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Contagi quasi a 6.000

Virus, economia e protezione: no, non si vive di sola paura

I timori sul futuro non hanno a che fare solo con il virus ma anche con l’incapacità di spiegare come trasformare la crisi in un’occasione per rivoluzionare l’Italia. Progetti, immagini e asse con l’opposizione. La svolta che serve a Conte e Zingaretti

Claudio Cerasa

Dare una direzione al governo non solo proteggendo i cittadini dalla pandemia ma anche indicando obiettivi in grado di dare al paese una spinta per ricominciare a sognare. La vera sfida del Pd di Nicola Zingaretti in fondo è tutta qui.

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Ci sono molte ragioni per essere preoccupati rispetto al decorso della pandemia in Italia (ieri 5.901 positivi, 41 morti e 62 persone in più in terapia intensiva) e ci sono molte ragioni per prendere sul serio uno spunto di riflessione consegnato ieri alle agenzie dal segretario del maggiore dei sindacati dei medici ospedalieri italiani, Carlo Palermo, secondo cui “qualora in Italia dovesse esserci un aumento esponenziale dei casi come sta avvenendo in alcuni paesi come la Francia, che ha ormai circa 10 mila contagi al giorno, il sistema ospedaliero, nel nostro paese, avrebbe una tenuta di non oltre due mesi”.

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Ci sono molte ragioni per essere preoccupati rispetto al decorso della pandemia in Italia (ieri 5.901 positivi, 41 morti e 62 persone in più in terapia intensiva) e ci sono molte ragioni per prendere sul serio uno spunto di riflessione consegnato ieri alle agenzie dal segretario del maggiore dei sindacati dei medici ospedalieri italiani, Carlo Palermo, secondo cui “qualora in Italia dovesse esserci un aumento esponenziale dei casi come sta avvenendo in alcuni paesi come la Francia, che ha ormai circa 10 mila contagi al giorno, il sistema ospedaliero, nel nostro paese, avrebbe una tenuta di non oltre due mesi”.

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La preoccupazione che l’ondata di ritorno del virus possa essere presa sotto gamba è reale. Così come reale è la paura che, come segnalato pochi giorni fa alla regione Lombardia da un gruppo di 500 medici e infermieri bergamaschi, gli amministratori della sanità non si rendano conto che “per affrontare il secondo picco non basterà la disciplina della popolazione, ma servirà una risposta coordinata e lungimirante delle istituzioni, perché quella messa in campo a oggi non è sufficiente”.

 

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Ci sono buone ragioni per essere preoccupati – e ci sono buone ragioni per invitare ad accogliere le raccomandazioni del governo senza fare troppa ironia sulle mascherine e sull’invito a non affollarsi in casa: gli appelli alla libertà fatti da partiti come la Lega che in giro per il mondo appoggiano il fior fiore degli autocrati li lasciamo a “Paperissima Sprint” – ma ci sono buone ragioni per essere allarmati anche per un altro motivo. Che non c’entra con la diffusione del virus e che c’entra invece con la diffusione di una consapevolezza altrettanto allarmante che potremmo provare a sintetizzare così: l’incapacità da parte del governo di individuare, almeno fino a oggi, una chiave per mettere a fianco alla paura il sentimento di speranza.

 

E nel caso specifico, la speranza non è legata solo alla possibilità di contenere il contagio (cosa che in questi mesi all’Italia è riuscita meglio di quasi tutti i paesi europei) o alla possibilità di avere un vaccino (“Se qualcuno di voi mi avesse chiesto a metà ottobre 2019 il tempo minimo per passare dalla scoperta di un virus alla prima somministrazione in fase 1 a un paziente del vaccino contro di esso, io avrei risposto, certo di peccare di ottimismo, minimo due anni: ebbene, tutto ciò è già avvenuto in 63 giorni”, ha scritto ieri in uno slancio di imprevedibile ottimismo Roberto Burioni). Ma è legata anche a un’altra possibilità che chiacchiere a parte non sembra essere una priorità del governo: spiegare in che modo il nostro paese ha intenzione di trasformare il passaggio storico che stiamo vivendo in un’occasione per rivoluzionare l’Italia. E da questo punto di vista, la preoccupazione si moltiplica se  ci si pongono alcune domande elementari.

 

Primo: a parte dire di voler spendere i soldi a fondo perduto che arriveranno dall’Europa, e ci mancherebbe, il governo ha offerto o no indicazioni su quali sono le cinque o sei grandi scelte prioritarie per l’Italia del domani, a parte la fuffa della rivoluzione verde?

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Secondo: a parte dire di voler sostenere le imprese, e ci mancherebbe, il governo ha offerto o no indicazioni chiare sulle misure choc da adottare per trasformare la pandemia in un acceleratore del futuro?

 

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Terzo: a parte dire di voler investire sulle infrastrutture, e ci mancherebbe, il governo ha offerto o no indicazioni chiare su quali infrastrutture trasformare nella nuova autostrada del Sole?

 

Quarto: a parte dire di voler ridare fiducia al paese, e ci mancherebbe, il governo ha offerto o no prospettive concrete su come rendere l’Italia un paese più accogliente per gli investitori stranieri?

 

Quinto: a parte dire di voler collaborare con l’opposizione, e ci mancherebbe, il governo, ora che l’opposizione per la prima volta mostra segnali di apertura, cosa aspetta per trasformare i progetti del Recovery plan non in una grande lista della spesa, non nello svuota tasche dei ministeri, ma in una grande vetrina di un nuovo orgoglio italiano?

 

Dare una direzione al governo non solo proteggendo i cittadini dalla pandemia ma anche indicando obiettivi in grado di dare al paese una spinta per ricominciare a sognare. La vera sfida del Pd di Nicola Zingaretti in fondo è tutta qui.

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