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Tutti i segreti della vittoria di Sleepy Giani

David Allegranti

Il rapporto con gli alleati, le voci dalla curva. Archiviato il salvinismo in Toscana: il mite Giani batte i sovranisti toscani

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A mezzanotte e quaranta nella notte fra domenica e lunedì, Eugenio Giani già aveva sensazioni positive, dopo che la macchina del centrosinistra - seriamente spaventata dalla possibilità di perdere - aveva passato le ultime settimane a mobilitare tutto il suo elettorato, tra misericordie e case del popolo: “Affluenza ottima nei luoghi a me favorevoli, Prato, Firenze Empoli, e bassa nei luoghi più sfavorevoli, Massa e Grosseto”. Stefano Bruzzesi, il suo stratega politico, assente in pubblico ma presentissimo in ogni riunione e sempre accanto al neo-presidente della Regione Toscana, da giorni ribadiva “cauto ottimismo” e prevedeva una vittoria del centrosinistra di almeno 4 punti. Ha passato tutta l’estate, Bruzzesi - che si autodefinisce un Richelieu (i leghisti lo chiamano, meno simpaticamente, Rommel) - a spiegare a Giani e alla sua coalizione perché la sfida con il centrodestra non era da sottovalutare e perché Susanna Ceccardi “non è Lucia Borgonzoni”.

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A mezzanotte e quaranta nella notte fra domenica e lunedì, Eugenio Giani già aveva sensazioni positive, dopo che la macchina del centrosinistra - seriamente spaventata dalla possibilità di perdere - aveva passato le ultime settimane a mobilitare tutto il suo elettorato, tra misericordie e case del popolo: “Affluenza ottima nei luoghi a me favorevoli, Prato, Firenze Empoli, e bassa nei luoghi più sfavorevoli, Massa e Grosseto”. Stefano Bruzzesi, il suo stratega politico, assente in pubblico ma presentissimo in ogni riunione e sempre accanto al neo-presidente della Regione Toscana, da giorni ribadiva “cauto ottimismo” e prevedeva una vittoria del centrosinistra di almeno 4 punti. Ha passato tutta l’estate, Bruzzesi - che si autodefinisce un Richelieu (i leghisti lo chiamano, meno simpaticamente, Rommel) - a spiegare a Giani e alla sua coalizione perché la sfida con il centrodestra non era da sottovalutare e perché Susanna Ceccardi “non è Lucia Borgonzoni”.

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“Però, sai, sono elezioni così strane…”, diceva ancora Bruzzesi. L’emergenza sanitaria, la campagna elettorale d’agosto, la sensazione - per la prima volta nella storia - di poter perdere la Regione. “Finora, i candidati consiglieri regionali erano abituati a pensare di non avere avversari e la battaglia era tutta interna al centrosinistra. Questa volta non è stato così”, ha spiegato nei giorni scorsi Bruzzesi - pochette in tasca e abito elegante, una mise che una volta gli valse la definizione di Pitti Pd – a chi gli chiedeva come mai questo centrosinistra toscano fosse così nervoso.

 

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Non che il nervosismo sia svanito con la vittoria di Giani. Anzi. Si materializza subito a metà pomeriggio, quando parte il fuoco di tweet dei parlamentari di Italia viva (Iv si presentava insieme a +Europa) che rivendicano la vittoria elettorale: “Salvini voleva dare la spallata in Toscana ma l’abbiamo bloccato ancora, stavolta con Eugenio Giani. Italia viva alla prima prova elettorale risulta già decisiva”, twitta il senatore Francesco Bonifazi, seguito a ruota da una dichiarazione pubblica di Ettore Rosato, dello stesso tenore, da un altro tweet del deputato Luciano Nobili: “Decisivi in Toscana per la vittoria di Eugenio Giani: anche stavolta Salvini lo abbiamo fermato noi”. Nel Pd iniziano ad agitarsi e vogliono subito mettere un fermino. Arriva Simona Bonafè, segretaria del Pd toscano ed europarlamentare, accompagnata dall’ex portavoce di Renzi, Marco Agnoletti (“Matteo chi?”, dice ridendo sotto i baffi che non ha). Agnoletti ha da poco parlato con l’ex sindaco di Firenze. Dice che forse è in treno, forse sta tornando a Roma. Insomma, al comitato Giani, in via Forlanini, a Firenze, Renzi non si fa vedere. Ci sono però altri colonnelli di Italia viva, da Nicola Danti allo stesso Bonifazi. I numeri non sono buoni, alle otto di sera Iv supera di poco il quattro e non è quindi determinante per la vittoria del centrosinistra. Anzi, come fanno notare alcuni esponenti del Pd toscano, in certe sezioni fiorentine, c’è stato un voto disgiunto dei renziani a favore di Ceccardi

