevamo presentare di mattina. Però non era lui il mio punto di riferimento. Progressivamente in quel periodo fui affascinato da Riccardo Lombardi, che nel Psi propugnava una posizione distinta dal Pci ma anche molto attrezzata sul piano programmatico per resistere alla Dc”. Era a sinistra del Psi. Quasi marxista. “Quasi. Appunto. Ma in quel quasi c’è tutto. A quell’epoca frequentavo Fernando Santi e Tristano Codignola. Mi avvicinai alla sinistra lombardiana ed entrai nella Cgil”. Nella Cgil? “Mica era la Cgil di oggi. Lì mi ci portò Santi, che è una figura purtroppo dimenticata. Lui era il segretario aggiunto della Cgil, una personalità sempre autonoma dai comunisti. Mi portò all’ufficio studi della Cgil. Era il 1963”. E la politica di partito?  “Nel 1974. Fui nominato responsabile ufficio stampa e propaganda del Psi quando ci fu il referendum sul divorzio”. Una grande vittoria radicale e socialista. Netta. “I comunisti dicevano che noi e i Radicali eravamo pazzi perché non facevamo i conti con la natura del paese. I comunisti pensavano che avremmo perso il referendum. E invece risultò che avevamo colto la realtà del paese molto più del Pci. Ricordo che dopo la vittoria referendaria Nenni ebbe una singolare intuizione: disse che la vittoria era molto significativa e che il Psi poteva trovare la forza di  rompere con Dc e Pci provocando elezioni anticipate. Suggestione che però non fu raccolta dal Psi, nemmeno da Craxi. E fu la ragione della sconfitta del 1976. Quando il Psi ruppe, ma fuori tempo massimo, con la linea suicida di De Martino. Ecco quello fu un momento importante. Perché nacque la scintilla che poi portò al Midas”. A Craxi segretario. “Esatto”.


“La premessa  è che io, Claudio Signorile e Gianni De Michelis eravamo i giovani lombardiani. E Lombardi a differenza nostra aveva mille dubbi su Craxi. Riteneva che non avesse la forza politica per potersi misurare con Dc e Pci. Mi ricordo che a Lombardi dicemmo questo, visto che lui sosteneva Antonio Giolitti: ‘Sicuramente con Giolitti faremmo dei bellissimi convegni sul capitalismo. Ma ora ci vuole benaltro. Ci vuole un uomo energico’. Era il 1976. Si arrivò al Midas. Al congresso che unì i lombardiani con gli autonomisti, cioè con Nenni e Craxi”. 
Da allora Cicchitto fu craxiano a vita. “Ma neanche per idea. Craxi era terribile. Aveva un disegno di potere totale nel Psi. Cominciò a seguire la linea politica dei dieci piccoli indiani”. Cioè eliminava gli avversari interni? “A uno a uno. Eliminò Manca. E poi arrivò anche a voler eliminare i lombardiani”. Cioè Cicchitto e i suoi amici. “Quando nel 1980 mi propose di entrare al governo rifiutai. Ero incazzatissimo con lui”. Nemmeno con Berlusconi lei è mai stato al governo. Solo ruoli politici. “E certo, mica sono scemo. Stare al governo sono guai”. Poi venne la P2. “Dio mio, sì. L’errore più grosso della mia vita. Entrai in questa loggia massonica che non mi sembrava niente di che. Pensavo di iscrivermi al Rotary o al Lions. Cercavo solo si avere migliori rapporti con il Corriere della Sera. Un cretino. Ero convinto mi potesse servire”. Serviva a tutt’altro. “E infatti mi trovai dentro una mostruosità. Certo, enfatizzata da giornali e magistratura. Sostanzialmente era una struttura piramidale dove al punto più basso c’erano solo gli stronzi. Tipo me. Ma comunque una mostruosità. La vicenda P2 quasi mi distrusse. Caddi in disgrazia. Fui sospeso e rimosso dalla direzione nazionale del Psi. Emarginato. Arrivai a un passo dallo spararmi un colpo di pistola in testa. Entrai sul serio in depressione. Rimasi pietrificato. Vede, un generale che progetta un golpe sa che gli può andare bene come gli può andare male, sa regolarsi. Ma uno che si ritrova in mezzo a una cosa del genere senza sapere niente, come capitò a me,  al massimo può suicidarsi. Passai diversi anni molto complicati. Poi nel 1987 Craxi mi recuperò”. Dopo sei anni. “Craxi discusse apertamente del mio caso in un comitato centrale. Fu generoso. Disse che avevo commesso un errore ma che non avevo combinato niente di male. Così rientrai. Giusto in tempo per assistere alle premesse della distruzione di Craxi”.


