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Nel nome del prefetto.

"Così i prefetti dovranno aiutare i sindaci, in tempi di Covid". Parla Anna Maria Cancellieri

Lontano dal centro di potere, ma al tempo stesso "luogo di sintesi in tempi di fragilità"

Marianna Rizzini

Il supporto ai primi cittadini di fronte alla gestione complicata del coprifuoco. La "proiezione dello Stato sul territorio", come dice l'ex ministro, è anche un topos letterario e cinematografico, da Sciascia a Petri

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“Lo stato non abbandona i comuni; i primi cittadini saranno ovviamente supportati in tutto dai prefetti, negli appositi Comitati provinciali di ordine pubblico”. La nota del ministero dell’Interno li chiama in causa, i prefetti, nel momento in cui, di nuovo, ci si sporge pericolosamente sull’orlo del precipizio, per gestire, accanto ai primi cittadini, la questione “piazze e strade da chiudere” ai margini della seconda ondata di pandemia. E la loro chiamata in causa evoca altri momenti di emergenza (economica, politica) in cui “l’avveduta precauzione” dei prefetti, come la chiamava Leonardo Sciascia nel libro-catalogo “Invenzione di una prefettura”, è stata considerata risorsa preziosa.

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“Lo stato non abbandona i comuni; i primi cittadini saranno ovviamente supportati in tutto dai prefetti, negli appositi Comitati provinciali di ordine pubblico”. La nota del ministero dell’Interno li chiama in causa, i prefetti, nel momento in cui, di nuovo, ci si sporge pericolosamente sull’orlo del precipizio, per gestire, accanto ai primi cittadini, la questione “piazze e strade da chiudere” ai margini della seconda ondata di pandemia. E la loro chiamata in causa evoca altri momenti di emergenza (economica, politica) in cui “l’avveduta precauzione” dei prefetti, come la chiamava Leonardo Sciascia nel libro-catalogo “Invenzione di una prefettura”, è stata considerata risorsa preziosa.

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La lontananza dal centro di potere, infatti, e al tempo stesso l’essere punto di raccordo tra stato e comunità locale, fa del prefetto una delle figure tecniche cui si ricorre in tempi in cui la politica, da sola, non riesce a reggere l’urto della straordinaria amministrazione. Qual è il segreto? “In questo caso, il fatto di rappresentare un luogo di sintesi al vertice del comitato di ordine pubblico”, dice al Foglio Anna Maria Cancellieri, già prefetto e ministro dell’Interno e della Giustizia nei governi Monti e Letta. E insomma, spiega Cancellieri, questa è una situazione in cui il sindaco, da solo, non può gestire il rischio assembramento, perché non basta un solo polo decisionale, una sola forza di controllo, e dunque l’unica soluzione è “tenere conto di tutte le variabili e le opinioni, e valutare che cosa fare e che cosa non fare all’interno del comitato”. 


Ma di che cosa è fatto l’appeal del prefetto? Cancellieri – che  ha gestito situazioni complicatissime (“per esempio quando a Bergamo arrivò un vagone radioattivo”, dice scorrendo nella memoria le immagini di proficue collaborazioni con i Comitati di ordine pubblico) – pensa che il prefetto rappresenti “la figura di riferimento terza per antonomasia, quella non di parte, quella che garantisce la collettività nella sua interezza”. Il prefetto, dice l’ex ministro, “è la proiezione dello stato sul territorio. Grazie a questa sua terzietà dispone di una leva pratica e simbolica che permette di decidere in fretta su casi che altrimenti non potrebbero essere gestiti, vista la diversità dei tanti interessi in gioco. Ecco, il prefetto, al vertice del Comitato di ordine pubblico, anche in questo momento può rappresentare un punto di equilibrio e sintesi tra tutte le esigenze prospettate”. E però quello del prefetto è un lavoro che si svolge soprattutto dietro le quinte. Questa la sua forza, forse, e qui la suggestione: quella dell’alto funzionario statale spedito nelle tante fortezze Bastiani lontane dai centri di potere, topos letterario e cinematografico. Il prefetto che vigila, il prefetto che non può mai dismettere l’abito formale, come il protagonista de “L’Ultima provincia” di Luisa Adorno, uomo di istituzioni che, appena a casa, si metteva il pigiama infischiandosene se non era ora da pigiama, da quanto aveva introiettato la pressione dell’incarico. Oppure il prefetto che abbandona il dietro le quinte per la scena collettiva, come i prefetti tutti uguali di Elio Petri, in “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”.

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“Quella del prefetto è un’opera paziente, il più delle volte svolta nell’ombra, ed è un fatto positivo: non c’è bisogno di riflettori, non c’è bisogno di consenso. Il prefetto lavora ascoltando tutte le voci”. Il ricorso al tecnico e quindi al prefetto (anche l’attuale ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, lo è) è una delle conseguenza della mutazione politica e sociale degli ultimi anni. “Tanto più che con la frammentazione attuale serve una sintesi tra le tante voci”, dice Cancellieri. Per non dire dei tempi “pandemici” di oggi: oltre alle opinioni dei vari attori politici, bisogna considerare anche quelle del Comitato tecnico scientifico, dei virologi, dei medici. “Questo è un momento di grande fragilità in cui si cercano risposte e certezze. E allora può essere utile l’apporto di figure terze che, nell’ambito del rispetto delle leggi, non si piegano a pressioni, guardano dall’alto, ascoltano tutti e poi cercano di prendere la decisione che tenga conto di tutti i punti di vista”.  

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