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Le elezioni regionali in Toscana

Il Giani e la Ceccardi, in fuga dai leader troppo ingombranti

Al primo danno di turbo-renziano, alla seconda di bimba di Salvini. Ma la questione è più complessa

David Allegranti

I due candidati hanno passato la campagna elettorale a cercare di sottrarsi dal fardello di capi partito più o meno antichi

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Al primo danno di turbo-renziano, alla seconda di bimba di Salvini. Ma come direbbe Michele Ventura, già vicesindaco di Firenze e già vice capogruppo del Pd alla Camera, “il ragionamento è più ampio”. Eugenio Giani è amico di Valdo Spini, è stato iscritto al Partito socialista, di cui diventò consigliere comunale a Firenze nel 1990, poi aderì ai Socialisti Italiani, poi allo Sdi e infine al Pd ma sempre senza dimenticare il coté della fondazione Fratelli Rosselli, che in origine non era solo spiniana ma diede vita ai miglioristi.

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Al primo danno di turbo-renziano, alla seconda di bimba di Salvini. Ma come direbbe Michele Ventura, già vicesindaco di Firenze e già vice capogruppo del Pd alla Camera, “il ragionamento è più ampio”. Eugenio Giani è amico di Valdo Spini, è stato iscritto al Partito socialista, di cui diventò consigliere comunale a Firenze nel 1990, poi aderì ai Socialisti Italiani, poi allo Sdi e infine al Pd ma sempre senza dimenticare il coté della fondazione Fratelli Rosselli, che in origine non era solo spiniana ma diede vita ai miglioristi.

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Quando lo scout di Rignano esplose a Firenze, diventò renziano come tanti, mentre alcuni non lo diventarono. Ma il Giani dal renzismo c’ha sempre ricavato poco, non fosse altro perché ogni volta che c’era pronto un incarico per lui – ai tempi di Renzi presidente del Consiglio non si negavano a nessuno nel Giglio magico – poi improvvisamente questo evaporava, tra garofani e margherite in dissoluzione.

Nel 2014 avrebbe voluto sfidare Dario Nardella alle primarie (una farsa: l’attuale sindaco vinse con l’83 per cento dei voti) ma Renzi glielo impedì. Si iniziò dunque a parlare di un sottosegretariato allo Sport, poi derubricato a consigliere allo sport per la presidenza del Consiglio, poi di un generico “ufficio” a Palazzo Chigi. Non se ne fece niente. Dunque arrivò – era il 2015 – la candidatura alla presidenza del Credito Sportivo, con istruttoria avviata dal parlamento in commissione, prima al Senato e poi alla Camera.

In quell’occasione, durante un’audizione informale, l’ex deputato grillino Sebastiano Barbanti gli chiese conto dei suoi molti incarichi (all’epoca): presidente del comitato istituzionale per i 150 anni di Firenze capitale; coordinatore dei festeggiamenti per i 750 anni della nascita di Dante; presidente della Fondazione Casa Buonarroti; consigliere nazionale del Coni… Come farà a gestire questa intensa attività, gli chiese Barbanti, visto che “è un essere umano come noi”? Giani, ex presidente del Consiglio comunale di Firenze, subito precisò: “La ringrazio per la trasparenza, ma sono anche consigliere regionale della Toscana”, incarico raggiunto per la prima volta nel 2011, quando  subentrò ad Alessia Ballini, scomparsa prematuramente; ne nacquero un caos e un caso, perché il Giani bifronte era già presidente del Consiglio comunale e il codice etico del Pd vietava il cumulo di cariche elettive. La collezione di incarichi fa parte dello stile del Giani, che è uno che si divide fra aperitivi, pranzi e cene con grosso sforzo di fegato, tutto pur di stringere mani e incontrare persone. Un politico vecchio stile, si direbbe, ma in senso non deteriore. E’ così d’altronde che nel 2009 prese 1.666 preferenze per il consiglio comunale di Firenze, battendo anche Nardella fermo a 911, un pacchetto di voti personali che Giani ha cullato e fatto crescere e che si sarebbe portato dietro anche se l’avesse candidato Forza Nuova. Tant’è che il lockdown, per uno come lui, è stata una vera fregatura. Ma il giro dei 273 comuni della Toscana l’aveva comunque già fatto da presidente del consiglio regionale, una carica che gli è servita a inaugurare mostre, convegni, andare in giro per città e paesi anche prima dell’inizio della campagna elettorale per queste regionali, dove si ha partecipato in ritardo fisso di un paio d’ore a qualsiasi evento in suo onore. Persino a una cena elettorale al piazzale Michelangelo, l’8 settembre, organizzata dall’ex potentissimo assessore alla Sicurezza Graziano Cioni, alla quale era presente anche Luca Lotti. Iniziata alle nove, il Giani si è presentato alle ore undici, dove ha avviato una lezione di storia toscana, materia di cui è cultore (nel 2018 ha pubblicato un libro dal titolo “La Toscana giorno per giorno. 365 giorni tra storie, curiosità, personaggi e aneddoti”). Ecco perché insomma si può dire che l’etichetta di turbo-renziano è un errore. Non solo perché quando c’è stata la scissione di Italia viva, è rimasto nel Pd ma anche perché quando era vivo e vegeto il glorioso renzismo pan-toscano, il Giani ci ha ricavato soprattutto un ricca serie di bidoni rifilati dall’ex sindaco di Firenze. E poi c’è una differenza di stile. Il Giani è persona mite, Renzi uno che si auto mitizzava, con i risultati segnati dalla disaffezione oggi noti, come dimostrano i sondaggi prima del divieto di pubblicazione, a due settimane dal voto. Secondo una rilevazione di Quorum (realizzato tra il 28 agosto e il 4 settembre su 2.510 casi con metodologia mista CATI e CAWI), Italia viva – Più Europa veniva data in Toscana al 5,2 per cento (mentre in caso di Politiche con la sola Italia viva senza il partito di Emma Bonino la percentuale scendeva al 4,1). Da questo sondaggio emergeva una questione importante riguardante la figura politica di Renzi. Solo il 14,4 per cento degli intervistati ha detto di avere “molta o abbastanza fiducia in Matteo Renzi”, mentre l’80,5 ha detto di averne “poca o nessuna fiducia” nel senatore di Scandicci. Capite bene che fare il candidato iper-renziano non porterebbe molto bene al Giani, che ha appunto rivendicato per tutta la campagna elettorale lo stile e l’immagine di quello che non deve bucare lo schermo. Il problema semmai è che non gli sono mancate le cosiddette gaffe, come quando ha detto che a Livorno manderà i carri armati pur di costruire un impianto di termo valorizzazione (Articolo 1 ha minacciato per questo di rivedere l’accordo di coalizione).

