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Ondata di ritorno? Prudenza sì, panico no

E’ inevitabile essere terrorizzati nella stagione della convivenza con il virus? No. Perché ci sono ancora buone ragioni per non essere pessimisti sul futuro e per fidarsi della disciplina italiana

Claudio Cerasa

Essere attenti, giudiziosi e vogliosi di combattere ogni forma di cialtro-libertarismo è condizione necessaria per affrontare i prossimi mesi senza isterie. Ma essere coscienti del contesto in cui viviamo è altrettanto necessario per affrontare con consapevolezza la stagione in cui ci troviamo oggi. E per provare in che senso l’emergenza di oggi è infinitamente diversa dall’emergenza di ieri occorre mettere insieme i puntini. Si scoprirà che ci sono  ragioni per fidarsi  della disciplina  italiana (e ora più Immuni, please)

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Prudenza sì, panico no. Il graduale, progressivo, anche se ancora non preoccupante, incremento di contagiati registrati in Italia negli ultimi giorni (da due giorni siamo intorno a quota 2.500) ha avuto l’effetto di proiettare il nostro paese in una dimensione pericolosa dominata da un sentimento che si trova a metà tra la paura e il panico. Paura perché, nella testa di ciascuno di noi, il numero di contagiati tende a essere identificato sempre con il numero di malati. E panico perché, nella testa di ciascuno di noi, la progressione dei contagiati tende a essere identificata come un indizio capace di riportare le lancette dell’Italia alla stagione del lockdown. Essere attenti, giudiziosi e vogliosi di combattere ogni forma di cialtro-libertarismo è condizione necessaria per affrontare i prossimi mesi senza isterie. Ma essere coscienti del contesto in cui viviamo è altrettanto necessario per affrontare con consapevolezza la stagione in cui ci troviamo oggi. E per provare in che senso l’emergenza di oggi è infinitamente diversa dall’emergenza di ieri occorre mettere insieme i puntini.

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Prudenza sì, panico no. Il graduale, progressivo, anche se ancora non preoccupante, incremento di contagiati registrati in Italia negli ultimi giorni (da due giorni siamo intorno a quota 2.500) ha avuto l’effetto di proiettare il nostro paese in una dimensione pericolosa dominata da un sentimento che si trova a metà tra la paura e il panico. Paura perché, nella testa di ciascuno di noi, il numero di contagiati tende a essere identificato sempre con il numero di malati. E panico perché, nella testa di ciascuno di noi, la progressione dei contagiati tende a essere identificata come un indizio capace di riportare le lancette dell’Italia alla stagione del lockdown. Essere attenti, giudiziosi e vogliosi di combattere ogni forma di cialtro-libertarismo è condizione necessaria per affrontare i prossimi mesi senza isterie. Ma essere coscienti del contesto in cui viviamo è altrettanto necessario per affrontare con consapevolezza la stagione in cui ci troviamo oggi. E per provare in che senso l’emergenza di oggi è infinitamente diversa dall’emergenza di ieri occorre mettere insieme i puntini.

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Primo punto. Oggi sappiamo che l’80 per cento dei contagiati è asintomatico, mentre durante l’emergenza vera i positivi che venivano rintracciati erano quelli che stavano già male. Oggi sappiamo che le strutture sanitarie hanno una capienza tale da poterci proteggere almeno fino all’arrivo del vaccino e sappiamo anche che  il tasso di saturazione delle terapie intensive in Italia è circa dell’8 per cento. Oggi sappiamo che l’Italia ha messo in lavorazione in 457 ospedali e 176 aziende sanitarie 1.044 cantieri per aggiungere 3.443 posti letto in terapia intensiva e 4.123 in sub-intensiva, con la metà di questi trasformabile se necessario in terapia intensiva, portando una dote di 5.500 posti in più da destinare ai pazienti più gravi, arrivando così a una capacità di 13 mila posti letto in terapia intensiva, pari al 115 per cento in più rispetto a ciò di cui disponeva l’Italia all’inizio della pandemia. Oggi sappiamo che l’Italia effettua un numero elevato di tamponi anche se su questo fronte sembra aver perso terreno in Europa – nella settimana che va dal 21 al 27 settembre, l’ultima di cui si hanno dati omogenei in tutta Europa, la Germania ha effettuato una media di 155 mila test al giorno, la Francia 132 mila, la Spagna 100 mila, l’Italia circa 93 mila, anche se ieri il numero di tamponi registrato è incoraggiante e per la prima volta è superiore a 120 mila. Oggi sappiamo che l’Italia, insieme con altri paesi europei, ha firmato con AstraZeneca un contratto per avere le prime dosi di vaccino entro la fine del 2020 e sappiamo che AstraZeneca ha confermato di essere in grado di rispettare quel contratto. E ancora. Oggi sappiamo che laddove il virus ha colpito in modo  letale durante la fase più critica – ovvero le Rsa, dove si è registrato circa il 40 per cento dei decessi del nostro paese – le misure di prevenzione sono tali da rendere le persone più vulnerabili meno esposte al virus e i dati messi insieme dall’Iss, tra il 2 settembre e il 2 ottobre, da questo punto di vista sono incoraggianti: in questo arco di tempo, i casi di Covid-19 segnalati (in tutto 40.512) hanno riguardato solo al 9,89 per cento persone di età superiore ai 70 anni e sappiamo che tra questi i casi cosiddetti “critici” sono un numero molto limitato, e tra gli over 80 sono poco meno del 3 per cento dei contagiati. Sappiamo questo ma sappiamo anche altro. Sappiamo, per esempio, che tutto sommato l’Italia resta un paese disciplinato e sappiamo che ci sono buone possibilità che le nuove misure introdotte sulle mascherine obbligatorie (per ora solo nel Lazio, speriamo presto in tutta Italia) vengano ancora una volta rispettate – nella giornata del primo ottobre, leggiamo dal sito del Viminale, ci sono stati 59.716 controlli delle forze dell’ordine, nell’ambito delle operazioni finalizzate al contenimento del Covid-19, e tra i controllati solo in 30 sono stati sanzionati.

 

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Sappiamo poi che i test sugli anticorpi monoclonali portati avanti a Siena dal polo della Toscana Life Sciences potrebbero dare buoni risultati entro pochi mesi permettendo all’Italia di essere all’inizio del 2021 nelle condizioni per industrializzare una cura. Sappiamo che utilizzare la mascherina è molto scomodo, sì, ma sappiamo anche che il suo utilizzo costante può attivare un processo di immunizzazione, permettendo, come illustrato da una teoria del New England Journal of Medicine, a poche particelle virali di passare e penetrare nelle vie respiratorie di chi le indossa. Sappiamo questo. Ma sappiamo soprattutto che il tracciamento continua a portare risultati incoraggianti e lo si capisce bene dai dati messi insieme tra il 14 e il 20 settembre ancora dall’Istituto superiore di sanità che ha calcolato una percentuale interessante: il 27,6 per cento dei nuovi casi diagnosticati in Italia è stato identificato tramite attività di screening, mentre il 35,8 per cento è stato diagnosticato nell’ambito di attività di contact tracing.

 

La lezione che ci offre quest’ultimo dato è più che chiara e ci riporta alla ragione per cui il Foglio oggi ha scelto di essere avvolto da una copertina speciale. Avere più tracciamento significa avere più protezione. Avere più protezione significa più libertà. Che aspettiamo a scaricare Immuni?

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