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I quasi cinque anni bellissimi (si fa per dire) di Appendino

David Allegranti

La città si è impoverita culturalmente e politicamente: ecco che cosa ha fatto e non ha fatto la sindaca di Torino

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È  quella brava, Chiara Appendino. Quella preparata. O meglio, così veniva presentata nel 2016 prima in campagna elettorale e poi dopo la vittoria – storica, va detto – del M5s a Torino. Così come storica era stata la vittoria grillina a Livorno nel 2014 (poi la città è tornata nelle mani del centrosinistra nel 2019). O a Roma. È tutto storico con il M5s. Solo che – vale per Appendino, Raggi e Nogarin – i Cinque stelle quando li conosci, sindaci e non solo, li eviti. Prendiamo Appendino “quella brava”, appunto, borghese laureata alla Bocconi ma ex elettrice di Sel, “finta incendiaria” (gran definizione di Tempi) con famiglia della cosiddetta “Torino bene”. Si tira fuori dalla corsa per il secondo mandato perché non poteva fare altrimenti, forse pure per fare un favore ai Cinque stelle, che adesso potrebbero schierare un candidato civico.

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È  quella brava, Chiara Appendino. Quella preparata. O meglio, così veniva presentata nel 2016 prima in campagna elettorale e poi dopo la vittoria – storica, va detto – del M5s a Torino. Così come storica era stata la vittoria grillina a Livorno nel 2014 (poi la città è tornata nelle mani del centrosinistra nel 2019). O a Roma. È tutto storico con il M5s. Solo che – vale per Appendino, Raggi e Nogarin – i Cinque stelle quando li conosci, sindaci e non solo, li eviti. Prendiamo Appendino “quella brava”, appunto, borghese laureata alla Bocconi ma ex elettrice di Sel, “finta incendiaria” (gran definizione di Tempi) con famiglia della cosiddetta “Torino bene”. Si tira fuori dalla corsa per il secondo mandato perché non poteva fare altrimenti, forse pure per fare un favore ai Cinque stelle, che adesso potrebbero schierare un candidato civico.

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In quasi cinque anni di mandato, la città si è impoverita culturalmente; mostre, eventi sono andati altrove (alcuni sono rimasti a fatica, come il Salone del Libro), la giunta ha perso pezzi (storica, pure quella, fu la rottura con il vicesindaco benecomunista Guido Montanari, che aveva la colpa politica di dire cose feroci, quelle che lei non poteva dire) e pure in consiglio comunale non sono mancate defezioni, fra eletti del M5s che hanno salutato la curva e continue fibrillazioni sull’interpretazione autentica del grillismo declinato alla torinese.

 

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Fossimo giustizialisti, da queste parti, ci metteremmo pure in questa rassegna degli obbrobri torinesi di Appendino i guai giudiziari della sindaca. Alcuni risolti, altri no, come il caso Ream, di pochi giorni fa: la sindaca è stata condannata a sei mesi per falso in atto pubblico. E ancora non è finito il processo per i fatti di piazza San Carlo. E non dimentichiamo l’improbabile selezione della classe dirigente della città. Da Paolo Giordana, capo di gabinetto, costretto alle dimissioni per aver fatto togliere la multa a un amico, a Luca Pasquaretta, suo ex portavoce, per il quale il 20 maggio scorso la procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio insieme ad altre  persone accusate, a vario titolo, di corruzione, peculato, estorsione, turbativa d’asta e traffico di influenze illecite (la posizione della sindaca invece è stata archiviata). E non dimentichiamo i grandi balletti sulla Tav, quando – sotto la sua amministrazione, era il 2018 – Torino diventò un Comune No Tav grazie alla spinta dei consiglieri comunali grillini più vicini ai centri sociali. Un rapporto complicato, peraltro, quello fra loro – grillini rivoluzionari, coté di sinistra – e la sindaca, troppo debole per potersene liberare del tutto. D’altronde era frastagliato il fronte che le consegnò la vittoria nel 2016. C’era la sinistra ma anche l’industria. I Cinque stelle vinsero infatti grazie anche al contributo di una parte della classe imprenditoriale della città – forse per amore di Torino, non solo per proprio tornaconto – che decise di scommettere sulla presunta rivoluzione garantita da Beppe Grillo e suoi.  Fu così che arrivò la vittoria di Chiara Appendino e nacque il “laboratorio” – mai parola fu più abusata – grillino.

 

Nel 2018, l’allora presidente dell’Unione Industriale Dario Gallina spiegava su queste colonne, in un monografico dal titolo “La Chiara deriva dell’Italia”, che con i Cinque stelle c’era un problema di “inesperienza, immaturità e ideologia”. Distingueva la sindaca dal M5s, però, probabilmente per prossimità culturale. Non aveva problemi certo a spiegare che era sì “poliedrica”, Appendino, ma il problema vero era il “contorno”. L’ideologia grillina che portava avanti: “La decrescita infelice più che felice”. Forse a Torino, così spenta in questi anni, non c’è rimasto più nemmeno la decrescita.

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