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Il futuro di Renzi

“Andarsene è stato un errore, Renzi ha sbagliato e ora lo sa anche lui”

Andrea Romano, portavoce di Base Riformista, sulla sconfitta di Iv: “Oggi non c’è spazio per il partiti personali”

David Allegranti

Un anno e mezzo fa scrisse una lettera di dieci pagine per spiegargli perché era un errore la scissione. "Non mi ha ascoltato. Rimanere nel Pd è stata la scelta giusta"

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Gli aveva pure scritto una lettera, un anno e mezzo fa, lunga dieci pagine, per dire che andarsene sarebbe stato un errore. Andrea Romano, portavoce di Base Riformista, ha fatto con l’ex sindaco di Firenze Matteo Renzi un pezzo di strada importante ma non ha mai condiviso la scissione di Italia viva. Il risultato di queste elezioni regionali sembra dare ragione a lui e agli altri che sono rimasti dentro il Pd.

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Gli aveva pure scritto una lettera, un anno e mezzo fa, lunga dieci pagine, per dire che andarsene sarebbe stato un errore. Andrea Romano, portavoce di Base Riformista, ha fatto con l’ex sindaco di Firenze Matteo Renzi un pezzo di strada importante ma non ha mai condiviso la scissione di Italia viva. Il risultato di queste elezioni regionali sembra dare ragione a lui e agli altri che sono rimasti dentro il Pd.

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“Non c’è spazio oggi per i partiti personali. Rimanere nel Pd è stata la scelta giusta. Renzi non mi ha ascoltato”, dice  al Foglio. Il ragionamento, dice Romano, vale per Renzi ma anche per Carlo Calenda. Il condominio liberale è affollato ma non molto consistente. Italia viva, Azione, +Europa. “Questa discussione si riallaccia a quella vecchissima sul Terzo polo. E’ però una discussione teorica, che va calata nella realtà”. E un conto, dice Romano, “erano i Popolari degli anni Novanta, eredi della tradizione democristiana. Un altro conto era Mario Monti. Quello era sì un partito personale, ma Monti, nel bene e nel male, ha salvato l’Italia”. Quel che è nato, nello spazio tra Pd e Cinque stelle e Lega, non è evidentemente sufficiente, anche perché – spiega Romano – “il Pd non è quella caricatura che ne fanno i nostri avversari. Siamo un partito plurale, non siamo diventati Podemos”. 

 

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Nel condominio liberale, invece, “hai una sommatoria di avventurismi personali. C’è Emma Bonino, che è l’erede di una storia esaurita. C’è Renzi che - con tutto il bene che gli voglio ma lo devo dire, seppur a malincuore - ha sbagliato. E’ un dato di fatto conclamato ormai. Ed è la prova che è stato giusto stare nel Pd. La nostra è stata una scommessa costruita insieme a Renzi: non era legata alla persona di Renzi ma a una battaglia culturale. Su Calenda stendo un velo pietoso. Su di lui e sulla sua gigantesca arroganza ai limiti della mitomania. Un personaggio che pretende di essere l’erede di Ferruccio Parri e di tutti i riformismi e non riesce a superare l’1,5 per cento. Il caso di Calenda rientra nella lunga galleria dei fenomeni social-mediatici destinati a scomparire. Ma niente di tutto questo ha, ovviamente, a che fare con il tema dei moderati, al quale non ho mai creduto peraltro. Tutti siamo moderati. Ma ammesso che ci sia, un elettore moderato, come farebbe a votare per Calenda, che bastona la gente sui social?”. Nel caso di Renzi, invece, Romano lo dice sempre “a malincuore”, c’è stato “un errore strategico che ha fatto un anno fa, contraddicendo purtroppo la sua scommessa di un Pd grande e plurale. Un errore strategico di cui credo che si sia già pentito, in cuor suo. Perché è una persona che sa fare politica e questo è un grande errore politico”. 

 

Il risultato di Italia viva in Toscana, dice Romano, “deve far riflettere. Gli elettori di Italia viva così come quelli dei Cinque stelle hanno giustamente votato per il Pd. Sono più lucidi dei dirigenti politici e hanno premiato un grande partito popolare come il Pd. D’altronde, se sei un elettore riformista liberale che vota Pd continui a votare Pd, non segui il leader di una stagione precedente che non più saputo interpretare quello spirito”. Da queste elezioni, peraltro, arriva un “insegnamento sul limite della leadership, che in politica è fondamentale, sì, ma vale solo quando si incrocia con un partito popolare. Altrimenti non va da nessuna parte”.

 

C’è un’eccezione, dice Romano: Berlusconi nel 1994, che “ha saputo cogliere un momento di disgregazione della società italiana. Ma lo stesso Berlusconi non è mai stato un cavaliere solitario ed è durato 25 anni. Non è una meteora”. In questo quarto di secolo, osserva Romano, “Berlusconi ha costruito un partito vero, popolare, con tutti i suoi limiti, tant’è che non lascia niente dietro di sé. Aveva ereditato la tradizione di partiti veri che si erano sciolti, non era stato fatto in laboratorio come Calenda, che ha preso un abbaglio e ha pensato che siccome le sue preferenze elle Europee erano tante, allora il successo sarebbe arrivato. Il consenso politico non lo traslochi, ma si incrocia sempre con un partito”.
 

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