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Quattro idee per agire subito ed evitare lockdown altrimenti inevitabili

"La verità purtroppo è questa: abbiamo un mese di tempo per evitare di essere travolti dalle conseguenze delle seconda ondata"

Claudio Cerasa

Come si fa a passare dalla fase della ricerca delle colpe alla fase della ricerca delle soluzioni? Chiacchiere con Beatrice Lorenzin, ex ministro della Salute in attesa di tampone negativo

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Il problema oggi è tutto qui: una volta individuati gli errori, una volta individuate le responsabilità, una volta individuate le inefficienze, come si fa a passare dalla fase della ricerca delle colpe alla fase della ricerca delle soluzioni? La giornata di ieri è stata caratterizzata da un filotto di numeri ancora una volta allarmante – 16 mila nuovi contagi, 136 morti, 637 nuovi ricoveri, 66 nuovi ingressi in terapia intensiva a fronte di 170 mila tamponi – e i numeri quotidiani diffusi dal ministero della Salute risultano maggiormente allarmanti se si mette a fuoco un’evidenza purtroppo matematica messa in luce ieri dalla Fondazione Gimbe. La Fondazione Gimbe ha rilevato, nella settimana tra il 14 e il 20 ottobre, non solo un incremento esponenziale nel trend dei nuovi casi rispetto alla settimana precedente (68.982 rispetto a 35.204) a fronte di un rilevante aumento dei casi testati (630.929 rispetto a 505.940) ma anche una brusca impennata nel rapporto tra positivi e casi testati (dal 7 per cento al 10,9 per cento) tale da certificare “il fallimento del sistema di testing & tracing per arginare la diffusione dei contagi”.

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Il problema oggi è tutto qui: una volta individuati gli errori, una volta individuate le responsabilità, una volta individuate le inefficienze, come si fa a passare dalla fase della ricerca delle colpe alla fase della ricerca delle soluzioni? La giornata di ieri è stata caratterizzata da un filotto di numeri ancora una volta allarmante – 16 mila nuovi contagi, 136 morti, 637 nuovi ricoveri, 66 nuovi ingressi in terapia intensiva a fronte di 170 mila tamponi – e i numeri quotidiani diffusi dal ministero della Salute risultano maggiormente allarmanti se si mette a fuoco un’evidenza purtroppo matematica messa in luce ieri dalla Fondazione Gimbe. La Fondazione Gimbe ha rilevato, nella settimana tra il 14 e il 20 ottobre, non solo un incremento esponenziale nel trend dei nuovi casi rispetto alla settimana precedente (68.982 rispetto a 35.204) a fronte di un rilevante aumento dei casi testati (630.929 rispetto a 505.940) ma anche una brusca impennata nel rapporto tra positivi e casi testati (dal 7 per cento al 10,9 per cento) tale da certificare “il fallimento del sistema di testing & tracing per arginare la diffusione dei contagi”.

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In una certa misura è quello che ieri mattina ha riconosciuto l’assessore al Welfare della regione Lombardia Giulio Gallera (“oggi facciamo tanti tamponi e non solo a chi ha dei sintomi, ma anche alle persone collegate ai sintomatici. Ma il sistema di tracciamento a Milano, con tanti contagiati, oggi è particolarmente difficile, per non dire quasi impossibile”) e l’impossibilità e se vogliamo l’incapacità di tracciare oggi tutti i contatti avuti dai contagiati è anche qui purtroppo una questione matematica: se ogni giorno si scoprono circa 15 mila positivi e se si considera che ogni positivo ha avuto in media tra i 20 e i 25 contatti nei giorni precedenti all’infezione scoperta, i tamponi che dovrebbero essere effettuati per tracciare tutti i potenziali positivi dovrebbero essere circa 370 mila al giorno ed essendo invece poco meno della metà risulta evidente che circa il 50 per cento dei potenziali positivi in Italia oggi non viene tracciato. Dunque, che si fa? E come si fa, in un momento nuovamente difficile come quello che stiamo vivendo, a passare dalla fase della ricerca delle colpe alla fase della ricerca delle soluzioni? 

 

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Beatrice Lorenzin è una deputata iscritta al Partito democratico ed è una persona estremamente interessante con cui dialogare su questi temi almeno per tre ragioni: Lorenzin, pur facendo parte della maggioranza di governo, è critica su alcune azioni portate avanti dalla sua stessa maggioranza; Lorenzin, pur avendo oggi un profilo defilato, ha guidato per cinque anni di seguito il ministero della Salute, tra il 2013 e il 2018; e Lorenzin, infine, si trova da sedici giorni a casa a combattere con il Covid-19, e ha sperimentato sulla sua pelle quali sono oggi i problemi e le criticità del sistema sanitario italiano. Lorenzin si trova ancora a casa, sta meglio, è in attesa del tampone negativo e tra una sollecitazione e l’altra dei suoi figli gemelli, Francesco e Lavinia, cinque anni, prova a ragionare con il Foglio sul tema dei temi: cosa può provare a fare l’Italia per fermare la corsa del paese verso il disastro. “Non ho la pretesa di insegnare nulla a nessuno e provo a riflettere solo sulla base della mia esperienza passata, da ministro, e sulla base della mia esperienza presente, da malata, ma credo sia arrivato il momento di non nascondersi dietro a un dito e di dire la verità. E la verità purtroppo è questa: abbiamo un mese di tempo per evitare di essere travolti dalle conseguenze delle seconda ondata, anche se forse dovremmo riconoscere che quella che continuiamo a chiamare seconda ondata è purtroppo ancora la prima: il virus è sempre stato qui, non è mai andato via”.

