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L'intervista

Prima Salvini poi Lamorgese, ora Roma. Ecco il prefetto Piantedosi: "Sono un uomo per tutte le stagioni"

Se gli danno del democristiano non si offende: "E' la natura del mio ruolo". Ma giura che non entrerà mai in politica. L'immigrazione? "E' un problema complesso: serve ascoltare"

Simone Canettieri

Ha scritto i decreti sicurezza, ma è stato anche colui che li ha cambiati: "Lo stato si adegua sempre". Da capo di gabinetto del Viminale ha curato tutte le circolari ai tempi del lockdown e adesso sfida la Capitale: "Voglio rimanere prefetto fino al 2025"

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Allora, lei è un uomo per tutte le stagioni? “Ma vivaddio! Lo stato deve essere così: deve adattarsi”. Bene, allora osiamo ancora di più: lei è un democristiano purissimo, nel senso lato, e non solo perché è il figlio della terra-filiera di Fiorentino Sullo. Si offende? “No, non mi offendo, se intendiamo la cultura della mediazione e dello smussare gli angoli, tipica dell’amministrazione da cui provengo. Anche se, a dirla tutta, non ho ho fatto in tempo a essere democristiano: studiavo”. 

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Allora, lei è un uomo per tutte le stagioni? “Ma vivaddio! Lo stato deve essere così: deve adattarsi”. Bene, allora osiamo ancora di più: lei è un democristiano purissimo, nel senso lato, e non solo perché è il figlio della terra-filiera di Fiorentino Sullo. Si offende? “No, non mi offendo, se intendiamo la cultura della mediazione e dello smussare gli angoli, tipica dell’amministrazione da cui provengo. Anche se, a dirla tutta, non ho ho fatto in tempo a essere democristiano: studiavo”. 

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Dopo un paio d’ore seduti nel suo salotto al secondo piano di Palazzo Valentini non ci sono dubbi: il nuovo prefetto di Roma Matteo Piantedosi è una  pianta grassa delle istituzioni. Sopravvive all’ambiente circostante che cambia, senza scomporsi e senza bisogno di particolari cure (della politica), rimanendo sempre se stesso. Fermo. Forte e fiero della sua natura. E per questo rassicurante. “Sono un funzionario dello stato”, dirà con cadenza regolare durante questa lunga chiacchierata con il Foglio, nel corso della quale si andrà alla caccia, senza apparente fortuna, della stoccata o della frase a effetto rivelatrice. Si chiama ossessione per il titolo, mannaggia.


Eppure basta citare la storia recente della nostra Repubblica: negli ultimi due governi è stato il capo di gabinetto del Viminale. Ha aiutato, dal punto di vista normativo, Matteo Salvini a scrivere i decreti sicurezza e a bloccare navi; ha consigliato, sempre codici alla mano, Luciana Lamorgese a modificare i decreti sicurezza e a essere più accogliente del predecessore. 

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Piantendosi è stato per un certo tempo, prima della nomina, la vera continuità tra il Conte 1 e il Conte 2, forse più del premier medesimo. In quanto invisibile, ma presente e strategico. Come adesso, d’altronde. Visto che si prefigge di svolgere questo ruolo da prefetto nella Roma “covidica” e con il virus della campagna elettorale pronto a esplodere. Il tutto tra periferie in subbuglio, economia a picco, mezzi pubblici che fanno un po’ schifo, cinghiali che scorrazzano tra i rifiuti. 

 

Tuttavia, al solo pensiero, Piantedosi sembra  non sudare. Non ride mai di gusto, anche se il sarcasmo e l’ironia gli sono propri – in bella mostra nel suo ufficio spiccano cornetti anti jella  – come gli abiti sartoriali che indossa.  

 

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Eppure ha avuto anche a che fare con la Bestia salviniana: lui scriveva le circolari del Viminale e dopo poco Luca Morisi e la sua grancassa social trasformavano le norme in grandi slogan acchiappa like sui social che poi diventavano voti e potenza. Che tempi: il Capitano ha fermato l’immigrazione, è finita la pacchia, prima gli italiani.  

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Insomma, mai un imbarazzo, Piantedosi? Silenzio. Smorfia lieve della bocca. 
Allo stesso tempo, appunto, ha accompagnato la Lamorgese nella normalizzazione-restaurazione del Viminale, dopo l’inedita parentesi urla e Papeete di Salvini.