E quali furono le premesse? “Il suo oscillare. La sua lunga crisi di orientamento. Che fu la premessa della tragedia”. Tra cosa oscillava Craxi? “Tra la voglia di tornare a Palazzo Chigi con la Dc e l’idea di riunire la sinistra con gli ex comunisti. Caduto il Muro di Berlino, nel 1989, Psi e Dc perdevano la loro rendita di posizione. I comunisti potevano anche andare al governo. Cambiava tutto. In quel periodo cominciò l’antipolitica, l’anticasta, la presa di distanze anche nei confronti del sistema di finanziamento illegale dei partiti. Nel Pci i miglioristi pensavano che crollato il comunismo ci fosse la socialdemocrazia. E che il cambio di nome, Pds, doveva portare alla socialdemocrazia e in pratica all’incontro con Craxi. Forse, chissà, anche a un partito comune. Ma questa non era la valutazione dei ragazzi eredi di Berlinguer”. Cioè di Achille Occhetto, Walter Veltroni, Massimo D’Alema. “Loro ritenevano la cosa peggiore possibile l’unità con il Psi. E quindi si inventavano tutte le formule più singolari per non concludere nessun accordo con il Psi. Ma anzi per accelerare la conflittualità. Craxi a sua volta riteneva di poter mantenere una linea che lo tenesse vicino alla Dc (per tornare a capo del governo) e nello stesso tempo anche vicino al Pds. Ma non era possibile. Lui si proponeva come leader inevitabile di una sinistra che diventava socialdemocratica. Senza nemmeno capire la conflittualità e la paura che destava così nella dirigenza ex comunista”. Che lo distrusse. “Con i magistrati. Ma ci arriviamo. La premessa è che Craxi cominciò a essere poco craxiano”. Cioè incerto, conciliante, morbido.  “Fece degli errori. Da un lato fece il famoso Caf, liquidando De Mita. Si consegnò a un accordo con  i moderati della Dc. E poi fece al Pds un regalo enorme: non provocò le elezioni anticipate nel 1991. Cosa a cui invece lo spingeva Cossiga. Cossiga voleva le elezioni anticipate, e si dimise anche per questo. E fu l’errore della vita di Bettino. Perché non facendo le elezioni nel 1991 Craxi venne meno alla sua metodologia conflittuale. E si trovò esposto a quello che è venuto dopo. Il ’92-’93”. Mani Pulite. “L’inizio della fine per l’Italia”.

PUBBLICITÁ


Cosa fu il ‘92-’93? “Semplice, fu un colpo di stato. In quegli anni Enrico Cuccia propose a Craxi di essere la tigre che rompeva il sistema politico tradizionale per gestire una fase presidenzialista e maggioritaria. Lui rifiutò. Perché alla fine era un uomo del sistema dei partiti. E a quel punto divenne per tutti il cinghialone. Il bersaglio di tutto quello che avvenne. Il 1992-93 fu una operazione di liquidazione totale”. 


Un colpo di stato. “Sì, ma senza carri armati. I colpi di pistola erano gli avvisi di garanzia sparati dai tg. E dai giornali consorziati, Corriere, Repubblica e Stampa. Non resse nessuno. Né Craxi né Forlani. Cinque partiti che avevano scritto la Costituzione furono liquidati da quella che Francesco Saverio Borelli chiamava la ‘sentenza anticipata’. Cioè l’avviso di garanzia sparato dai giornali. Questa operazione ebbe la sua quadratura grazie anche a Berlusconi. Avendo lui capito che tutti gli amici di Craxi sarebbero stati liquidati, mise le sue televisioni a disposizione del pool di Milano. E in quella fase, infatti, guarda un po’, non ebbe mai nessun guaio giudiziario. A riprova che il pool faceva politica. Ma quando poi Berlusconi entrò in politica, ecco che cominciarono i problemi. Il pool cambiò spalla al suo fucile, per dirla con Gramsci. E dopo aver sparato sui partiti, tranne il Pci, cominciò a sparare su Berlusconi”. 