 

Che fare?

“Dobbiamo renderci conto che i problemi che stiamo osservando oggi saranno infinitamente più complicati da gestire tra qualche mese non solo perché i contagi rischiano di aumentare in modo esponenziale, ma perché quando la stagione influenzale comincerà dovremo fare i conti con un numero di persone con sintomi simili a quelli del Covid che si aggirerà tra 1,5 milioni e 2 milioni di casi. Ed è ovvio che se non si cambia qualcosa, subito, il sistema può esplodere. Non solo per chi incrocia il Covid ma anche per chi, trovandosi ad affrontare altre malattie, rischia di non essere curato come dovrebbe”.

 

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E dunque che fare?

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“Ci sono quattro step, a mio avviso, che andrebbero seguiti. Il tema non è, come spesso sento dire, quello delle terapie intensive. Il tema sono le terapie ordinarie. E su quello dobbiamo intervenire subito” (“Lavinia smettila di canticchiare un attimo: devo spiegare cose complicate a questo signore in cinque minuti, se cantiamo non ce la faccio”). “Non possiamo purtroppo pensare di intervenire sulla sanità attuando oggi riforme strutturali: servono, ma ci vuole tempo. E lo dico per esperienza personale perché conosco i tempi: quattro anni fa, la maggioranza di cui facevo parte approvò il ‘Piano nazionale della cronicità’, per gestire al meglio le malattie croniche, e quattro anni dopo quel piano è stato attuato solo per un terzo. Per questo dico: non pensiamo di fare oggi riforme strutturali, pensiamo di occuparci di questa fase straordinaria rendendo efficienti al massimo gli strumenti ordinari di medicina che abbiamo. Per andare nel concreto, la prima azione penso riguardi la medicina di base. In Italia, ci sono 43 mila medici specializzati in medicina generale, 11 mila guardie mediche notturne e 7.800 pediatri. Sono circa 60 mila liberi professionisti che lavorano in convenzione con la regione e che andrebbero ora ingaggiati in un meccanismo di public health. Per fare cosa? Per farli diventare ancora di più primi presìdi delle persone ammalate. Ogni medico di famiglia ha in media 1.500 pazienti. Costruiamo attorno a loro, ingaggiandoli come si deve, pagandoli come si deve, un piccolo pool per evitare di intasare le Asl e gli ospedali e diamo loro, e anche ai pediatri, la possibilità di occuparsi loro dei primi tamponi e del tracciamento. Non basta il personale che c’è oggi? Ecco il secondo step: coinvolgere il terzo settore, coinvolgere il volontariato, coinvolgere la Croce Rossa, coinvolgere la Protezione civile e strutturare questi primi presìdi per andare incontro a chi ha bisogno di prime cure e di prima assistenza. Non abbiamo abbastanza persone ancora? E allora, per fare i tamponi, ingaggiamo anche i laureandi, se serve, ma evitiamo di dire che non facciamo una cosa perché non c’è il personale: le persone si trovano, i presìdi si organizzano”.

 

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Altro step, dice Lorenzin: i privati e il trasporto. Alcune regioni, dice l’ex ministro – “Lavinia, scusa, ma se canti qui accanto al telefono non sento nulla!” – lo stanno già facendo ma onestamente “non trovo comprensibile che ci siano ancora regioni e comuni che non abbiamo sottoscritto accordi con i privati per utilizzare tutti i mezzi di trasporto a disposizione per decongestionare il trasporto pubblico”.

 

Ultimo step: i sindaci. Lavinia smette di canticchiare per un istante e Lorenzin va a razzo: “I sindaci devono ricordarsi che sono i tutori della sanità pubblica nei loro comuni. Hanno capacità operativa, capacità di controllo, fanno parte del Comitato di intersicurezza insieme con la prefettura, il questore, le Asl. E non devono pensare che se qualcuno gli chiede di essere più presenti e di agire con più velocità è perché c’è qualcun altro che vuole deresponsabilizzarsi. I sindaci devono imparare a fare bene quello che provano a fare i governatori: capire quali aree della propria città chiudere quando è necessario farlo senza avere paura di risultare impopolari. Se c’è una cosa che abbiamo imparato in questi mesi è che non sono le misure restrittive a far saltare il sistema economico ma è il crollo del sistema sanitario. Luca Zaia ha formulato una proposta intelligente: dare a ogni sindaco e a ogni governatore una road map per capire quando agire e per avere più strumenti operativi utili a decidere con più velocità e per responsabilizzare le comunità che proteggono. Il lockdown generalizzato si può ancora evitare, ma per farlo le istituzioni non possono limitarsi a chiedere ai cittadini di essere più responsabili, devono dimostrare loro prima di ogni altra cosa di essere responsabili. E per essere responsabili bisogna essere umili, bisogna avere delle soluzioni rapide, bisogna agire e bisogna sapersi adattare a un mondo che cambia. Sapendo che sbagliare di fronte a una pandemia e di fronte a un virus ancora poco conosciuto è purtroppo quasi inevitabile, a condizione che chi governa sappia far tesoro anche degli errori commessi. Non c’è più tempo, e ora scusate che devo andare a cantare”.

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