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Bella soddisfazione, Piantedosi? Ancora silenzio. Ancora una smorfia lieve della bocca. Le differenze sono lampanti, ma tra i due c’è un tratto che li unisce? “Sono domande lecite, per carità, ma preferisco parlare di Roma e del futuro, non del passato”. Omissis.
Sicché, forse per compensare, si lascia andare a una confessione: “Mi piacerebbe essere il prefetto che sarà presente all’inaugurazione del Giubileo del 2025. Questo per dire che mi do, salvo errori e imprevisti, un orizzonte lungo, qui in prefettura. Ho cinquantotto anni, non sono a fine carriera. Ho ancora tempo davanti a me. Il mio maestro è stato Enzo Mosino, prefetto del Giubileo del 2000, che poi incontrai a Bologna. Ecco mi piacerebbe ripercorrere le sue orme, ma al contrario”. 

 

Dopo essere sopravvissuto a Salvini, Piantedosi si candida per sopravvivere al futuro sindaco della Capitale. Immortale, come lo spirito della Dc che è autobiografia del paese. Lei è residente a Roma dunque voterà? “Certo”.  

E voterà per migliorare l’amministrazione capitolina? La domanda è birbante perché porta con sé un giudizio in premessa. E allora spunta il prefetto appassionato di ciclismo (possiede cinque bici da corsa) pronto a giocare di freno in discesa, per evitare di prendere eccessiva velocità. “Chi vincerà le prossime elezioni dovrà gestire al meglio una fase importante per la città, tra fondi europei e appunto il Giubileo”. 

 
Pensi che bello se il suo amico Franco Gabrielli avesse accettato la candidatura a sindaco del centrosinistra: Gabrielli sindaco e Piantedosi prefetto. Insieme. Di nuovo. Che coppia.  “Magari vi sareste divertiti voi giornalisti, ma Franco lo ha fatto capire anche con interviste e dichiarazioni pubbliche: il piacere di essere un uomo dello stato per lui, come per me, viene prima di tutto, senza giudicare chi nutre legittime ambizioni politiche”. Come certi magistrati? “Come chi nutre queste ambizioni. Stop”.

 

Durante l’intervista gli squilla il telefono varie volte. Ma non risponde mai, forse non è nulla di fondamentale: nessun autobus flambé, le scale delle metro non hanno inghiottito i pendolari, nessuna rivolta in borgata. Ma si intuisce che è una cortesia per gli ospiti. 
Durante l’intervista i rumori della vita (clacson e sirene spiegate delle forze dell’ordine) lo riportano bruscamente alla sua sfida: Roma. Prefetto, quale aggettivo le viene in mente quando pensa a questa città? “E’ enorme, dal punto di vista della quantità e della qualità. Enorme”. 

 
Ma nel suo intimo si sente adeguato a una sfida del genere? Insomma, senza nulla togliere a chi l’ha preceduta spesso però tutti si sono fermati, si fa per dire, a una gestione dell’ordinario che di per sé è ciclopica e straordinaria. Tuttavia, ormai, per avere una visione di questa città bisogna guardare un film di Sorrentino. “Non faccio professione di rassegnazione, mi sento potenzialmente adeguato, e anche per contratto devo esserlo. C’è la consapevolezza in me della complessità dei problemi, questo sì”. 
Di cosa si è amareggiato in questo mese? “Mi dispiace quando leggo qualcuno che dichiara che lo stato non c’è. Non è così. Dobbiamo manifestarci come presenza sui problemi. Ho un obbligo morale e contrattuale verso i romani”. Ecco cosa dice ai romani? “Non mi vedete, ma ci sono anche io”. 

 
E qui si ritorna al funzionario del colore dei marmi viminalizi che con un tratto di penna dispone e nega. Senza un post su Facebook. Senza rivendicazioni né giustificazioni. La sublimazione dell’entità prefettizia. 

Piantedosi ha gestito, dal ministero dell’Interno, l’emergenza coronavirus. Ha preso parte a riunioni ristrettissime e tesissime in cui si è deciso sulla  libertà degli italiani. Il tutto con sfumature lessicali bestiali. Quanto e come allentare i fili dietro le spalle dei cittadini. Attività motoria e sport, i congiunti e gli affetti stabili. Che ginepraio grottesco. “Ogni volta che c’era un Dpcm, noi avevamo il compito, attraverso le circolari informative, di fissare le regole e le linee di indirizzo per chi doveva far rispettare la legge. Dovevi tener conto di quello che aveva la fidanzata a cinquanta chilometri e che rischiava di non vederla per mesi. Ma anche stabilire che, le cito la formula, i congiunti ‘sono solo quelli che…’ ”. 

