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Nel cielo di Calabria come Jole

La vita combattente di Santelli che "non poteva permettersi la paura"

Dagli esordi in Forza Italia alla doppia battaglia contro la malattia e per un sud che potesse sfatare il suo mito negativo

Marianna Rizzini

Gli esordi con Berlusconi da ragazza self-made, ex fuorisede. Lo studio Previti, la collaborazione con Marcello Pera, l'amicizia con il Cav, la passione per i comizi e per il Psi, l'esperienza da sottosegretario, l'ultima campagna elettorale, la vittoria senza voce ma con il sorriso. Il ricordo di amici, avversari, sindaci, consiglieri

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Il suo silenzio aveva fatto irruzione nel momento più rumoroso, quello della vittoria politica. “Non ho voce”, aveva detto ai microfoni Jole Santelli, già sottosegretario alla Giustizia nel terzo governo Berlusconi, a lungo parlamentare azzurra, poche ore dopo la sua elezione alla presidenza della Regione Calabria, il 27 gennaio di quest’anno, che è come fosse un altro anno di un altro mondo, prima del virus e prima di tutto. Il silenzio degli altri è arrivato invece ieri, nell’aula di Montecitorio, durante il minuto di raccoglimento senza parole che il presidente della Camera Roberto Fico ha aperto, dopo aver annunciato la morte di Jole Santelli e dopo aver pronunciato la frase “siamo tutti molto scossi, e vicini alla sua famiglia”. In mezzo ai due silenzi c’è stata lei, la prima donna governatore della Calabria che a cinquantuno anni, da avvocato e militante di Forza Italia di vecchia data (dal 1994), aveva fatto una campagna elettorale con la malattia accanto, dopo che il suo nome era stato proposto dal Cav. in persona, ma con un pensiero chiaro da scandire prima di tutto a se stessa, come aveva poi raccontato al Corriere della Sera: “Non mi posso permettere la paura”. E anche: “Non posso permettere che il tumore mi perseguiti”. 

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Il suo silenzio aveva fatto irruzione nel momento più rumoroso, quello della vittoria politica. “Non ho voce”, aveva detto ai microfoni Jole Santelli, già sottosegretario alla Giustizia nel terzo governo Berlusconi, a lungo parlamentare azzurra, poche ore dopo la sua elezione alla presidenza della Regione Calabria, il 27 gennaio di quest’anno, che è come fosse un altro anno di un altro mondo, prima del virus e prima di tutto. Il silenzio degli altri è arrivato invece ieri, nell’aula di Montecitorio, durante il minuto di raccoglimento senza parole che il presidente della Camera Roberto Fico ha aperto, dopo aver annunciato la morte di Jole Santelli e dopo aver pronunciato la frase “siamo tutti molto scossi, e vicini alla sua famiglia”. In mezzo ai due silenzi c’è stata lei, la prima donna governatore della Calabria che a cinquantuno anni, da avvocato e militante di Forza Italia di vecchia data (dal 1994), aveva fatto una campagna elettorale con la malattia accanto, dopo che il suo nome era stato proposto dal Cav. in persona, ma con un pensiero chiaro da scandire prima di tutto a se stessa, come aveva poi raccontato al Corriere della Sera: “Non mi posso permettere la paura”. E anche: “Non posso permettere che il tumore mi perseguiti”. 

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Non parlava, Santelli, con la leggerezza autoimposta della protagonista del film di Isabel Coixet “La mia vita senza me”, una giovane donna malata di un male incurabile che compila una lunga lista di cose da fare, obiettivi semplici e complessi da raggiungere prima della fine, per non farsi sopraffare. Agiva però, Santelli, come se il tempo futuro fosse una variabile da non considerare, e forse per questo il suo sorriso aveva spesso qualcosa di austero, anche se poi lei smentiva quell’austerità con i colori netti della giacca, e gli immancabili orecchini pendenti: adesso sono qui, diceva, adesso governo la Regione, ora devo essere al lavoro, fisicamente. Anche per questo, forse, aveva accolto l’arrivo del Coronavirus, da un lato, e il temporaneo abbattimento estivo dei contagi, dall’altro, in modi opposti ma ugualmente energici: chiudendo la Calabria a inizio pandemia, “copiando il Veneto”, così diceva, visto che il Veneto “le era parso un buon modello” prima che fosse troppo tardi per la Sanità della sua regione, e poi riaprendo la Calabria al commercio più velocemente degli altri, tanto che, a fine chiusura nazionale, quando ancora ci si interrogava sulle fasi due, tre e quattro, la Calabria aveva bar e ristoranti con le saracinesche alzate. E intanto lei, la presidente, aveva ricevuto, a fine aprile, gli elogi del New York Times, con esaltazione del “modello Calabria”: “Anche prima che il virus colpisse”, si leggeva sul quotidiano americano, “gli ospedali della regione erano profondamente indebitati, sottoposti ad amministrazione esterna, e i meridionali viaggiavano verso nord per le cure mediche… La signora Santelli, il cui ufficio è simile a quello di un governatore americano, ha dichiarato di aver chiuso la Calabria per paura che i lavoratori infetti di ritorno dal nord distruggano un sistema ospedaliero ‘piuttosto debole’”. E Santelli aveva ringraziato gli amici d’oltreoceano, e aveva ribadito che, senza seguire quello che aveva considerato l’avamposto del contenimento-disastro, il Veneto, appunto, non avrebbe potuto evitare la catastrofe. E c’era chi, in Calabria, in quel momento aveva ripensato al videomessaggio precursore di Berlusconi, che all’inizio di gennaio, presentando la candidatura Santelli, si era rivolto direttamente ai calabresi: “Avete l’occasione di dire basta alle tasse eccessive, ai troppi sprechi, alla burocrazia esagerata, e di chiudere una stagione che ha umiliato la vostra regione, diventata simbolo dell’incapacità della sinistra di affrontare e risolvere i problemi… La Calabria è l’unica regione in Italia che, invece di crescere, arretra. Ha il peggior tasso di disoccupazione e servizi inadeguati, al punto che i vostri giovani sono costretti a emigrare per trovare un lavoro e gli anziani obbligati ad andare nelle altre regioni per farsi curare meglio”. Voltate pagina, era stato lo slogan: “Per cambiare la storia questa volta basta votare bene”. E ci aveva messo, il Cav., anche un accenno al libero mercato e al cristianesimo, come se con Santelli si potesse rinnovare  d’un colpo tutta l’agenda azzurra passata, presente e futura.

