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La Lega non ce l'ha duro. Ecco le paure di Giorgetti, Zaia, Salvini

Carmelo Caruso

Altro che partito della paura. Sono un partito di impauriti. Giorgetti non sfida Salvini, Zaia non lascia il suo Veneto. Salvini teme di perdere voti. Le uniche che hanno coraggio sono le donne (sconfitte) della Lega

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Non è il partito della paura ma è un partito di impauriti. Non è vero che i leghisti “ce l’hanno duro”. E diciamolo una volta per tutte che Giancarlo Giorgetti non avrà mai il coraggio di portare la Lega nell’Europa dei presentabili perché solo con l’impresentabile Matteo Salvini giganteggia, così come Luca Zaia, che pure è “il doge”, non lascia Venezia che è la sua sola terraferma mentre annega a Roma che è invece la sua laguna. C’è insomma qualcosa di non raccontato in questo partito che è sicuramente l’ultima caserma della politica, un reparto di maschi e non perché come ripetono i leghisti “noi non cerchiamo le donne in quanto donne ma in quanto brave”. Magari avessero il temperamento della Lega con la gonna!

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Non è il partito della paura ma è un partito di impauriti. Non è vero che i leghisti “ce l’hanno duro”. E diciamolo una volta per tutte che Giancarlo Giorgetti non avrà mai il coraggio di portare la Lega nell’Europa dei presentabili perché solo con l’impresentabile Matteo Salvini giganteggia, così come Luca Zaia, che pure è “il doge”, non lascia Venezia che è la sua sola terraferma mentre annega a Roma che è invece la sua laguna. C’è insomma qualcosa di non raccontato in questo partito che è sicuramente l’ultima caserma della politica, un reparto di maschi e non perché come ripetono i leghisti “noi non cerchiamo le donne in quanto donne ma in quanto brave”. Magari avessero il temperamento della Lega con la gonna!

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Si spaventano di tutto. Perfino di avere un’idea che credono giusta. Giorgetti, che da mesi sbuffa, manifesta malessere, e che in ogni modo lascia capire che in Europa non c’è futuro se non si cambia famiglia, quando si è trovato di fronte a Salvini ha cambiato opinione. La sera prima dell’incontro decisivo con gli europarlamentari aveva minacciato le dimissioni, ed era vero, (“se la Lega non prende coscienza, io ne prenderò atto”) ma il giorno seguente, non solo ha spiegato che le dimissioni non esistevano ma ha sfidato chiunque a “trovare una sola dichiarazione in cui dico che bisogna entrare nel Ppe”.

 

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Per preparare la svolta popolare aveva rilasciato un’intervista da capo di stato a Repubblica ma quando ha capito che non sarebbe andato da nessuna parte si è rifugiato nel quotidiano meno europeista di sempre e ha inventato il neologismo obliquo: “Meno populisti e più popolari? Facciamo popularisti”. E non si creda che sia la prima volta. Nel primo governo Conte era stato indicato come ministero dell’Economia ma ha rifiutato ed erano motivi personali rispettabilissimi. E però, quando gli hanno proposto di fare il commissario europeo, il ruolo che ha poi ricoperto Paolo Gentiloni, aveva ancora motivi personali tanto che qualche leghista si è chiesto: “Ma com’è che ha sempre un motivo personale per rifiutare?”. Sapete cosa fa non appena è in difficoltà, non appena le sue ragioni confliggono con la linea di Salvini? Stacca il telefono e non risponde ai messaggi. Si inabissa. E tutti pensano che sia abilità – e per carità sicuramente lo è perché il silenzio è continenza – ma assicurano anche che sia un impasto di panico e che si dedica all’orto di casa che gli restituisce serenità. In pratica fa il Candido di Voltaire.

 

E lui per primo, nei momenti in cui è solo e parla a voce alta, confessa che le sue (buone) idee non bastano, le relazioni con le cancellerie (che esistono) non sono sufficienti e che “Matteo ha il carisma che io non ho”. Zaia? Ma si è mai visto un doge veneziano che non vuole lasciare Venezia? Ve lo immaginate Marco Polo che si ferma a Mestre? Ha il settanta per cento del consenso, ha un gradimento che in Italia nessun governatore possiede. La verità? Ha paura di arrivare in ritardo agli appuntamenti e infatti non cammina ma corre. E’ costantemente in anticipo ma posticipa le grandi decisioni. Quando in regione gli presentano l’agenda con gli appuntamenti, quando deve incontrare una figura che non conosce, chiede in pratica dei report dettagliatissimi: “Voglio sapere tutto di lui”. Accortezza? Non c’è dubbio. Sfiducia nel prossimo? Anche. Ha vinto e non ha avuto la necessità di fare campagna elettorale. Ma come è nei confronti televisivi?

 

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Ebbene, invitato in televisione chiede interviste singole, schiva i confronti con altri politici e se potesse, anzi lo dice, consiglia di evitare tutte le domande che riguardano il partito: “Se siete d’accordo io parlerei del Veneto e del governo”. E di Salvini? Come Bartbley risponde che lui “preferisce di no”. E perché Salvini non lascia i sovranisti? Ha paura di perdere voti, ma ha il coraggio che possiedono gli incoscienti tanto che tutti e due, Giorgetti e Zaia, alla fine, ammiccando come compari, dicono: “Capite, perché ci serve?”. Lucia Borgonzoni si è candidata in Emilia-Romagna e comunque sapeva che era più certa la sconfitta che la vittoria così come Susanna Ceccardi in Toscana. Hanno perso loro o stanno perdendo l’occasione Zaia e Giorgetti? Non saranno i leghisti che sostituiranno Salvini. Solo una leghista può cambiare la Lega.
 

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