 

Insomma, nessuna invidia per questa faticaccia. Anche se Piantedosi va più fiero di un altro lavoro svolto durante l’esplosione della pandemia: “Il difficile equilibrio che trovammo per non bloccare le imprese strategiche, salvaguardando la salute dei lavoratori con prescrizioni molto rigide da far rispettare sui luoghi di lavoro”. Che poi è l’essenza del grande dibattito sul virus. Chi viene prima? “Sta tutto nell’equilibrio. Penso per esempio ai risultati raggiunti per l’ex Ilva”. 

 

Il problema qui è che ci risiamo. E se comunque andrà bene, dal punto di vista sanitario, si metterà male per quello economico. Insomma, si potrebbero citare le circolari scritte da Piantedosi la scorsa primavera sull’allarme criminalità come effetto della crisi. Ma meglio chiedere direttamente a lui, visto che è seduto su questa poltrona. “Come prefetto, in questa fase mi sono dato una priorità: dobbiamo evitare che la criminalità si insinui nella rete pulviscolare delle mille attività commerciali di Roma. L’offerta dei negozi per residenti e turisti si è fermata, in molti casi. E ora le consorterie criminali potrebbero approfittarne: con l’usura, ma anche con subentri per rilevare le attività in difficoltà, per lavare i soldi”. 

 

E quindi come pensa di impedire questo scenario? “Abbiamo avviato una forte rete di controllo, vasta e rigida, per intercettare tutto ciò che si muoverà intorno ai cambi di proprietà delle attività. La mia priorità è questa, adesso. Dobbiamo intercettare questi fenomeni ed espellerli con forza dal sistema”. 

 

Sperando che nel frattempo la politica faccia la sua parte. “Certo, questa è una precondizione”. L’intervista si svolge di venerdì. Alla vigilia della manifestazione contro le mascherine a San Giovanni. “Ah, su questo punto sono inflessibile: vuoi manifestare contro le mascherine? Bene, fallo pure. Ma devi indossare la mascherina. Non è una misura individuale, ma di salvaguardia collettiva”.

 

L’intervista si svolge senza mascherina da parte di entrambi. Ben distanziati, a diversi metri di distanza. “Io però lo chiedo sempre: se uno entra qui e vuole indossarla ci mancherebbe, può e deve farlo. Io non forzo. Anche se le distanze, come vede, sono più che rispettate. Ma prima vengono le sensibilità personali. Pensi che mia suocera, a Bologna, indossa la mascherina anche per stare in casa con il marito. Ognuno fa come vuole. Sempre meglio l’eccesso di zelo, senza dubbio”.

 

A chi ha scritto le circolari del ministero dell’Interno si può anche chiedere cosa ci aspetta nel futuro prossimo. Dobbiamo ritornare a comprare il lievito per la pizza?  Nuovi sacrifici in arrivo? “Penso di sì. Ma non credo che ci sarà un nuovo lockdown. Tutto sta nell’equilibrio tra il non chiudere e l’evitare nuove chiusure. Di sicuro, dal punto di vista sanitario, la risposta per il momento è confortante, o almeno non è preoccupante, come a marzo”.

 

Se è vero che c’è una parte in ciascuno di noi che si è persa per colpa di questo maledetto virus, chissà cosa manca al prefetto della sua vecchia vita. Per esempio, in fondo al suo ufficio c’è una maglietta verde dell’Avellino, la squadra di calcio per cui tifa, che gli regalò Franco Colomba, ‘o professore  quando si incontrarono a Bologna. Le manca lo stadio? “No, questo no, perché da tempo sono solo un fruitore televisivo del calcio. Però quando passeggio in questa zona, magari nei pressi del Viminale, mi viene tristezza se penso che tante saracinesche non saranno più riaperte dalle persone che c’erano prima. Il protrarsi di questa situazione, ci cambierà la vita anche in questo senso. Me ne dolgo”.

 

Siccome è tutto politico, purtroppo o per fortuna, ci incuriosisce il rapporto con Virginia Raggi, la sindaca che punta al bis e che potrebbe rigenerarsi dalla gestione di una seconda ondata. Insomma, Raggi la chiama, le chiede consigli, vi sentite tutti i giorni? “I rapporti sono ottimi come da contratto, se mi passa una battuta. Siamo entrambi adempienti rispetto agli obblighi che le istituzioni ci hanno prefissato. Comunque sì, c’è un’interlocuzione quotidiana con la sindaca: normale, come vogliono le regole. E, anticipo la seconda domanda, la stessa cosa è con il governatore della regione Lazio, Nicola Zingaretti”.

