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Il personaggio

Segui i guai e troverai Salvini

E' di gomma, immune a scandali e inchieste. E' un pasticcione di successo, ma fino a quando?

Salvatore Merlo

Dalla Rai ai commercialisti lombardi passando per la Russia, la cronaca tampina il Capitano ma lui si rifugia su Instagram. I vecchi della Lega lo mettono in guardia: scegli bene amici e collaboratori

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“Senza l’organizzazione,  i voti sono come una bibita gassata. Si trasformano nel propellente d’un fenomenale rutto nell’universo”. Alcuni anni fa nel cortile della Camera Umberto Bossi, che forse già aveva capito tutto, utilizzava il suo spirito greve ma efficace per spiegare – con metafora eolica –  al più giovane cronista quel fenomeno nascente, ma ancora lontano dal trenta per cento del 2019, che si chiama Matteo Salvini. E già allora l’Umberto sembrava aver intuito ciò che sempre più, pochi anni dopo, cioè oggi, mormorano quasi tutti i leghisti mentre osservano gli inciampi e le contorsioni del loro segretario sgarzolino e twittante.  Un dissipatore che non azzecca mai una nomina  in Rai (dove tutti  stanno passando con la Meloni), così come nelle partecipate, nei ministeri e nel sottopotere romano. E persino all’interno del suo partito. Le sbaglia quasi tutte. E più sbaglia più si inguaia, come rivelano gli scandalucci di questi giorni. Se infatti le storie di denaro che raccontano i giornali appaiono confuse, ecco che sotto, sopra e in mezzo alla Lega emerge tuttavia chiaro il quadro di un mondo di pasticcioni, commercialisti  marrazzoni, intermediari strampalati e delegati millantatori. Tutte mezze figure, alcune tragicomiche, che si muovono all’ombra del grande capo che ormai sembra non accorgersi di nulla perché il tempo probabilmente lo passa su Instagram e dunque vive in una bolla comunicativa in cui realtà e propaganda s’intrecciano a tal punto da confondere per primo lui stesso.

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“Senza l’organizzazione,  i voti sono come una bibita gassata. Si trasformano nel propellente d’un fenomenale rutto nell’universo”. Alcuni anni fa nel cortile della Camera Umberto Bossi, che forse già aveva capito tutto, utilizzava il suo spirito greve ma efficace per spiegare – con metafora eolica –  al più giovane cronista quel fenomeno nascente, ma ancora lontano dal trenta per cento del 2019, che si chiama Matteo Salvini. E già allora l’Umberto sembrava aver intuito ciò che sempre più, pochi anni dopo, cioè oggi, mormorano quasi tutti i leghisti mentre osservano gli inciampi e le contorsioni del loro segretario sgarzolino e twittante.  Un dissipatore che non azzecca mai una nomina  in Rai (dove tutti  stanno passando con la Meloni), così come nelle partecipate, nei ministeri e nel sottopotere romano. E persino all’interno del suo partito. Le sbaglia quasi tutte. E più sbaglia più si inguaia, come rivelano gli scandalucci di questi giorni. Se infatti le storie di denaro che raccontano i giornali appaiono confuse, ecco che sotto, sopra e in mezzo alla Lega emerge tuttavia chiaro il quadro di un mondo di pasticcioni, commercialisti  marrazzoni, intermediari strampalati e delegati millantatori. Tutte mezze figure, alcune tragicomiche, che si muovono all’ombra del grande capo che ormai sembra non accorgersi di nulla perché il tempo probabilmente lo passa su Instagram e dunque vive in una bolla comunicativa in cui realtà e propaganda s’intrecciano a tal punto da confondere per primo lui stesso.

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E così, mentre Salvini  va in giro per l’Italia twittando salami, ecco che  pasticcioni e bislacchi vari da lui allegramente elevati a ruoli di responsabilità, se ne stanno nella realtà e maneggiano imprudentemente il suo nome. Esattamente come era accaduto, tempo fa, nell’affaire del Metropol di Mosca, quando Gianluca Savoini s’era convinto di vivere in un romanzo di John le Carré: l’Eni, il gas, i rubli,  Putin… E’ fatto così Salvini. La responsabilità delle politiche economiche della Lega l’ha affidata a due prodotti televisivi della “Gabbia” di Paragone, cioè a Claudio Borghi e Alberto Bagnai, l’uno simpaticamente strambo e l’altro solo strambo. Mentre alla presidenza della Rai,  quando tutto poteva, ci mise Marcello Foa, un tipo che sosteneva che Hillary Clinton si nutrisse di mestruo nelle ore notturne (e che poi più di recente voleva consegnare un milione di euro della Rai a un tizio che gli aveva scritto una mail dicendo di essere il ministro dell’Economia). E tutto questo per non citare l’attimo in cui Salvini, in preda all’entusiasmo, dopo una serata danzante in terrazza, aveva deciso che il suo uomo in Rai doveva essere Casimiro Lieto, il manager della sua ex fidanzata Elisa Isoardi. Quella volta non fece in tempo a complimentarsi con se stesso per l’idea avuta, che Casimiro finì arrestato. Per fortuna, però, prima che lui gli avesse conferito qualsiasi incarico.

 

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“Salvini è l’uomo della situazione”, ci ha spiegato una volta Mario Borghezio. E volendogli fare un complimento, il vecchio leghista pennellava Matteo  quasi con i tratti e i colori di un’avanguardia artistica del Novecento. L’uomo immagine tanto capace sul palco quanto disordinato nell’azione politica, lo stregone in grado di auscultare  le viscere italiane ma che pure, dopo aver rapito le masse, di tutto quel consenso a un certo punto non sa più che farsene. Non organizza. Non sa scegliere. Eppure è stato al governo.  Viene da pensare che l’esercizio del potere lo interessi meno del pettine, che infatti non usa. Ma allora, diceva Bossi: a che serve fare politica?

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