 

    

Parla Bonafè, che un tempo era renziana, e mette subito al suo posto gli ex amici: “Il Pd dalle prime proiezioni dovrebbe confermarsi il primo partito di questa regione con oltre il 30 per cento, lo stesso dato che prese alle elezioni europee lo scorso anno…”. Stavolta era una elezione “complicata, contendibile”. Eppure, aggiunge l’ex assessore di Scandicci, “s’è fermato Salvini. I toscani non hanno creduto alla propaganda di Salvini. Non hanno nemmeno creduto ai falsi toni moderati di Susanna Ceccardi”. L’obiettivo del Pd insomma è chiaro: cari amici scissionisti, qua comandiamo noi. Questo scambio è un antipasto della discussione sulla giunta e le presidenze di commissione, al via già da oggi. Sì, ma chi ha vinto? “Vince la toscanità”, ci dice Riccardo Nencini, senatore socialista, nel bar della Casa della Cultura, dove un tempo si ballava il liscio e ora è tutto fermo fino a data da destinarsi, causa Covid: “Aveva ragione Curzio Malaparte: i toscani si cambiano da sé”, aggiunge Nencini, ricordando come in questi anni le cose in Toscana in realtà siano già cambiate: “Il mito della Toscana rossa non c’era già più dal 2018. Se uno toglie i collegi fiorentini, nelle altre nove province il centrosinistra ha eletto un solo deputato e un solo senatore, Padoan e il sottoscritto”. Insomma, non è una novità l’onorevole sconfitta di Susanna Ceccardi, che raggiunge il risultato di Altero Matteoli del 2000, quando il centrodestra toscano ottenne la più grossa vittoria della sua storia: il 40 per cento. La Lega non è scomparsa, tutt’altro, e Giorgia Meloni supera il 10 per cento. Ma, appunto, non è una novità. C’è una destra forte in Toscana.

 

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“Ha vinto la Toscana, i toscani hanno votato per la Toscana”, dice Giani. “Io mi sento orgoglioso di poter esprimere quel sentimento e quella passione”, aggiunge il neo presidente prima di ringraziare i presenti. A partire dai sindaci, come Dario Nardella che sale le scale insieme a lui e lo abbraccia (“Mi sento sindaci tra i sindaci”, dice Giani). Poi grazie a Stefano Bonaccini, presente anche lui. Poi grazie ai parlamentari: Luca Lotti, Riccardo Nencini, Rosa Maria Di Giorgi. Ci sono poi le sei liste candidate con Giani (Enrico Rossi nel 2015, quando staccò di venti punti Claudio Borghi, ne aveva solo due, il Pd e una lista civica di cui non c’è più traccia): “A ciascuna di queste liste che si è data da fare un grande grazie”, dice Giani che finalmente si toglie un sassolino. Gli hanno detto che è un candidato iper renziano, una sorta di marionetta del renzismo. Valdo Spini, presente in sala, è lì a ricordare l’origine socialista del Giani, di cui però non c’è traccia nella biografia ufficiale sul sito elettorale. “In questi giorni mi si attribuisce di essere riuscito per quel padrino o quell’altro. Consentitemi. Oggi ve lo posso dire con il cuore: il Giani è Giani, un uomo di sessant’anni”. Sorride, si prepara alla festa in piazza Duomo.

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