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editoriali

Dal grande allarme a “non è successo niente”

redazione

L’endorsement dei giornali del No che ora dicono: il populismo ha perso

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Uno degli insegnamenti che non si dovrebbero mai scordare del grande Paolo Mieli è che è meglio non schierare un grande giornale con un endorsement in mare aperto, tanto più se rischioso nell’esito, come una scommessa su dove soffierà il vento. La volta che lo fece, Mieli, con Romano Prodi, gli costò una paziente e faticosa manovra marinaresca per rimettere in rotta la corazzata Solferino. Anche la corazzata Repubblica era stata schierata, qualche settimana fa, per il No secco e ultimativo al referendum contro il devastante rischio del taglio populista. Il giornale di Largo Fochetti ha però optato, ieri, per una brusca strambata per riprendere il vento impetuoso del 70 per cento degli italiani che hanno detto Sì, e l’effetto è un poco straniante. L’editoriale del direttore si intitolava “Se cala il vento del populismo”. E si sostanziava del fatto che, rispetto alle passate tornate elettorali, M5s e Lega hanno perduto consensi.

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Uno degli insegnamenti che non si dovrebbero mai scordare del grande Paolo Mieli è che è meglio non schierare un grande giornale con un endorsement in mare aperto, tanto più se rischioso nell’esito, come una scommessa su dove soffierà il vento. La volta che lo fece, Mieli, con Romano Prodi, gli costò una paziente e faticosa manovra marinaresca per rimettere in rotta la corazzata Solferino. Anche la corazzata Repubblica era stata schierata, qualche settimana fa, per il No secco e ultimativo al referendum contro il devastante rischio del taglio populista. Il giornale di Largo Fochetti ha però optato, ieri, per una brusca strambata per riprendere il vento impetuoso del 70 per cento degli italiani che hanno detto Sì, e l’effetto è un poco straniante. L’editoriale del direttore si intitolava “Se cala il vento del populismo”. E si sostanziava del fatto che, rispetto alle passate tornate elettorali, M5s e Lega hanno perduto consensi.

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Peccato che i sostenitori del Sì “populista” abbiano stravinto e dire, dopo essersi schierati contro con allarme, che i populisti non hanno vinto pur avendo vinto, è una bella acrobazia. Sono manovre che è meglio lasciar fare a giovani e piccoli vascelli. Il debenedettiano Domani, ad esempio, schieratosi sul No appena nato, ieri titolava: “Il declino dei populisti. Vincono il referendum ma perdono il paese”, con la stessa manovra di navigazione a vista. Ma loro hanno il domani davanti, cresceranno. Si vorrebbe qui dire, senza maramaldeggiare, che la questione è un po’ più complessa e avrebbe dovuto essere maneggiata con più cura, prima del voto. Ad esempio mettendo lì, tra le ipotesi non ultimative, che la prevedibile vittoria del Sì non sarebbe stata la campana a morto per la democrazia e che – su questo si può condividere la lettura di Maurizio Molinari – il taglio dei parlamentari è probabilmente l’ultimo scalpo che la subcultura della scatola di tonno e del papeetismo hanno ottenuto. E che un possibile compito delle altre forze politiche era, anziché esporsi alla sconfitta, provare ad assorbirne gli effetti. Cosa che, con un po’ di ottimismo, potrebbe persino accadere, ora. Dare l’allarme anti populista per poi dire che non è successo niente, è una scorciatoia poco utile.

 

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