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"Extra Pd nulla salus"

L'eternità del Pd. Finito, diviso: "E invece siamo destinati a durare". Lo spiega Bettini

Carmelo Caruso

Resistono ai cambi di leader, alle uscite, alle sconfitte. E' la classe dirigente che riesce ad adattarsi al tempo. E ora "Zingaretti è il nostro Mosè". Il Pd come ingegneria politica

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E' sempre in procinto di morire ma rimane in vita come Venezia che l’acqua sommerge ma mai travolge. Sono le direzioni, il “qui ci serve un congresso” il vero Mose del Pd, il prodigio ingegneristico che lo protegge dall’allagamento. “E al posto del Mose adesso noi abbiamo un Mosè che ci guida” dice Goffredo Bettini al Foglio. Zingaretti è il vostro Mosè? “Questo lo dite voi”. E però lo pensa lui che pensa anche che il Pd sia il partito che ha come statuto quello di caricarsi il mondo sulla testa, il privilegio come castigo. “E’ il nostro destino. Il nostro vivere coincide con il permanere della democrazia italiana”.

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E' sempre in procinto di morire ma rimane in vita come Venezia che l’acqua sommerge ma mai travolge. Sono le direzioni, il “qui ci serve un congresso” il vero Mose del Pd, il prodigio ingegneristico che lo protegge dall’allagamento. “E al posto del Mose adesso noi abbiamo un Mosè che ci guida” dice Goffredo Bettini al Foglio. Zingaretti è il vostro Mosè? “Questo lo dite voi”. E però lo pensa lui che pensa anche che il Pd sia il partito che ha come statuto quello di caricarsi il mondo sulla testa, il privilegio come castigo. “E’ il nostro destino. Il nostro vivere coincide con il permanere della democrazia italiana”.

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E lascia intendere che pure questo permanere è un paragrafo dello statuto, un altro dei comandamenti. E infatti, lunedì, in segreteria, quando si sorrideva per avere strappato alla Lega i comuni di Legnano, Lecco, Corsico, Saronno (“adesso anche la Lombardia è contendibile”) qualcuno è andato a riprendere dal cassetto l’atto di nascita, la carta di fondazione che è un altro dispositivo di sicurezza, la formula elettromeccanica che garantisce ancora l’unità: “Lo hanno redatto Pietro Scoppola, Salvatore Vassallo e Roberto Gualtieri. Ha già dodici anni”.

 

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E raccontano che alla parola dodici sia stato un po’ come ragionare di eternità e che tutti gli uomini e le donne di Nicola Zingaretti si sono promessi altri anni ancora di tormento e di veleni: “I leader sono passati ma il partito alla fine è rimasto”. Il più allegro ha allora paragonato il partito alla chiesa romana che è l’istituzione più malandata ma longeva della terra e dunque “extra Pd nulla salus”. Doveva scomparire in Emilia-Romagna, capitolare in Puglia, estinguersi definitivamente in Toscana e invece alle europee ha preso quattro punti in più delle elezioni politiche e a furia di fare il partito subalterno non sta lasciando alternative al M5s.

 

Nel Pd, dove da mesi si discute della natura di Zingaretti, adesso si parla della sua indubitabile fortuna. Per Ugo Sposetti va detto: “E’ un uomo fortunato”. Al governo è arrivato per colpa di Matteo Salvini e per merito di Matteo Renzi, ma poi, spiega Nicola Oddati che del partito è il coordinatore dell’iniziativa politica, “Nicola ha avuto la forza di sdoganare l’alleanza con il M5s”. Si sono convinti anche loro che nell’elica genetica del Pd ci sia qualcosa che lo ha reso immune e che malgrado la sua storia, che non è altro che una storia di traumi e segreterie interrotte, è destinata a continuare oltre l’uomo che è nulla se si confronta con la grandezza dello spirito. Per Arturo Parisi, padre fondatore, alla fine tutto si riduce a un problema di altezze: “Se in un mondo di nani il meno piccolo può apparire un gigante, è ragionevole che in un sistema di partiti precari e volatili come mai, un partito come il Pd, che ha scommesso tutto sulla durata, possa apparire eterno”. E però, c’è di più. In dodici anni ha sopportato leader che hanno portato la loro tenda fuori (Romano Prodi), segretari stizziti che hanno lasciato e promesso la fuga in Africa (Walter Veltroni).

 

“E non dimentichiamo un tentativo d’omicidio. Renzi ce l’ha messa tutta per farlo morire” sostiene Sposetti che guarda ancora al Pd come guarda i libri di Gramsci nella sua libreria. E invece, alla fine, anche Renzi potrebbe rientrare e Stefano Bonaccini non lascerà Bologna per prendere il posto di Zingaretti che oggi è tanto sicuro da poter concedere perfino un congresso. “E’ auspicabile, in linea teorica, un momento di riflessione che consacri il Pd ‘piazza grande’” anticipa Oddati. Ed è un altro che come Zingaretti non avrebbe dovuto esserci “perché dopo le regionali, si salterà”. E invece. Dicono che lunedì, l’euforia era così tanta, che al Nazareno hanno stilato l’elenco di quelli che non ce l’hanno fatta. “Mussi, Rutelli, Bersani, D’Alema …”. 

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Claudio Mancini, deputato che a Roma pesa quanto un ministro, la mette così: “Abbiamo gli anticorpi. Siamo antichi”. E quella antichità che per Parisi è “disponibilità della più grande sezione di professionisti politici fidelizzati e disciplinati. Ma in questo momento, in una democrazia fondata sulla rendita di posizione, chi dispone di una porzione di voti stabile, non vince mai, non perde mai, ma siede stabilmente al tavolo dei consociati”. Andrea Orlando e Gianni Cuperlo, altri due eterni, hanno scoperto l’online e da poche settimane offrono lezioni di politica e amministrazione. Come si vede si adattano ai tempi come si adatta questo partito che spiega Bettini “non può essere libertino e sregolato. Veniamo rimproverati per tutto ma resistiamo a tutto. Noi siamo un’opera di alta ingegneria fatta di circoli ed eredità politica, insomma viti e bulloni. Siamo destinati all’eternità”. Non erano i democristiani. Sono loro i più vicini a Dio.

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