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Nella cavea del leone

Confidustria striglia il governo. E Conte (in privato) riprende Bonomi

Il Foglio nella sala dell’Auditorium. Il capannello di Bonomi, la frase sussurrata da Conte all’orecchio del capo degli industriali

Simone Canettieri

Prove di convergenza tra industriali e governo, ma niente brindisi. Flash dall’Auditorium: l’ironia feroce degli imprenditori, l’imbarazzo di Di Maio sul Mes, l’umiltà di Patuanelli (e Monti che se la ride)

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“Se mi sono sentito pungolato da Confindustria?”. Pausa. Poi Giuseppe Conte, prima di lasciare l’Auditorium, forse cambia la risposta che vorrebbe dare di getto. Non è disteso. Ma si fa diplomatico. E al Foglio dice: “E’ stato un confronto positivo, diciamo”.  Carlo Bonomi lo ha appena accompagnato all’uscita. Gentilezza di rito. Foto. Tuttavia,  il premier gli contesta (in un orecchio) un passaggio del suo discorso: “Quest’estate non  ho detto se falliamo la partita del Recovery, fallisce il governo. Ho detto che  fallirebbe l’Italia”. Saluti. L’assemblea di Confindustria  finisce così. Senza nemmeno un buffet condiviso tra ospiti e padroni di casa. Piangono i panini imbottiti di salmone.

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“Se mi sono sentito pungolato da Confindustria?”. Pausa. Poi Giuseppe Conte, prima di lasciare l’Auditorium, forse cambia la risposta che vorrebbe dare di getto. Non è disteso. Ma si fa diplomatico. E al Foglio dice: “E’ stato un confronto positivo, diciamo”.  Carlo Bonomi lo ha appena accompagnato all’uscita. Gentilezza di rito. Foto. Tuttavia,  il premier gli contesta (in un orecchio) un passaggio del suo discorso: “Quest’estate non  ho detto se falliamo la partita del Recovery, fallisce il governo. Ho detto che  fallirebbe l’Italia”. Saluti. L’assemblea di Confindustria  finisce così. Senza nemmeno un buffet condiviso tra ospiti e padroni di casa. Piangono i panini imbottiti di salmone.

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Sotto, nella cavea del gioiellino di Renzo Piano – dove però non prendono i cellulari e tutti vanno in crisi d’astinenza da WhatsApp   – rimangono i leoni. Il governo – l’agnello sacrificale – ha lasciato la fossa. L’ultimo a salutare è Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia e capodelegazione del M5s. Stringe mani come a un matrimonio siciliano. Il Guardasigilli ripete a tutti la stessa formula: “Farò del mio meglio per velocizzare i processi civili”. E poi via, rapido, anche lui.

 

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I confindustriali invece se la ridono, sotto al palco. Ecco gli ex presidenti Vincenzo Boccia ed Emma Marcegaglia e quello nuovo della Lombardia, Marco Bonometti. Capannello. Soddisfazione diffusa per com’è andata. Complimenti a Bonomi. Battuta velenosa caduta sul taccuino: “Praticamente se Conte ce la farà saranno stati bravi loro, se non ce la farà siamo stati stronzi noi”. Risata collettiva.
Che non sarebbe stata una passeggiata per l’esecutivo si sapeva. Nonostante Confindustria abbia concesso due interventi al governo (al ministro Stefano Patuanelli, applaudito per “l’umiltà”, e a Giuseppe Conte, meno applaudito) mettendosi in minoranza. Parla solo Bonomi. Ma basta lui. Perché i messaggi che lancia sono siluri che vanno a segno, fanno titolo. 

 

La fortuna di essere l’unico giornale a entrare nell’assemblea, tra le poltrone rosse ben distanziate, è tutta qui: osservare le reazioni degli ospiti seduti su aghi di spillo. 

 

Come quando il presidente di Confindustria quasi urla che “dire no al Mes sarebbe un danno per il paese”. In prima fila Nicola Zingaretti applaude convinto, al contrario del ministro Roberto Gualtieri. Alla  destra di Zingaretti, Luigi Di Maio rimane immobile (e si tocca un orecchio), di sale Bonafede, imperturbabile Virginia Raggi (la sindaca di Roma è presente e subito c’è chi maligna: “Non si era mai vista a questi eventi, ma è in campagna elettorale, eh”). A sinistra della prima fila, applaudono, e con insistenza, la presidente del Senato Elisabetta Casellati e la ministra renziana Teresa Bellanova (“E comunque basta con l’assistenzialismo”, ci dice con tono perentorio).  E’ un passaggio complicato, questo. E lo  sanno tutti. Zingaretti  mette un piede nella cavea e sdrammatizza alla sua maniera: “Se sono agitato? Ma no, si sono dati tutti una calmata, dopo le elezioni”. Sarà. Entra anche Conte e saluta il leader dem: “Nicola quando ci vediamo? Dobbiamo parlare”. “La settimana prossima, per me è ok, ora ho i ballottaggi”. Di Maio non poteva mancare (ma se ne andrà prima del discorso del premier) anche se Bonomi dal palco distrugge il reddito di cittadinanza (“va smontato”). Il ministro degli Esteri scherza e parlotta con il segretario del Pd. Questa è facile: è il patto dell’Auditorium? “Macché, una volta i patti duravano anni, ormai è tutto liquido e veloce”, ci risponde, con furbizia partenopea.  Mario Monti sembra felice per quello che sta per ascoltare dalla bocca di Bonomi: “Commenti? Ah, che bella giornata”. Stop.

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Dal palco, il presidente di Confindustria dice a Conte che se sbaglia il Recovery va a casa il paese, non lui. E poi basta con il “Sussidistan”, servono coraggio e scelte controvento, per non parlare delle tasse. Patuanelli dice sì al Patto per l’Italia (lanciato da Bonomi), chiede scusa per gli errori e i ritardi e giura che vuole mettercela tutta perché ha tre figli e un domani non vorrà sentirsi dire: “Papà dov’eri?”. Applausi. E complimenti. Anche di Mara Carfagna. Conte, stretto tra i due interventi, si prende i meriti della gestione della pandemia e annuncia strutture ad hoc per la gestione del Recovery (modello Expo). In sala ci sono anche i grand commis di stato come Luigi Carbone, capo di gabinetto di Gualtieri al Mef. “La morale? E’ una convergenza complicata, in salita, ma è un primo passo. Il Mes? Vedremo se davvero ci servirà”. Rimane il buffet intonso. La solitudine delle flûte.

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