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Dall’altra parte, pure Ceccardi, leghista, leonessa, chiamatela come volete, ha avuto il suo bel daffare a togliersi di dosso la polvere della candidata ipersalviniana. Non è che non lo sia – lo è, l’ex sindaca di Cascina è cresciuta nei Giovani Padani, avamposto salviniano – ma anche lei ha passato tutta la campagna elettorale a rimuovere Salvini dal proprio racconto. Non per mancanza di fedeltà alla Ditta, ma per strategia comunicativa. All’inizio, la campagna elettorale di Ceccardi non era partita benissimo (considerata troppo estremista dagli alleati moderati di Forza Italia per poter vincere in Toscana), poi ha aggiustato il tiro. Non ha parlato di immigrazione e sicurezza in maniera ossessiva, non ha coinvolto Salvini come già era accaduto in Emilia-Romagna con Lucia Borgonzoni, dove l’ex ministro dell’Interno si era sostituito alla candidata, al punto che non si capiva più chi tra il segretario e la senatrice fosse lo sfidante di Stefano Bonaccini. I simboli leghisti nei manifesti elettorali sono spariti.

Insomma, anche in questo caso, tutto pur di non spaventare l’elettorato toscano. Infatti, al Pd è venuta molto mene bene che altrove la mobilitazione sull’allarme fascismo. Ci hanno provato prima le Sardine, che sono pure andate a Cascina, poi anche Dario Nardella, a drammatizzare lo scontro: “Il candidato a governare la Toscana non è la signora Ceccardi ma Salvini, e i toscani non vogliono che Salvini metta le mani sulla Toscana. Immaginate cosa sarebbe stato se a governare la Regione Toscana in questo momento di crisi del covid si fossero stati i leghisti. Ma non quelli del buon governo, quelli che sbraitano qui in Toscana”, ha detto il sindaco di Firenze. L’impressione è che se il centrodestra avesse scelto un altro candidato – non una leghista che ha comunque un suo orientamento marcato e una sua storia politica – domenica e lunedì vincerebbe facilmente le elezioni toscane. Il problema del centrodestra toscano è che la mitologica società civile fin qui si è affiancata al Pd. Quando c’era da scegliere un candidato sindaco, Forza Italia – allora prevalente in Toscana, mentre la Lega non esisteva – o il Pdl guardavano fra gli imprenditori toscani a disposizione sul mercato. Questi però, dopo essere stati sui giornali qualche tempo in quota “ipotesi di candidato alternativo alla sinistra”, immancabilmente poi si ritiravano dal novero delle possibilità o addirittura finivano per sostenere gli avversari (specie quando Renzi era nei suoi cenci e tutto sommato piaceva a un certo gruppo dirigente borghese e imprenditoriale).

Sicché, Ceccardi ha trascorso parte della campagna elettorale a spiegare ai toscani anche dell’altra parte perché avrebbero potuto votare per lei senza sentirsi dei facinorosi fascisti. Naturalmente, non è che così vengono cancellate le sortite contro la moschea di Pisa, le dirette Facebook con gli abbattimenti dei campi rom con ruspa e cappello da operaio e le foto con la pistola in pugno mentre si esercitava al tiro a segno a Navacchio, corredate da feroce didascali: “La difesa è sempre legittima. Ma se non impari a sparare, è inutile qualsiasi legge”. Ha persino smesso di parlare male degli alleati, l’europarlamentare leghista, che però forse si ricordano cosa disse una volta: “La Lega in Toscana guida il centrodestra se si procede come a Pisa e a Cascina. Abbiamo dimostrato tangibilmente qual è la ricetta: bisogna usare il pugno di ferro. Nessuno sconto al Pd. Prima, quando ero all’opposizione, da Forza Italia mi dicevano che prendevo troppo di punta il Pd. ‘Ci devi scendere a compromessi’, mi veniva detto. Ecco, è stata questa linea portata avanti da Denis Verdini a far perdere il centrodestra in Toscana. Non abbiamo – o meglio hanno, visto che la Lega non era classe dirigente – perso per settant’anni per caso, ma volutamente. Ora l’aria però è cambiata e non vogliamo più perdere”.

L’aria è senz’altro cambiata, e non da ora, bisogna vedere fin dove si spingeranno gli arditi toscani.

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