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La corsa dei due colli

Anche il Quirinale, come il Campidoglio, fa le sue primarie. Ma nell'ombra

Salvatore Merlo

Quelle per il sindaco di Roma sono affollate di figurine, quelle per il presidente della Repubblica sono occulte. E si intravede un intreccio di commedia, o di reality show

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“Ma che Campidoglio? Qualcuno gli ha messo in testa il Quirinale!”. E che Nicola Zingaretti e Dario Franceschini si siano davvero scambiati questa battuta o meno, e che si riferissero a David Sassoli, come sostengono alcuni, o a Enrico Letta, come raccontano altri, insomma ai due che hanno opposto il gran rifiuto alla candidatura a sindaco di Roma, forse poco importa. Tra gli arazzi infeltriti della reggia presidenziale e la Lupa capitolina c’è meno di un chilometro, al punto che dalla torre del Quirinale si vede il Campidoglio e dal Campidoglio s’osserva la sommità della torre del Quirinale. Eppure mai nella storia della Repubblica le vicende umane e politiche dei due colli, così vicini ma anche così lontani, si sono a tal punto intrecciate come capita di questi tempi. Intercambiabilità d’inquilini, ex sindaci ed ex candidati sindaci che potrebbero anche diventare presidenti, e poi ancora possibili presidenti che incoraggiano l’altrui candidatura a sindaco. E allora Sassoli e Letta oppongono un rifiuto per il Campidoglio che secondo Zingaretti e Franceschini forse nasconde un desiderio più elevato, quello del Quirinale, appunto. “Come se avessi accettato”, risponde Sassoli, spiritoso, quando gli si prospetta di fare il sindaco. “Non sono romano”, si ritrae invece Letta, che è pisano ma da trent’anni vive a Testaccio. Entrambi dunque, almeno secondo la malizia, sognerebbero il Colle, non certo la collina. Chissà.

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“Ma che Campidoglio? Qualcuno gli ha messo in testa il Quirinale!”. E che Nicola Zingaretti e Dario Franceschini si siano davvero scambiati questa battuta o meno, e che si riferissero a David Sassoli, come sostengono alcuni, o a Enrico Letta, come raccontano altri, insomma ai due che hanno opposto il gran rifiuto alla candidatura a sindaco di Roma, forse poco importa. Tra gli arazzi infeltriti della reggia presidenziale e la Lupa capitolina c’è meno di un chilometro, al punto che dalla torre del Quirinale si vede il Campidoglio e dal Campidoglio s’osserva la sommità della torre del Quirinale. Eppure mai nella storia della Repubblica le vicende umane e politiche dei due colli, così vicini ma anche così lontani, si sono a tal punto intrecciate come capita di questi tempi. Intercambiabilità d’inquilini, ex sindaci ed ex candidati sindaci che potrebbero anche diventare presidenti, e poi ancora possibili presidenti che incoraggiano l’altrui candidatura a sindaco. E allora Sassoli e Letta oppongono un rifiuto per il Campidoglio che secondo Zingaretti e Franceschini forse nasconde un desiderio più elevato, quello del Quirinale, appunto. “Come se avessi accettato”, risponde Sassoli, spiritoso, quando gli si prospetta di fare il sindaco. “Non sono romano”, si ritrae invece Letta, che è pisano ma da trent’anni vive a Testaccio. Entrambi dunque, almeno secondo la malizia, sognerebbero il Colle, non certo la collina. Chissà.

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Di sicuro c’è, tuttavia, che mai tanti dedali sotterranei, o metaforici ponti sospesi, avevano collegato così profondamente e intensamente la geografia del potere cittadino con quella dello stato, in pratica i corazzieri e i pizzardoni. Al punto da verificare cortocircuiti domestici, incarnazioni familiari di questo inedito groviglio. Ebbene, Franceschini, cui tutti com’è noto attribuiscono un desiderio presidenziale, ha una moglie, Michela De Biase, cui tutti invece attribuiscono l’ambizione di farsi sindaca. Un viluppo apparentemente inestricabile, questo tra Colle e colle. A Massimo D’Alema, per esempio, hanno offerto il podio di Roma ma lui ha rifiutato perché non dimentica più che un tempo gli fu promessa (da Renzi) la presidenza della Repubblica. E anche Paolo Gentiloni, che nel 2012 s’era candidato alle primarie per fare il sindaco, è oggi un quirinabile tra i quirinabili. Come Walter Veltroni e Francesco Rutelli, ovviamente, che invece la collina del sindaco l’hanno conosciuta e governata, e ora si dice ambiscano al fasto del Colle.

 

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Insomma colle, biscolle (e speriamo non tracollo). Sospesi nel vuoto tra le due sommità romane. Proprio lì dove uno dei quirinabili più forti, perché forse tra i più improbabili, è Pierluigi Castagnetti. L’anziano galantuomo dc nei giorni scorsi s’è immerso nel dramma amletico del centrosinistra alla ricerca di un sindaco passabile. E lo ha fatto così, con un tweet chiaro chiaro e romano romano: “Carlo Calenda candidato sindaco”. Campidoglio e Quirinale, Quirinale e Campidoglio. E se dunque da una parte ci sono per adesso le primarie dei sette nani, i sette (auto)candidati sindaci del Pd, in pratica quell’elenco che va dalla C di Caudo-Cirinnà-Ciani alla Z di Zevi, ecco che dall’altra parte ci sono invece le primarie invisibili per il presidente della Repubblica.

 

I nani sognano di farsi salutare dagli uscieri del Campidoglio, che sono la versione amatriciana dei commessi della Camera, mentre gli altri, i giganti, si tormentano con il sogno proibito dei corazzieri a cavallo. In un continuo gioco di specchi e di incastri. Palazzo su Palazzo. Con la differenza, però, che   la presidenza della Repubblica, al contrario della sindacatura di Roma, non è per chi la desideri, ma è una gloria terminale che corrisponde alla più smaniosa scaramanzia del comando. Per questo Letta e Sassoli tacciono sul Campidoglio (che meno gli importa) ma pure tacciono sul Quirinale (perché forse troppo gli importa). La lunga corsa presidenziale d’altra parte sempre mortifica i candidati troppo desiderosi, superbi e sicuri di sé. Successe due volte a Fanfani, cui scrissero nelle schede: “Nano maledetto non sarai mai eletto”. Successe a Spadolini, a Forlani e persino ad Andreotti.

 

Così tutti stanno lì, chiusi nel loro silenzio, assieme a Prodi, Veltroni, Rutelli, Conte e chissà forse anche Mario Draghi. Ci si candida e ci si accredita al di fuori di ogni rapporto con l’opinione pubblica. E infatti se le primarie per Roma sono per adesso affollate di simpatiche figurine, quelle per il Quirinale sono affollate di giocatori nell’ombra. In un intreccio di commedia, o di reality show, che il centrodestra ha così ben interpretato da aver imposto per Roma un palinsesto di candidati-conduttori: Giletti, Porro e Sangiuliano.

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