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Quota 19 mila contagi

Covid, governi e futuro: è ora di guarire dalla stagione dell’impazienza

Claudio Cerasa

E’ l’impazienza la ragione per cui l’occidente   fatica a controllare il virus? L’ansia di dare alla pandemia una data di scadenza non ci permette di adattarci a un’epoca che vivremo a lungo. Stanchezza e speranze. Saggi a confronto, con vista lockdown

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Siamo tutti alla ricerca di verità consolatorie, di soluzioni incoraggianti, di risposte definitive, di notizie rassicuranti, di notizie capaci di farci leggere il presente con uno spirito diverso da quello della fatica, della paura, del terrore, del panico, della tristezza e ovviamente dell’angoscia. Siamo tutti lì, ogni giorno, a cercare una qualche certezza sul futuro, una qualche anticipazione sul vaccino, una qualche notizia capace di non farci pensare troppo ai problemi quotidiani – e dunque al numero di contagi (ieri 19.143 nuovi casi), al numero di morti (ieri 91) – e capace invece di farci pensare un po’ più al futuro per provare a capire meglio quello che tutti ogni giorno proviamo a comprendere senza troppo successo: ok, le cose vanno male; ok, le cose potevano essere preparate meglio; ok, dovremo affrontare altri periodi di chiusura; ok, siamo disposti a fare quello che ci verrà detto; ok, ma alla fine quello che conta è solo una cosa: dannazione, ma quando finirà?

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Siamo tutti alla ricerca di verità consolatorie, di soluzioni incoraggianti, di risposte definitive, di notizie rassicuranti, di notizie capaci di farci leggere il presente con uno spirito diverso da quello della fatica, della paura, del terrore, del panico, della tristezza e ovviamente dell’angoscia. Siamo tutti lì, ogni giorno, a cercare una qualche certezza sul futuro, una qualche anticipazione sul vaccino, una qualche notizia capace di non farci pensare troppo ai problemi quotidiani – e dunque al numero di contagi (ieri 19.143 nuovi casi), al numero di morti (ieri 91) – e capace invece di farci pensare un po’ più al futuro per provare a capire meglio quello che tutti ogni giorno proviamo a comprendere senza troppo successo: ok, le cose vanno male; ok, le cose potevano essere preparate meglio; ok, dovremo affrontare altri periodi di chiusura; ok, siamo disposti a fare quello che ci verrà detto; ok, ma alla fine quello che conta è solo una cosa: dannazione, ma quando finirà?

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In un grande saggio pubblicato nel 1970 in America, intitolato The Politics of Unreason, i sociologi Seymour Lipset e Earl Raab identificarono un’espressione specifica in grado di fotografare un fenomeno divenuto evidente in questa pandemia: la dottrina del semplicismo. La dottrina del semplicismo –  “l’attribuzione inequivocabile di singole cause e rimedi per fenomeni multifattoriali” – prevede la possibilità non solo di poter definire in ogni circostanza una soluzione chiara a qualunque problema complesso ma anche di poter circoscrivere in ogni situazione il perimetro di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. “La tendenza del semplicismo a incoraggiare la polarizzazione – ha scritto un giovane ricercatore della Università di Oxford, Nathaniel Rachman, in un saggio dedicato al tema pubblicato sul sito The Persuasion – è altrettanto insidiosa: se calunni gli oppositori come sabotatori e consideri il dissenso incomprensibile, non si può discutere”. A prima vista, potrebbe risultare difficile comprendere cosa c’entri la teoria del semplicismo con la stagione pandemica. Ma se si ha la pazienza di seguire il ragionamento si capirà facilmente quanto sia importante fotografare il semplicismo per illuminare le ragioni che si trovano alla base della nostra incapacità di accettare fino in fondo la stagione nella quale siamo immersi. Siamo tutti alla ricerca di verità consolatorie, di soluzioni incoraggianti, di risposte definitive, di notizie rassicuranti per la semplice ragione che ciascuno di noi fatica ad ammettere quello che forse oggi dovremmo iniziare a riconoscere anche per provare ad affrontare con spirito diverso i mesi che ci attenderanno: durante una pandemia non esistono risposte semplici a problemi complessi, l’incertezza è un atteggiamento inevitabile da parte anche del decisore pubblico, il dubbio è tutto tranne che  una vergogna per la comunità scientifica e se c’è un modo per essere disonesti di fronte ai cittadini è quello di affermare verità indimostrabili, è quello di illudere la popolazione, è quello di mostrare eccessiva fiducia rispetto a quello che certamente sarà. E’ ovvio: siamo tutti alla ricerca di una data da fissare nel nostro calendario personale per capire quando sarà possibile avere un-vaccino-che-risolverà-tutto. Ma l’ansia di dare alla pandemia una data di scadenza non ci permette di entrare in una modalità di vita difficile da accettare ma forse inevitabile: la pazienza.

 

Branko Milanovic, già economista alla Banca mondiale, professore alla City University di New York, autore di un libro uscito due giorni fa in Italia con Laterza (Capitalismo contro capitalismo. La sfida che deciderà il nostro futuro) all’inizio di questa settimana si è posto una domanda intelligente sulla quale forse vale la pena riflettere: “E’ forse l’impazienza la vera ragione per cui l’occidente non sta riuscendo a controllare il virus e invece l’Asia sta avendo più successo?”. Dice Milanovic: “E’ come se ogni volta che i paesi occidentali  cominciano ad applicare una soluzione che produce i primi risultati siano portati a pensare che tutto è finito, evviva, la situazione ora è sotto controllo, possiamo tornare a divertirci”. “L’occidente – dice ancora  Milanovic in un articolo segnalato su Twitter dal nostro amico Marco Valerio Lo Prete – si muove senza sosta da una soluzione magica all’altra, sperando di risolvere il problema immediatamente: immunità di gregge per tutti, o una terapia speciale, il vaccino, immunità di gregge per i giovani. Il punto è sempre quello: ridatemi indietro la mia vita, oggi! Ma poi le persone continuano a morire e la soluzione magica risulta essere di nuovo distante. In Asia invece no: la soluzione è chiaro che sia distante ma ciò che conta più di tutto non è tornare subito alla vita normale ma è adattare il modo in cui  si vive alla fase nuova che si attraversa”. L’impazienza di voler sapere quando ne usciremo è un sentimento più che naturale – l’Oms, fornendo forse cifre persino ottimistiche, ha diffuso la scorsa settimana una stima, in base alla quale almeno metà della popolazione soffre di “stanchezza da pandemia” – ma più passa il tempo, più la pandemia riprende forma, più il virus torna ad avanzare, più la seconda ondata torna a somigliare maledettamente alla prima e più è chiaro che non esistono risposte semplici a problemi complessi. “Il lockdown – ci ha detto ieri sera al telefono un importante esponente del governo – si sta disperatamente tentando di evitarlo. Ma se continua così sarà difficile. Purtroppo la curva sembra ormai ripartita senza controllo. Il rischio stavolta c’è”. Il vaccino prima o poi arriverà (al momento ci accontenteremmo pure di quello anti influenzale) ma più che coltivare il sentimento del rancore occorre forse ascoltare il suggerimento di  Milanovic: calma, lievito e pazienza, e prima o poi passerà.

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