 


E qui i socialisti entrano con Berlusconi. Entra Cicchitto. In Forza Italia.  “Entrai sì. Con tutte le sue contraddizioni Berlusconi ha evitato che una cosa che andava dalla gioiosa macchina da guerra di Occhetto fino a Piercamillo Davigo avesse un potere non contestato. In pratica Berlusconi ha salvato la democrazia in Italia”. Esagerato. “No. Realista. So di cosa parlo. So cosa ho vissuto. Sono stato con il Cavaliere dal 1996 al 2013”. E il bilancio qual è? “La Seconda Repubblica nacque dal guasto di Tangentopoli. E una cosa nata male non poteva che andare male. Noi abbiamo avuto un bipolarismo tutto strano. Non europeo. In Europa si confrontavano socialdemocratici e conservatori, in uno schema di legittimazione democratica. Da noi il Pds e Berlusconi lottavano in uno scontro alla morte. La sinistra chiamava il Cavaliere ‘mafioso’. E il Cavaliere li considerava ‘giustizialisti’ e ‘comunisti’. Questo clima provocava la formazione di coalizioni eterogenee, che erano funzionali solo alla vittoria elettorale. Ma incapaci di governare. E così quelli della seconda Repubblica sono stati tutti  governi scarsamente efficienti e poco riformisti. Andando avanti in questo modo, per venticinque anni, il paese non si è modernizzato. E’ invecchiato e basta. Alla fine è arrivata la crisi del 2008”. La mazzata. “E l’unica risposta era la tecnocrazia assoluta di Mario Monti. Che ha provocato l’esplosione del movimento plebeista e anticasta. Insomma l’avanzata grillina  del 2013 e poi la vittoria del 2018”. In mezzo c’è stata la scissione di Forza Italia. L’addio a Berlusconi. Cicchitto nel governo di Enrico Letta con Angelino Alfano. Avete tradito Berlusconi? “Nelle riunioni segrete, con Berlusconi e Gianni Letta, ci eravamo detti con chiarezza che conveniva restare con un piede in quel governo. Perché se fossimo usciti, i magistrati si sarebbero mangiati Berlusconi.  Quindi si decise insieme che Alfano sarebbe rimasto al governo. E lo si decise di comune intesa con Berlusconi. Sennonché in Forza Italia prese corpo una deriva estremista. Uscire a tutti i costi dal governo. Cosa che comportò la rottura con Alfano. E fu un errore di Berlusconi, che infatti subito dopo fece il patto del Nazzareno con Renzi. Rientrando in una logica di unità nazionale. Che era l’unica linea praticabile, malgrado le torture giudiziarie inaccettabili a cui veniva sottoposto. Vede, Berlusconi da allora in poi  è andato a zig zag. E si è suicidato. Prima rompendo con Alfano e il governo Letta. Poi rompendo il patto del Nazareno, sul nome di Sergio Mattarella. Assurdo”.


E siamo a oggi, in pratica. “A una situazione che sembra quella della seconda guerra mondiale. Il periodo di crisi più nera che questo paese abbia mai vissuto. Oggi come allora siamo governati nel complesso da una classe dirigente tragicamente inadeguata. C’è un governo che ci ha fatti arrivare nudi alla meta della seconda ondata del virus. Mentre l’opposizione, anziché pungolare e fare domande, fino a ieri quasi negava l’esistenza del virus stesso. Sono contento di non starci in Parlamento”. E perché? “Intanto perché alla mia età in questi giorni avrei potuto anche morirci. Montecitorio è un focolaio. Ci sono così tanti malati che faticano ad avere il numero legale per votare i provvedimenti. I parlamentari sono sottoposti a un rischio enorme. Stanno dentro un cluster. Sono i più esposti del paese. E per stupide ragioni ideologiche la presidenza dei due rami del Parlamento non accetta l’idea del voto a distanza, da casa. I parlamentari hanno la mia solidarietà. Quella di un ottantenne che qualcosa nella vita l’ha vista succedere”. E allora tanti auguri, onorevole Cicchitto.

PUBBLICITÁ
Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