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I simpatici fischi per fiaschi del popolo del No

Giuliano Ferrara

Dai tempi del voto-subito, poco più di un anno fa, il partito della gnagnera ne ha sbagliate parecchie. Da Rep. a Calenda alla lagna sul Pd. Da dove nasce l’intolleranza per una politica modesta ma operosa (e non superba)

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Quelli del no, a parte i fasulli che sono dappertutto, anche nel sì ovviamente, hanno simpaticamente preso fischi per fiaschi. Molinari deve prendersi un consulente politico, perché il commento di ieri faceva pena. Non è più complicato di così. Hanno detto che ci sarebbe stata una nuova grande festa populista e antiparlamentare. Non c’è. Hanno detto che doveva essere un referendum contro i grillini. Non ce n’era bisogno, come si vede agevolmente oltre la nebbia del risentimento e del temperamento caratteriale. Hanno detto che la Costituzione non si cambia così, il che è vero salvo il fatto che è il primo cambiamento in mezzo secolo, il poco del possibile, al quale seguirà qualche aggiustamento importante, il possibile del poco, spero prima di un altro mezzo secolo. Hanno detto che un Parlamento meno affollato è la morte del Parlamento, si accorgeranno della verità dell’opposto. Hanno detto che il Pd è a rimorchio di Gribbels, o ex Gribbels, e palesemente non era vero. Hanno detto che per governare ci vuole un’anima, e questa fa decisamente ridere: ci vuole un comportamento credibile in un dato concorso di circostanze, punto. Da quando erano voto-subitisti, poco più di un anno fa, ne hanno sbagliate parecchie. Molta gnagnera contro Zingaretti e Franceschini e Bettini, che secondo loro si riparavano per governismo deteriore dietro al fantasma di Salvini, ma i capi del Pd e del governo Bisconte hanno indebolito la demagogia, tutelato la sanità pubblica in periodo di crisi nera, affrontato i problemi principali di un’economia alla frutta e di una condizione sociale allarmante, rafforzato e rilanciato l’Italia nel quadro di una grande svolta europea: la prospettata riforma del trattato di Dublino, tra l’altro, vale più del ritocco o del rovesciamento di circolari sulla sicurezza emesse da un Truce in autoaffondamento pertinace e grifagno, già di fatto superate dalla condotta dell’Interno guidato da Lamorgese. 

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Quelli del no, a parte i fasulli che sono dappertutto, anche nel sì ovviamente, hanno simpaticamente preso fischi per fiaschi. Molinari deve prendersi un consulente politico, perché il commento di ieri faceva pena. Non è più complicato di così. Hanno detto che ci sarebbe stata una nuova grande festa populista e antiparlamentare. Non c’è. Hanno detto che doveva essere un referendum contro i grillini. Non ce n’era bisogno, come si vede agevolmente oltre la nebbia del risentimento e del temperamento caratteriale. Hanno detto che la Costituzione non si cambia così, il che è vero salvo il fatto che è il primo cambiamento in mezzo secolo, il poco del possibile, al quale seguirà qualche aggiustamento importante, il possibile del poco, spero prima di un altro mezzo secolo. Hanno detto che un Parlamento meno affollato è la morte del Parlamento, si accorgeranno della verità dell’opposto. Hanno detto che il Pd è a rimorchio di Gribbels, o ex Gribbels, e palesemente non era vero. Hanno detto che per governare ci vuole un’anima, e questa fa decisamente ridere: ci vuole un comportamento credibile in un dato concorso di circostanze, punto. Da quando erano voto-subitisti, poco più di un anno fa, ne hanno sbagliate parecchie. Molta gnagnera contro Zingaretti e Franceschini e Bettini, che secondo loro si riparavano per governismo deteriore dietro al fantasma di Salvini, ma i capi del Pd e del governo Bisconte hanno indebolito la demagogia, tutelato la sanità pubblica in periodo di crisi nera, affrontato i problemi principali di un’economia alla frutta e di una condizione sociale allarmante, rafforzato e rilanciato l’Italia nel quadro di una grande svolta europea: la prospettata riforma del trattato di Dublino, tra l’altro, vale più del ritocco o del rovesciamento di circolari sulla sicurezza emesse da un Truce in autoaffondamento pertinace e grifagno, già di fatto superate dalla condotta dell’Interno guidato da Lamorgese. 

 

Questa insalata di errori, da sinistra e da destra confuse, nasce dall’intolleranza per una politica modesta ma operosa e non superba, senza anima da sbandierare ma attaccata a una certa ordinaria fatticità in contrasto con l’abuso di idealità. La vitalità del populismo contemporaneo, in questo erede diretto dei movimenti totalitari anni Trenta, è tutta nell’ideale: nazione, purezza o integrità etnica, simbolo, popolo eccetera; la sua malattia è il riconoscimento del reale, la presa d’atto, la compatibilità, il compromesso. Se il senatore Salvini si decidesse a togliersi la felpa e a scendere dalla ruspa, visto che credibilmente non può ormai fare altro, ricomincerebbe un gioco democratico sensato tra governo e opposizione, tra potere di agire e potere di controllo. Se Renzi e Bersani e l’ottimo Speranza preparassero il rientro, se D’Alema o Calenda si candidassero a nuove vite come sindaco di Roma, visto che con la politica hanno direi, diciamo, chiuso, se la Bonino entrasse come me nella bolla della retraite, oh gioia grande! Altro che stare lì a Okinawa come gli ultimi giapponesi a combattere idealisticamente contro quei bravi ragazzi scappati di casa e capitati nella politica, con discreto successo, ammettiamolo, sulle orme di un comico annoiato.

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