 

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D’altronde la candidata era stata “self-made” in Forza Italia già prima di conoscerlo, dopo essere arrivata da Cosenza a Roma come studentessa di Giurisprudenza fuori sede, figlia di un funzionario e di una professoressa di Filosofia, dopo essersi laureata e dopo aver cominciato a fare pratica da avvocato con l’ulivista Vincenzo Siniscalchi, già forte della collaborazione con Tina Lagostena Bassi. Poi era approdata allo studio legale Previti, dove aveva iniziato l’avvicinamento alla Forza Italia nascente, mantenendo però il suo lavoro. Berlusconi entra in scena più tardi, nel 1997, quando Santelli, ormai all’ufficio legislativo del partito, manda un documento sulla giustizia a Gianni Letta (che lo fa leggere al Cav). Da quel momento a oggi sono quasi trent’anni di stima e amicizia, quella a cui Berlusconi si è riferito ieri, ricordando Santelli. Una Santelli che in Calabria, dopo l’elezione, ha messo in piedi una Giunta con dentro il Capitano Ultimo e l’astrofisica Sandra Savaglio (che in un’intervista a questo giornale, qualche mese fa, si è detta “digiuna di politica” ma felice di trovarsi “in un ambiente di persone senza pregiudizi e preclusioni, intenzionate a lavorare sulle idee” per sconfiggere il “mito negativo di una regione adagiata sul passato”). E ieri Savaglio ha preso in prestito le stelle per definire la presidente defunta: “E’ come una cometa che ha illuminato per poco il cielo buio della Calabria”. 

  

E proprio in Calabria, a fine gennaio, a vittoria ottenuta, Santelli aveva ricordato la circostanza iniziale della propria passione politica, raccontata tanto tempo fa in un’intervista a “Sette”: “Mio nonno, a Cosenza, mi portava ai comizi di Berlinguer e di Almirante quando avevo quattro anni. Da bambina guardavo tutti i dibattiti televisivi. Da ragazza non uscivo la sera per vedere i telegiornali. Per me era una malattia. E adoravo soprattutto Giacomo Mancini, che era una specie di zio”. Ma le piaceva, da giovane militante del Psi, anche Claudio Martelli, di cui aveva appeso una foto sul muro del collegio, subito scoperta e stroncata da suore spagnole molto preoccupate per la tenuta dell’intonaco. E le piaceva ascoltare i dibattiti casalinghi Dc-Psi, a tavola, a casa, tra sua madre democristiana e suo padre socialista. Poi aveva vissuto la politica dal fronte che si era aperto negli anni Novanta, tra Tangentopoli e le prime battaglie anticasta, e aveva visto la nascita di Forza Italia, percorrendo i primi passi nel partito e in Parlamento, tra Marcello Pera e Cesare Previti, e aveva vissuto tutte le evoluzioni, le tante cadute e resurrezioni azzurre, passando per predellini, sconfitte e rilanci. Dei leghisti che se ne andavano dalla Lega diceva che le facevano impressione, perché per essere della Lega devi veramente crederci, e se ti stanchi di essere leghista allora devi smettere di fare politica. Cosa che lei, da non leghista, non ha mai avuto intenzione di fare, tanto meno alla vigilia della morte, quando ha passato tutta la giornata tra un incontro e l’altro, a Cosenza, circostanza che ieri veniva ricordata da tutti quelli che esprimevano il loro cordoglio: “Non è possibile, era al lavoro fino a poche ore fa”. E mentre veniva annullata la conferenza stato-regioni, l’onda di cordoglio bipartisan correva per il web, nei messaggi di Giuseppe Conte, Silvio Berlusconi, Nicola Zingaretti, Matteo Renzi, Roberto Gualtieri, Mara Carfagna, Giorgia Meloni, Guido Crosetto, Rosanna Scopelliti, passando per parlamentari, sindaci, consiglieri, amici, colleghi ed ex avversari. Ci lascia “una combattente”, diceva il Cav., salutando “l’amica leale Jole”. La Jole che, al momento di accettare la candidatura in Calabria, già in lotta contro la minaccia del male, aveva tirato fuori per se stessa, sorridendo, la definizione che in quel momento le sembrava cogliere l’attimo alla perfezione: “Sono qui, candidata per fato”.

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