 

Il bravo prefetto è colui che si impone sulla politica passando però da arbitro, da soggetto terzo: le piace questa definizione? “Ci sta. Parlo per me, ma ho sempre avuto interlocutori rispettosi della mia storia personale e delle mie funzioni. Persone che, nonostante l’empatia, non si sono mai spinti oltre. Anche io sono sempre stato consapevole, quando stavo al ministero, che la linea fosse impartita dalla politica e che non esistesse la possibilità di fare obiezione di coscienza. Ma è una condizione soddisfacente, se c’è rispetto reciproco”.

 

Chissà se ce l’ha con Salvini. Chissà se, senza volerlo, Piantedosi ha risposto alla curiosità di chi si domanda ancora: ma come avrà a fatto a reggere una propaganda del genere, lui che è un uomo così sobrio e non è certo un ultras dislocato al  Viminale? Rimarrà questo dubbio. Così come la consapevolezza che certe frasi, taluni concetti lasciati cadere sul tavolo, con grazia, sono parte della storia democristiana che Piantedosi ha visto e respirato. “Mio padre aveva un’amicizia personale con Gerardo Bianco e Fiorentino Sullo. Quella d’altronde è la storia di una generazione che in un’Irpinia poverissima intercettò la crescita. Penso a De Mita, certo. Ma anche a Maccanico e Sandulli: persone che vissero e aiutarono il territorio a riscattarsi. In quegli anni una delle zone con il reddito pro capite più basso del paese, ma non per questo privo di cultura”. E così il Piantedosi, enfant du pays, si fa per un attimo fiero. “Nonostante questo, Avellino espresse due ministri già nel Regno d’Italia: Francesco De Santis, il padre della critica letteraria, e Paolo Emilio Imbriani”. Lei si sente  nel solco di questa gens irpina? “Certo, ci manca solo che dica una cosa del genere. Non sono un mitomane”. Ha sfiducia nella politica, lo dica. “No, preferisco mantenere il mio ruolo terzo: non scenderò mai in politica”. Perfetto, questa rimane a verbale. “Sono consapevole del rischio, ma tanto farò sempre questo lavoro”.

 

Intanto, Roma, qui fuori, chiama. Ancora clacson. Caos. Bisogna ritornare alla gestione dell’ordinario che è sempre straordinario. Via con la raffica di domande: servono più poliziotti e carabinieri in città? “No. Anche se non  se ne fa mai a meno delle forze dell’ordine”. Cosa risponde a chi dice Roma non è sicura? “Bisogna rassicurare i cittadini e dire lo che lo stato c’è. Serve un coinvolgimento finale delle persone. E’ un lavoro articolato, senza slogan”. Gestione dei migranti: pugno duro o ascolto e accoglienza? “Roma è la complessità per antonomasia e dunque anche sull’immigrazione serve una risposta corale per capire e risolvere il fenomeno. Appena mi sono insediato ho riunito la Caritas, Sant’Egidio e altre associazioni di volontariato: questo fenomeno va gestito insieme, senza soluzioni preconfezionate. Ma lo sa che a Roma ci sono circa ottomila senzatetto, molti dei quali anche per scelta? Nelle mie prime settimane ho sbaraccato un insediamento abusivo: migranti, cittadini europei, ma anche italiani che vivevano per strada. A tutti abbiamo offerto una soluzione”.

 

Dovrà farlo allora anche per i rom: i campi vanno chiusi, lo dice l’Europa. La stessa Europa che ci indica il ricollocamento nelle case per le famiglie rom. “Ho ben idea del problema: i campi vanno chiusi e chi vi abita ricollocato”. Ci dice, visto che c’è, quando sgombera i neofascisti di CasaPound dall’immobile dell’Esquilino? “Il termine sgombero mi piace poco, troveremo una soluzione per tutte le occupazioni. E anche CasaPound lascerà l’immobile, vedrete”.

 

Piantedosi non ha chiesto di rileggere l’intervista, ma ieri in serata ha inviato questo messaggio: “Parli mali di me, se può, almeno un po’. Limita l’antipatia nel mio ambiente”.     

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