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La trincea di Via Veneto

Catalfo Vs Patuanelli. La disfida grillina sul blocco dei licenziamenti

Il Mise vuole archiviare il divieto per concederlo solo a chi usa la cassa Covid. Ma la ministra del Lavoro resta devota alla Cgil

Luca Roberto

Nella contesa tra il ministro del Lavoro e quello allo Sviluppo economico, la proroga al divieto di licenziare rischia di viaggiare in parallelo al rinnovo dello stato di emergenza

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Sul blocco dei licenziamenti il governo (e il M5s) dovrà decidere se sta più con il ministro Patuanelli o con il ministro Catalfo. Da una sponda di Via Veneto o dall’altra, dove i due dicasteri si guardano a vicenda, e sempre più in cagnesco. L’incontro di mercoledì notte con i sindacati e i ministri dell’Economia e del Lavoro non è servito a granché: e infatti a un certo punto la seduta è stata sospesa, aggiornata a nuovo orario da coprifuoco. Tutto rimandato. A quando, con ogni probabilità, bisognerà coinvolgere direttamente la cabina di regia di Palazzo Chigi. Del resto chi a quel tavolo non c’era, e però ha una certa voce in capitolo nella faccenda, e cioè il responsabile dello Sviluppo economico, spinge perché la misura, che non ha eguali in Europa, termini entro la fine dell’anno. E in tal caso sarebbe comunque un’estensione rispetto all’originario progetto di sospendere il divieto alla scadenza della tranche di cassa integrazione a novembre. Solo che sulla sponda opposta ci sono i sindacati, che vorrebbero una proroga non soltanto fino al termine dello stato di emergenza (31 gennaio) ma che comprenda pure le 18 settimane di cassa integrazione aggiuntive cui potranno attingere le imprese che ne facciano richiesta, e che terminerebbero alla fine di marzo.

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Sul blocco dei licenziamenti il governo (e il M5s) dovrà decidere se sta più con il ministro Patuanelli o con il ministro Catalfo. Da una sponda di Via Veneto o dall’altra, dove i due dicasteri si guardano a vicenda, e sempre più in cagnesco. L’incontro di mercoledì notte con i sindacati e i ministri dell’Economia e del Lavoro non è servito a granché: e infatti a un certo punto la seduta è stata sospesa, aggiornata a nuovo orario da coprifuoco. Tutto rimandato. A quando, con ogni probabilità, bisognerà coinvolgere direttamente la cabina di regia di Palazzo Chigi. Del resto chi a quel tavolo non c’era, e però ha una certa voce in capitolo nella faccenda, e cioè il responsabile dello Sviluppo economico, spinge perché la misura, che non ha eguali in Europa, termini entro la fine dell’anno. E in tal caso sarebbe comunque un’estensione rispetto all’originario progetto di sospendere il divieto alla scadenza della tranche di cassa integrazione a novembre. Solo che sulla sponda opposta ci sono i sindacati, che vorrebbero una proroga non soltanto fino al termine dello stato di emergenza (31 gennaio) ma che comprenda pure le 18 settimane di cassa integrazione aggiuntive cui potranno attingere le imprese che ne facciano richiesta, e che terminerebbero alla fine di marzo.

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Il governo ha provato a mediare, raccogliendo le richieste di Confindustria e del suo presidente Carlo Bonomi, che sulla possibilità di poter ricorrere a licenziamenti non transige: il limite deve cadere quanto prima per permettere le eventuali ristrutturazioni e non gravare troppo sulla libera iniziativa delle imprese. E però anche sull’offerta dell’esecutivo – rendere il divieto effettivo fino al 31 gennaio solo per le aziende che utilizzino davvero la cassa integrazione (un aggravio rispetto al semplice farne richiesta e non averne stretta necessità, com’è capitato nelle primissime fasi emergenziali) –, Cgil, Cisl e Uil non hanno voluto sentire ragioni. Come ci spiega Ivana Veronese, segretario confederale della Uil con delega alle Politiche attive del lavoro, “la riunione è stata surreale. Il dover litigare già da adesso su quale sia l’asticella da mettere ai limiti di licenziamento, sapendo che da qui ai prossimi mesi le cose non possono che peggiorare, è incomprensibile”. E insomma s’è capito da prima che l’incontro avesse luogo che la proposta avanzata da Gualtieri e Catalfo, far viaggiare in parallelo lo stato di emergenza e il divieto di licenziamento, non potesse agevolare la negoziazione. Così come non è stata di alcuna utilità ai fini della ricerca di una quadra l’assenza del ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, il più distante dai sindacati. Non convocato al tavolo perché in questa fase tutto quel che concerne la gestione tecnica degli ammortizzatori e degli strumenti di tutela è questione di bilancio e politiche del lavoro. Bisognerà insomma prima capire se l’emergenza in cui sembra essersi impantanato il paese con la seconda ondata giustificherà un esborso che fino a marzo sarebbe di cinque miliardi di euro. Ma è chiaro che quando si aprirà la partita politica il titolare del Mise vorrà far valere la sua posizione e il suo ruolo.

 

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D’altronde, Patuanelli oramai è diventato l’interlocutore grillino privilegiato di Confindustria: l’applausometro dopo il suo intervento all’ultima assemblea nazionale ha segnato decibel che neanche il premier Conte era riuscito a registrare, e solo qualche giorno fa andava ripetendo in tv che “il blocco dei licenziamenti non può essere prorogato oltre la fine dell’anno”. E non al 31 gennaio, alla scadenza prevista dello stato d’emergenza: perché, essendo la proroga di quest’ultimo assai probabile, a quel punto si tornerebbe a invocare pure la proroga del blocco. E non se ne verrebbe più fuori. Anche perché, fanno notare dal Mise, l’obiettivo è evitare l’effetto tappo che si creerebbe una volta che il blocco dovesse cessare da un giorno all’altro nella prossima primavera, invece di poter spalmare su un periodo più lungo il ristrutturarsi delle aziende.

 

Come che sia, pure nella maggioranza si racconta che il dossier sia stato a tal punto accentrato dai tecnici dei ministeri competenti da “non farci toccare palla in Parlamento”. E che nelle commissioni dove l’ascendenza della ministra Catalfo è più forte, quelle del Lavoro, una certa sensibilità alle richieste dei sindacati sia perseguita con laica devozione. Dalla decisione del governo di accontentare o meno i sindacati, quindi, passerà pure la vittoria di un ministro Cinque stelle sull’altro.

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